La sera era
rigida, ma limpida.
Una brezza
pungente accarezzava le case di periferia, le piante scheletrite, le panchine
gelate.
Sarebbe stata
una notte di plenilunio.
Moana si era
ritirata sul tetto del brutto palazzo, dove viveva con la mamma diabetica e un
padre cerbero. Stava con tutto il suo dolore, con il braccio pieno di buchi e
il bimbo che le cresceva nella pancia. Da tre anni Moana uccideva la mamma e
trasformava il padre in un cupo nemico. E lui la picchiava.
A diciotto anni
con un figlio. Fatto con Luca, con Roman o con Mick? Non c’era molta
differenza, perché tutti e tre erano out, ai margini, falliti e tossici… come
lei. Se suo padre l’avesse saputo, l’avrebbe uccisa.
La luna e le
stelle risplendevano nel cielo terso.
Si stava bene
lassù, sopra i tetti delle case di periferia, a contemplare il nero cielo
infinito. Eppure una lacrima spuntò sul viso scarno di Moana.
Che bella notte
per morire! Una notte limpida e fredda come la morte.
Lei e la sua
creatura avrebbero fatto il volo definitivo, sotto quel cielo stellato. Il suo
corpo sarebbe finito vicino a una malferma panchina, sull’orlo del parcheggio;
ma lassù sarebbe rimasto a risplendere il firmamento.
Sentì uno
strano calore accarezzarle la schiena. Si voltò e lo vide.
Era brutto,
anzi spaventoso, ma non incuteva paura.
Si sedette
accanto a lei e si mise a guardare il cielo stellato.
- Chi sei? –
chiese Moana.
Non rispose.
Era inguainato
in una nera tuta di pelle, come un motociclista. Il naso adunco, il mento
prominente, da vecchio. La guardava con due occhi sporgenti in un viso
butterato. I capelli, radi ma lunghi, svolazzavano alla gelida brezza.
Solo dopo un po’,
l’uomo disse:
- Non ti
conviene farlo. Non in una notte come questa.
- Perché?
- Questa è
l’ultima notte.
- L’ultima
notte… per chi?
- Per tutti.
Continuò a
guardarlo con espressione interrogativa.
- Arsenico.
- È questo il
tuo nome?
- Sì.
- Non ho voglia
di starmene ad ascoltare le tue fesserie. Non riuscirai a trattenermi.
- Tu dici?
- Sì… dico.
Silenzio. Solo
gelide folate si rincorrevano sui tetti degli squallidi caseggiati.
Poi le stelle
si fecero più vivide. Moana non sentiva più freddo.
- Cominciano a
soffrire – fece l’uomo.
- Chi?
- Le stelle.
Tra le mani
dell’uomo si materializzò una nera coperta. - La vedi?
- Quello
straccio?
- Ti do l’onore
di piegarla.
- Chissà quale
onore! – disse acida Moana.
- Ma questa non
è una coperta qualsiasi.
- Ah no, e che
sarebbe?
Arsenico non
rispose.
Si udì l’urlo
lacerante di una sirena, laggiù nell’intrico delle strade.
- Io ho scelto
te, Moana.
- Mi hai
scocciato – mormorò la ragazza. – Lasciami in pace.
Adesso le
stelle erano incredibilmente brillanti. Il cielo sembrava illuminato, come se
fosse il fondale di un immenso presepe. Il tetto del palazzo era avvolto in un
chiarore spettrale.
- Tu vuoi
scendere da questo palazzo, ma lo farai come voglio io.
- E come? –
fece lei incuriosita.
- Scenderai per
le scale, lentamente, ma solo dopo avere piegato questa coperta.
Moana lo fissò
a lungo. Adesso si sentiva affascinata da quella presenza.
La luce delle
stelle proiettava ombre sul viso dell’uomo.
Poi la ragazza
prese la coperta e cominciò a piegarla, con cura.
Alla fine levò
lo sguardo sull’uomo, ma lui non c’era più. Poi osservò la coperta, ben
piegata. Su di essa appariva una frase a caratteri luminosi:
Una ragazza madre ha piegato la
coperta.
In questa ultima notte. La notte
di Arsenico Stellare.
Vetri infranti,
urla, stridore di freni, una forte esplosione… e crolli in lontananza.
Poi Moana cominciò a scendere le scale.
(Per gentile concessione dell’autore)
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