mercoledì 27 settembre 2017

ANCORA! di Teresa Regna


Il giorno in cui morii il sole splendeva alto nel cielo invernale, incurante sia della stagione che delle previsioni meteo. Avevo compiuto 88 anni due settimane prima.
Ero seduto sul dondolo, a godere il tepore del sole. Avvertii un dolore lancinante alla sommità della testa, e mi accasciai sul lastricato del portico in una posa innaturale. Una morte pulita, rapida.
Osservai per qualche istante il mio corpo vestito di blu scuro spiccare sulle mattonelle candide, poi mi avviai verso la luce.
Il buio mi inghiottì, all’improvviso. Sembrò durare un’eternità.
Mi risvegliai, nudo, disteso su un tavolo metallico. Curiosamente, non avevo freddo, e nemmeno provavo la sensazione di scomodità in genere associata al metallo. Non ero imbarazzato, soltanto seccato.
Ebbi la piacevole sorpresa di sentirmi in piena forma: il mio corpo era in perfetto stato, come quando ero giovane e forte. Avrei potuto vincere di nuovo la gara di corsa campestre che mi aveva fruttato una medaglia, quando avevo trent’anni e tanta energia da surclassare gli avversari, se soltanto non fossi stato trattenuto da una forza tanto sconosciuta quanto potente.
Provai ad alzarmi, ma tutto ciò che mi riuscì fu sollevare un braccio fino a qualche centimetro dal tavolo. Lo lasciai ricadere: non potevo lottare contro la sensazione di schiacciamento che ogni movimento mi procurava.
Una voce, che sembrava metallica quanto il tavolo, rimbombò nella mia testa. Diceva di stare tranquillo: tutto sarebbe terminato in poco tempo. Il termine usato non era quello, ma il concetto era simile.
Mi rassegnai, consapevole della mia debolezza. Pensai che fosse dovuta al fatto che ero appena morto.
La voce mi rassicurò: ero trattenuto da un campo di forze, lo stesso che veniva usato per analizzare il mio corpo. Ed ero morto da alcuni giorni, nei quali ero rimasto in animazione sospesa.
Come si può essere animati se si è morti?
La mia spontanea riflessione ebbe una risposta. La morte non è definitiva, ma temporanea. Dopo aver effettuato i dovuti controlli, sarei stato rispedito sulla terra.
Oh, no! Ancora… protestai.
Ne avevo di strada da fare prima di poter aspirare a diventare un puro spirito, affermò la voce.
Chi sei?
Questa domanda non ottenne risposta, nemmeno un grugnito di disapprovazione o qualcosa di simile.
Aspettai. La pazienza non mi faceva difetto. Inoltre, non avevo molta scelta: la voce era stata categorica. Ero condannato ad abitare ancora un corpo mortale.
Trascorse del tempo, o l’equivalente di esso. Molto o poco non riuscii a capirlo.
Il giorno in cui nacqui il sole splendeva alto nel cielo invernale.