lunedì 26 marzo 2018

NEON E LA VIPERA di Adriana Alarco

"Fate attenzione ai serpenti!" dice un ragazzo che cammina a piedi nudi lungo il sentiero in mezzo al bosco di eucalipto.
La valle fertile con terrazze coltivate e campi verdi e gialli può essere vista tra i cespugli in lontananza. L'altopiano dove si costruisce la diga è circondato da montagne che nascondono le loro cime sotto le nuvole peregrine. Ha piovuto da poco e la strada è fangosa. Lui mi sorride quando vede i miei capelli serpeggianti che ballano col vento. Con la mia infinita curiosità femminile, lo guardo con gentilezza. Deve avere un nome.
Mi chiamo Neon perché sono nato sotto la luce al neon che avevano appena portato al villaggio la settimana di Natale di otto anni fa, secondo quello che racconta mio babbo."
Lo ascolto, divertita. Mi sembra quasi impossibile quella sua vita che immagino ingenua ed innocente. Intanto, lui sceglie un bastone di eucalipto e lo pulisce con il suo coltello. Poi me lo dà:
“Così non inciampi negli arbusti e, soprattutto, tieni lontano le bisce. Sai, bisogna stare attenti, mordono anche ai loro parenti!  E guarda sempre dove metti i piedi. Io vedo dove vado soprattutto per le mie capre, che si spaventano a causa delle serpi. Le porto a bere tenendole d’occhio perché sai, anche il fiume è infido, a volte si alza così tanto che porta via tutto con la corrente”.
Certamente, l’acqua limpida del fiume è essenziale per la vita di tutti. Dopo un po’, scopro il villaggio vicino con le sue case di adobe essiccato al sole, circondate da fiori gialli e aloes che si arrampicano su per il pendio.
"Da quando sono arrivate quelle macchine che fanno tanto rumore come i draghi, le capre si spaventano e scappano. Devo continuare a correrle dietro. Mi piaceva questo posto quando non c'era nessuno perché era così bello e così tranquillo ma, soprattutto, perché tutto ciò che vedevo era mio. Ora, invece, non riesco a scendere giù a valle con le capre perché gli uomini che lavorano con quei draghi meccanici iniziano ad urlare e mi dicono di andare via. Le mie caprette si offendono".
È un cantiere pericoloso ed anche le ruspe, se ti avvicini, e io lo so.  Non lasciano avvicinare neanche a me. Neon sembra un ragazzo senza paura, ma dovrebbe essere più responsabile. Non bisogna passeggiare vicino al cantiere di lavoro. Possono scappare e rotolare delle rocce enormi. Dove avrà conosciuto i draghi?
Se te lo dico mi devi credere. Guardo le nuvole e alle volte prendono le forme di esseri mostruosi.  Anche di draghi con le code e che sputano fuoco.
Penso che è sempre in giro con i suoi animaletti, su e giù per le colline, ma sempre senza scarpe.  Io guardo i miei stivaletti e mi sento protetta.
"D'altra parte, io non sto così male adesso perché ora ho le scarpe. Stai guardando i miei piedi nudi? Il fatto è che io ho le scarpe anche se non le indosso tutti i giorni. Solo le metto con altri pantaloni senza buchi, quando il babbo mi porta al paese. Perché se mi vedono con i buchi e senza scarpe possono dire che sono figlio di nessuno. Mia mamma è morta a Natale, otto anni fa e non la ricordo. Mio padre è buono e ogni tanto mi porta fino al paese per fare di me un uomo e mi compera mezzo bicchiere di bibita e i tamales di mais."
Deve avere una bella vita, tranquilla e felice in questo posto sotto il cielo limpido e alte montagne col cappello di neve.
"Cosa vuoi che faccia tutto il giorno? Accudisco gli animali e aiuto il babbo as coltivare patate.  Ne abbiamo una infinità, di varietà diverse e tutte buone.  Patate e formaggio sono una delizia da mangiare. Però, comunque, se si va in giro bisogna stare attenti alle vipere... anche se loro nascono dai nostri stessi capelli.”
Ha troppa immaginazione, mi sembra.
“Il babbo le caccia con un bastone a doppie punte e vende il loro veleno alla farmacia del paese. Ma io ho troppa paura e non mi avvicino.  Credo che possono anche volare...”
Mi sa che vede draghi dappertutto.
“Una volta ho incontrato un serpente… mi si avvicinò minaccioso ma io riuscì a fuggire. Ho urlato perché avevo paura quando fischiava con la sua lingua nera fuori della bocca.  Forse mi ha riconosciuto e sapeva che ero io perché sicuramente era nato da un mio capello."
Intanto, io ascolto farfugliare il ragazzo di come mette i suoi capelli nelle pozzanghere ed il giorno dopo ci sono dentro le vipere.  Immagino che sia una idea tutta sua di fare allevamento di serpenti, vedendo i miei capelli ondulati guizzare e sballottare con il vento.  Il fatto è che non saprei se queste vipere delle pozzanghere riconoscano le persone e sappiano chi sono.
"Credi che non sia possibile che mi abbia riconosciuto? Non sai quindi che ogni serpente è un capello? Non ridere, perché io non lo credevo fino a quando ho visto quella maledetta biscia che mi guardava fischiettando. Un serpente nella pozza d’acqua, nato dai miei capelli! Da questi miei capelli! Così gli ho dato un nome: Neon di Viper."
 Da qualche parte dovrò trovare questa biscia con l’incredibile nome di Neon di Viper. Deve essere una nuova specie di rettile, così come questo ragazzo Neon è una nuova specie di ragazzo andino cresciuto aggrappato alle nuvole, circondato da draghi e con una grande e vivace fantasia.
"Giuro che il serpe mi ha riconosciuto ed ho allontanato le mie caprette. Ma ora dovrei tornare al campo, dal babbo, perché devo aiutarlo a seminare.  Intanto ti saluto e mi raccomando: stai attenta perché ogni tanto queste vipere mordono anche i loro parenti!”
Saluto il simpatico Neon che corre su per la montagna dietro le sue capre. 
Nella prima pozzanghera fangosa che trovo nel tragitto verso il cantiere, entro con gli scarponi e muovo tutto per vedere se viene fuori Neon di Viper, ma non si vede.
Prendo una manciata dei miei capelli e li butto nell’ acqua.  Poco dopo vedo uscire la testolina di un piccolo serpe che muove la sua linguetta biforcuta.  Allora, il ragazzino aveva proprio ragione! Questo è un paese di draghi e miracoli!
Torno al cantiere per raccontare al mio compagno e agli altri lavoratori la nuova esperienza che ho vissuto in questi mondi aspri, ma puliti e semplici, così lontani dai nostri macchinari, schermi e laboratori scientifici.
Sento che ridono sotto i baffi e il mio compagno mi suggerisce di togliermi il fango di dosso. Nessuno crede che quella vipera della pozzanghera fangosa sia nata dai miei capelli!
In camera, mi guardo allo specchio.  Vedo i miei capelli aggrovigliati di Medusa che svolazzano intorno alla mia testa.  Qualcosa è nata da questa mia essenza serpeggiante e sono felice di aver procreato un essere in questo mondo lontano, diverso, puro e divertente dove abita un ragazzo chiamato Neon, nato una settimana prima di Natale sotto la luce al neon e che vede draghi dappertutto, e dove si trova anche un serpe di nome Neon di Viper, in una qualche pozzanghera di acqua piovana.

 

domenica 18 marzo 2018

FLOWERS di Teresa Regna

I have ever loved flowers. Behind my house there is a little garden in which I grow roses and petunias, carnations and tulips, daisies and violets. I have only one orchid, a rare and precious variety of orchid, which blooms once a year.
I water flowers every day, I cut the withered branches and leaves, I manure the ground at the beginning of every season. I use the best ground I can find for my flowers: they have to grow luxuriant, sweet-scented, with bright colours. In one word: perfect.
I am not sure to love them now. I like flowers, of course. But my present situation is a bit strange: I am imprisoned in the powerful spires of a giant dionaea, which is crushing me slowly. I think I will be its morning breakfast.
I have ever liked flowers. And now I know that flowers like me too.

domenica 11 marzo 2018

LO SCRITTORE di Fabio Calabrese

Il vecchio respirava a fatica, una sorta di sordo dolore chi si era solo in parte abituato, gli gravava sul petto. Sapeva che non c'era niente da fare. L'età, semplicemente l'età. Un essere umano non è fatto di acciaio, e a un certo punto, inevitabilmente, il suo organismo si logora. Il medico continuava a dire:
“Oggi ti vedo bene, ti riprenderai presto”.
Ma l'uomo sapeva che si trattava di una pietosa bugia. Tutte le cose prima o poi devono finire, e presto sarebbe toccato a lui. Stranamente, l'idea della cessazione della sua esistenza non gli incuteva paura, e non provava neppure un senso di risentimento, solo una placida rassegnazione. Poteva ritenersi soddisfatto: aveva vissuto una vita lunga e piena, quasi sempre in salute, non gli erano mancate le soddisfazioni né gli interessi da coltivare, aveva impiegato bene il suo tempo.
“Annie”, chiamò.
“Si, caro, sono qui”, rispose la moglie, “Cosa posso fare per te?”
“Niente di speciale”, rispose lui, “Vorrei solo che mi tenessi la mano”.
La donna allungò il braccio verso il capezzale del letto, fino a stringere la mano del marito.
“Robert, Vanda, Edward”.
I tre figli risposero all'unisono. Robert, il maggiore, venne da pensare al vecchio, era ormai sessantenne. Vanda, “la ragazza” aveva un paio di anni di meno, ed Edward, “il piccolino” aveva ormai anche lui varcato la soglia del mezzo secolo. Il marito di Vanda e la moglie di Edward non erano nella camera, erano di là in salotto a tenere a bada la turbolenta schiera dei nipoti.
Aveva una moglie devota con la quale aveva costruito un rapporto solido negli anni, tre splendidi figli che gli avevano dato molte soddisfazioni e qualche trascurabile grattacapo, e una congerie di nipoti vivaci e schiamazzanti che contribuivano a tenerlo in attivo dopo il pensionamento, e a farlo sentire vivo.
Per molti anni l'uomo aveva lavorato in un ufficio governativo dove era entrato dopo poco aver completato gli studi. Col tempo aveva fatto carriera, non una di quelle carriere esaltanti e fulminee, ma una progressione solida nelle responsabilità e anche nei miglioramenti economici, nel corso della quale non gli erano mancate né la stima dei superiori né l'amicizia dei colleghi.
La fonte principale della stima che aveva ricevuto, anche se non delle soddisfazioni economiche, però derivava da un'altra fonte, la sua attività di scrittore, di scrittore di fantascienza per la precisione.
Ricordava come era cominciato tutto, in una maniera per la verità alquanto singolare: tanti anni prima, si era trovato nella casa dei nonni in vacanza, e rovistando fra le vecchie cose in soffitta, aveva trovato dentro un baule un quaderno le cui pagine erano scritte con la grafia corsiva elegante di epoche passate, aveva l'apparenza di un diario, ma la storia che raccontava era davvero singolare.
Narrava di una spaventosa epidemia che anni prima avrebbe falcidiato la razza umana, riducendo l'umanità da miliardi di persone che popolavano il pianeta, a un gruppo sparuto di superstiti.
Ricordava di aver sbattuto le palpebre per l'incredulità: quella storia non corrispondeva per nulla a ciò che vedeva intorno a sé; poi capì, o gli parve di aver capito: suo nonno o chiunque fosse stato l'autore del diario, aveva voluto probabilmente scrivere un romanzo fantastico.
Si era immerso nella lettura della storia e ne era rimasto affascinato. I pochi superstiti si erano ritrovati a vivere in un'atmosfera di disfacimento e di decadenza, al punto tale che fra molti di loro, incapaci di vivere in un mondo così desolato, si erano verificati diversi casi di suicidio. Qualcuno a questo punto aveva avuto un'idea brillante: era stato costruito un super-computer che proiettava in tutto il mondo una realtà fatta di ologrammi che lo ripopolava di oggetti, animali, piante, persone, soprattutto persone, simulando il mondo che esisteva prima dell'epidemia.
In quel momento sentì una punta di scetticismo. Una storia del genere aveva qualche elemento di verosimiglianza, si poteva davvero scambiare un ologramma per un oggetto o, a maggior ragione una persona reale? Beh, qui l'ignoto autore aveva mostrato una punta di genialità.
Gli oggetti che noi riteniamo solidi, spiegava, sono in realtà composti in grandissima parte di vuoto, vuoto fra le molecole, fra gli atomi e, all'interno di essi, fra il nucleo e gli elettroni che li compongono. Ciò che ci dà l'impressione della solidità e l'impenetrabilità dei corpi, è solo una questione di repulsione elettrostatica. Ottenere lo stesso effetto con degli ologrammi non presentava particolari difficoltà.
Il computer era anche abbastanza potente e complesso da controllare il comportamento di miliardi di simulazioni olografiche in modo che non vi fosse una differenza riscontrabile con quello dei veri esseri umani. In questo modo, la riproduzione del mondo che era stato, si era sostituita alla tragica realtà.
Lo sconosciuto autore però avvertiva: la fine dell'umanità era solo rinviata: se un uomo o una donna senza saperlo si accoppiavano con una simulazione olografica, da un simile rapporto non potevano nascere figli, al massimo il computer poteva generare delle simulazioni olografiche che sarebbero passate per figli della coppia, modificandole nel tempo in modo da simulare la crescita di un essere umano. Allo stesso modo, poteva produrre in una donna la simulazione dei sintomi della gravidanza. In pratica con questo programma, invece di una fine in tempi brevi in un mondo atroce e squallido, spiegava l'autore, la nostra specie aveva scelto una più lunga, inconsapevole, serena agonia.
La trama della storia gli era parsa ottima, avvincente; con pochi ritocchi per renderla più letteraria, ne sarebbe venuto fuori uno splendido romanzo di fantascienza, e così fece, poi mandò il testo a un editore specializzato. Il romanzo fu pubblicato ed ebbe un discreto successo. Si sentì in colpa, perché si rendeva conto di aver commesso tutto sommato un plagio, anche se altrimenti quella bella trama sarebbe rimasta forse per sempre ad ammuffire nel fondo di un baule, così iniziò a scrivere altre storie, romanzi e racconti che furono più o meno tutti regolarmente pubblicati.
Cominciò a farsi un nome, ricevette diversi premi, fu ospite d'onore a diverse conventions di fantascienza, comparve più di una volta in televisione, concesse interviste, firmò autografi.
Ogni tanto lo tormentava un dubbio: e se quello che aveva scritto fosse stato semplicemente reale? Se quel che aveva trovato in quel vecchio baule fosse stato davvero un diario col resoconto di eventi passati di cui si era voluta cancellare la memoria?
In fondo, si chiedeva, incontrando una qualsiasi persona, come facciamo a sapere se dietro la sua fronte c'è davvero una soggettività simile alla nostra, o invece solo il programma di un computer in grado di far replicare a quella simulazione i comportamenti umani?
Ma un conto sono i dubbi metafisici, e un altro conto è la vita concreta, una vita che procedeva serena e regolare, e che era stata ricca e longeva.
Si rivolse alla moglie.
“Mia cara”, disse, “ti prego, fai entrare tutti!”
Annie chiamò dentro la stanza il genero, la nuora e i nipoti.
Il vecchio passò lo sguardo in giro, abbracciando con esso tutti quanti.
“Miei cari”, disse, “vi voglio bene”.
Poi chiuse gli occhi abbandonando la testa sul guanciale e lasciandosi andare.
Il computer centrale prese una decisione: ora che l'ultimo essere umano era morto, il programma non serviva più.
Di colpo, miliardi di simulazioni di esseri umani scomparvero, lasciando un pianeta deserto e silenzioso.     

 

sabato 3 marzo 2018

UNO SFOGO COMPRENSIBILE di Paolo Secondini

«Ecco – maledizione! –, non riesco a capire perché ogni volta dobbiate gridare o ribellarvi o implorare o maledire (perfino insultare e sputare), quando sono sul punto di svolgere il mio lavoro… Mi vedete voi ribellarmi, o mi sentite gridare, implorare, maledire e altro ancora, allorché siete intenti alle vostre occupazioni? Svolgete quanto dovete nel modo più attento, più silenzioso, più concentrato possibile (ed è più che normale, prima che io giunga da voi). Ma se mi accingo alla mia attività, ecco che accade quanto dicevo: sbraitate, urlate, vi agitate come forsennati (è raro che qualcuno di voi assista – finché gli è possibile – al mio lavoro, senza dire una sola parola). Quasi mai, infatti, ottengo rispetto né comprensione da parte vostra. Non che io li pretenda, per carità! Ma detto sinceramente, mi dà sui nervi quel vostro modo di fare, del tutto irriverente e molesto a uno che lavora. Vorrei vi metteste nei miei panni!» disse il killer… poi premette, impassibile, il grilletto della pistola.