La sera di novembre è cupa e
piovosa.
Il villaggio appare deserto poiché
nessuno osa uscire di casa. Una pioggia torrenziale sta cadendo da ore e la
bufera non accenna a diminuire. Le pozzanghere in certi punti arrivano fino al
centro della strada e i fossi sono straripati.
Cammino, immerso nei miei
pensieri. Non so se sono ancora in tempo per salutare Sarah prima che sia già
partita. È stata la mia compagna di giochi per tanti anni ed ora anche lei se
ne va; lascia per sempre il paese.
Cammino abbassando il parapioggia
per proteggermi dagli scrosci di acqua spinta dal vento. Nel mio animo c’è una
grande tristezza, quasi un senso di impotenza e di annientamento.
La casa di Sarah sta isolata fuori
dal villaggio. Nella notte piovosa è solo un’ombra scura e priva di vita. Due
finestre piccole al piano superiore risplendono fiocamente come lumi.
Busso alla porta bagnata cercando
riparo sotto all’architrave. Poi provo a chiamare ma la mia voce si disperde
nel vento.
In silenzio la porta si apre un
poco, quanto basta per lasciarmi passare. Appena entro nella saletta la vedo:
Sarah indossa un vestito bianco e ha i lunghi capelli biondi sciolti sulle
spalle. In mano tiene una bugia di ottone con una candela accesa. Nei suoi
occhi c’è smarrimento e paura.
Rinchiude mettendo i catenacci
mentre io deposito in un angolo il parapioggia che forma subito una pozzanghera
sulle mattonelle. Mi guardo intorno: la saletta vuota sembra più piccola. I
mobili sono già stati portati via, è rimasto solo un baule e alcune valige.
Senza parlare Sarah mi fa cenno di
seguirla. Attraversiamo la cucina, dove abbiamo trascorso pomeriggi a giocare
fra il borbottare dei nonni e l’abbaiare dei cuccioli. Ora che sono partiti
tutti è solo una stanza priva di vita, fredda e vuota.
Con movimenti flessuosi la ragazza
sale le scale ripide di legno tenendo alta la candela. La fiamma tremolante
scava ombre paurose sulle pareti. La pioggia di novembre cade sui tetti con un
rumore insistente, monotono.
Lei apre una porta del corridoio.
Mi fa entrare in una cameretta semibuia rischiarata dalla luce rossastra del
camino. É rimasto solo il letto, un tappeto e un telaietto da ricamo. Uno
specchio ovale sta attaccato al muro.
Vado davanti al camino acceso per
asciugarmi. Anche lei si curva sul fuoco senza parlare. Il suo corpo esile è
scosso da brividi di freddo. Dalle finestre piccole vedo il buio oltre i vetri
ruscellanti di pioggia.
Nella notte da tregenda restiamo
ad ascoltare il fischio del vento e lo scroscio incessante della pioggia. Si
odono scricchiolii, piccoli tonfi, gemiti... La casa pare animata e vibra sotto
la spinta delle raffiche. Ci sentiamo completamente soli quasi fossimo gli
unici esseri rimasti al mondo. Ci sentiamo sperduti, in balìa delle forze della
natura.
Un topo corre in fondo alla stanza
e va a rifugiarsi in una fessura. Fuori nella notte buia ci sono solo i démoni
in ascolto e abbiamo paura di parlare.
Il corpo di Sarah è curvo sul
fuoco alla ricerca di calore. I capelli le ricadono sul viso come una pioggia
di seta. Il vento ulula dentro alla cappa del camino, fa salire le faville,
disperde la cenere.
Con il passare del tempo ci
sediamo sul tappeto. Il freddo ci fa stare più vicini. Il suo volto stupendo ha
una espressione seria, quasi implorante. Solo con gli sguardi comunichiamo la
sofferenza delle nostre anime.
La notte sembra non dover finire
mai. All’improvviso negli occhi di Sarah scorgo lampi di desiderio e paura.
Riconosco tutto l’erotismo dell’adolescenza, solo sognato e intuito.
Le sue labbra con gli angoli
piegati verso il basso sussurrano alcune parole, come una preghiera:
“Baciami, amore baciami, e non
fermarti mai...”
Nel silenzio grave che segue, le
sue parole lasciano un’eco di perle che cadono nel latte.
Timidamente ci prendiamo per mano.
La guardo negli occhi ed è come se vedessi in fondo alla sua anima.
Il primo bacio è solo uno sfiorare
di labbra. I capelli hanno riflessi d’oro. Le sue lunghe mani vellutate
tremano.
Lentamente l’attiro sempre più
vicino fino ad abbracciare il suo corpo soffice.
***
É molto tardi. É quasi l’alba.
Devo andarmene per non essere
sorpreso dai parenti che verranno a prendere Sarah e a caricare le cose
rimaste.
Le prime luci del mattino
illividiscono il cielo. Sulla porta le dico un ultimo ciao senza ricevere
risposta. Dopo la notte d’amore vado a casa e rimango a letto fino a tardi.
Verso mezzogiorno un tiepido sole
illumina la campagna. Dalla mia finestra guardo le gocce di pioggia scorrere
sul vecchio muro della casa di fronte, come lacrime.
Mi vesto in fretta ed esco in
strada di corsa. Forse sono ancora in tempo per vedere Sarah per l’ultima
volta. Il cielo è tutto un ribollire di nubi bianchissime, spumose in mezzo a
torri di cristallo.
Raggiungo la sua casa ma le
finestre sono tutte chiuse. Nel fango della strada sono impressi i segni delle
ruote. I parenti sono venuti a prendere anche lei e adesso sono partiti tutti.
Camminando piano ritorno indietro.
Tutto è finito. Una parte della mia vita se ne è andata per sempre.
A est nubi a raggiera dilatano il
cielo. Anche se l’inverno è vicino c’è nell’aria come un senso di speranza.
Spero che il futuro sia sempre per
me come una pagina bianca.
(Per gentile concessione
dell’autore)
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