lunedì 4 marzo 2013

UNA PRECE di Paolo Secondini



 

Il capo chino sul petto e le mani congiunte, l’uomo era in piedi davanti a una tomba nel vecchio cimitero comunale. Stava lì da circa mezzora, immobile, in perfetto raccoglimento.
   I raggi del sole morente accendevano vivacemente le tinte violette, rosse e ocra delle cappelle; attenuavano il freddo biancore delle lapidi, semplici o monumentali.
   Una brezza leggera spargeva nell’aria un odore di ceri e di fiori, e su tutto regnava un silenzio assoluto, rotto soltanto dal cinguettio degli uccelli, che compivano gli ultimi voli sul far della sera, e dall’ovattato tubare dei piccioni.
   A un tratto l’uomo si mosse, alzò il capo: aveva gli occhi arrossati dal pianto. Si chinò lentamente per aggiustare dei crisantemi in un vaso di vetro presso la tomba; si raddrizzò, restò fermo, con un’espressione compunta.
   «Mio caro,» esclamò, dopo qualche momento, con voce commossa, «quanti anni sono passati!... Tanti, tantissimi!... Ormai non si contano più… Ma il tuo viso, il tuo carattere mite, il tuo cuore leale e generoso resteranno impressi per sempre nella mia mente… Come vedi, sono qui tutti i giorni, con qualsiasi tempo, a pregare dinanzi alla tua tomba, da quando lasciasti questo mondo per raggiungere i Pascoli del Cielo. Sono qui a ricordarmi di te, dei tuoi sogni, dei tuoi ideali, di tutto ciò che di buono hai saputo, in vita, donare agli altri. Chi ti ha conosciuto non può che rimpiangerti, come faccio ogni istante della…»
   Un rumore improvviso alla sua destra interruppe quel soliloquio. L’uomo volse la testa e vide avvicinarsi, nelle loro stinte divise azzurrine, due anziani custodi del cimitero.
   Uno di essi, passandogli accanto, disse, in tono cortese:
   «Signore, è l’ora di chiusura.»
   L’uomo non rispose, si limitò ad annuire chiudendo le palpebre. Poi si segnò, inchinandosi, e a passi veloci si diresse verso l’uscita, superando i custodi che rimasero fermi a osservarlo. 
   «È qui ogni sera,» disse uno dei due, «a pregare davanti a una tomba vuota.»
   «Già!... Ma nessuno riesce a fargli capire come stanno le cose?»
   «E chi potrebbe riuscirci?»
   «Che vuoi che ti dica!... Chi lo cura da tempo, per esempio.» 
   «Non si cura né si guarisce dalla pazzia. Quell’uomo è  completamente pazzo, e tale resterà fino agli ultimi giorni della sua vita.»
   «Peccato! Un così distinto signore, educato e gentile con tutti.»
   «Proprio vero! Ma almeno non è pericoloso, né per sé né per gli altri. Non è, insomma, quel che si dice un matto da legare.»
   «È per questo che lo lasciano andare e venire liberamente.»
   «Specie qui, al cimitero, dove prega sopra una tomba che crede la propria, nella quale, a sentir lui, il suo corpo riposa da più di trent’anni.»

1 commento:

  1. Bel racconto. Mi ricorda un caso autentico visto alla stazione. Un signore chiede informazioni sulla partenza dei treni. Un signore gentile gli fornisce orari, coincidenze, eccetera. Il pimo signore va via soddisfatto. L'edicolante che ha udito tutto dice al secondo signore: "Non si disturbi a dare spiegazioni. Qull'uomo non deve andare da nessuna parte. Fa così con tutti. E' un po' svitato. E' un ferroviere in pensione. Bissoli

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