domenica 8 dicembre 2013

L'AUTOMOBILE ROSSA di Luisa María García Velasco



Roberto era così assorto che quasi saltò il semaforo. Attese con impazienza che l’omino verde si illuminasse e attraversò la strada come se un gruppo di fate lo portasse in volo. Difatti, qualche pedone girò la testa al suo passaggio. Guardava più in là di ciò che aveva davanti, mosso dai fili del piacere dell’anticipazione. Come chi sta andando a incontrarsi con un antico amore.
Gli mancava il fiato quando si fermò davanti al negozio di giocattoli. Era lì, la stessa insegna rossa: Pinò - Giocattoli artigianali, con un grande pino dipinto, sotto il quale erano disposti allegri burattini e un treno che sorrideva, la vetrina con il suo cavallo di legno e il gioco di costruzioni, e con la casa delle bambole che si illuminava e aveva persino l’acqua in alcuni dei rubinetti. Bambole, libri di racconti, soldatini, orsi di peluche. Tra tutti, gliene era sempre piaciuto uno molto buffo, con un libro in mano e gli occhialetti rotondi appoggiati sulla punta de naso. Ma il vero tesoro era all’interno. Doveva esserci.
Non volle pensarci oltre ed entrò. Il padrone del negozio, un signore anziano alto e magro con un gilè nero e gli occhiali, alzò la testa dal treno che stava riparando su un piccolo tavolo accanto al bancone.
– Sì? Che cosa desidera?
– Signor Pinò, non si ricorda di me? Sono io.
L’uomo si aggiustò gli occhiali e lo guardò con più attenzione. La sorpresa e un gesto istintivo davanti all’imprevisto si affacciarono ai suoi occhi.
– Roberto? Non posso crederci. Sei davvero tu?
Si alzò con difficoltà per abbracciare il ragazzo. Per lui sarebbe sempre stato un ragazzo.
– Come ti sei fatto grande. Un uomo…
– Come vanno le cose qui?
– Come sempre. Non c’è molto da raccontare. Tiro avanti. Ragazzo, mi fa tanto piacere vederti.
Ci fu un breve silenzio, intimo e violento al tempo stesso. Nessuno dei due sapeva come affrontare l’argomento che entrambi avevano in mente.
– Beh… è ancora qui, no?
L’uomo lo guardò.
– Ce l’ha ancora, vero? – la voce gli tremava. Il panico lo colse all’improvviso.
– Mi dispiace. – Il giocattolaio abbassò lo sguardo.
– Le dispiace? Che cosa significa? Mi ha detto che non l’avrebbe mai venduta, che non se ne sarebbe mai disfatto. Lei…
– Il tempo passa. Le persone cambiano. Mi hanno fatto un’offerta che non ho potuto rifiutare. Mi dispiace davvero.
– Non posso crederci. Mi disse che non era in vendita!  Lo sa quanto era importante per me; io stesso avrei superato ogni offerta, in qualsiasi caso…
– Tu non vivevi più qui. Ti stavi facendo adulto nella grande città. Io vendo giocattoli per bambini.
Roberto si aggrappò a un'idea improvvisa: – E chi ce l’ha adesso? A chi l’ha venduta? Forse accetteranno di rivendermela.
– Non so chi siano, da dove siano venuti, né dove siano andati. Dimenticalo, Roberto. Mi dispiace davvero. Non so che altro dirti.
Al giovane vennero subito alla mente centinaia di immagini. Ricordò la prima volta che vide quell’automobile giocattolo. A grandezza naturale! Di colore rosso brillante, con un design spettacolare (o così sembrò a lui). Di legno, come la maggior parte degli articoli del negozio del signor Pinò ma… così reale! A quel tempo lui doveva avere sette o otto anni. In quell’istante decise che quell’auto era il giocattolo dei suoi sogni e che non avrebbe mai potuto trovarne un altro uguale. Che fortuna averla scoperta! Aver trovato per caso un oggetto così straordinario!
Ogni pomeriggio, all’uscita di scuola, Roberto andava alla vetrina per ammirare la sua automobile. Si fermava lì davanti,  con la cartella sulla schiena, e la guardava. Per quindici o venti minuti, a volte di più. Dopo un po’, il proprietario cominciò a notare il ragazzo che visitava giornalmente il suo negozio, senza mai entrare, e vide che l’auto era l’oggetto della sua attenzione. Tuttavia, non disse niente per più di un mese. Poi un bel giorno uscì sulla porta e chiese: – È bella, vero?
Roberto arrossì fino alle sopracciglia. Non sapeva cosa rispondere. Alla fine mormorò, guardando fisso la macchina: – È stupenda.
C‘era qualcosa in quello sguardo che arrivò dritto all’anima del signor Pinò. All’improvviso, inaspettatamente, il ragazzo sembrò raccogliere coraggio e con determinazione, con passione quasi, fissò il giocattolaio con lo sguardo di chi decide di affrontare un toro infuriato.
– Quanto costa?
Ancor prima di ascoltare la risposta, Roberto seppe che non avrebbe mai potuto pagare un giocattolo così. Né  lui né i suoi genitori. Quella era un’automobile per bambini ricchi. Ma l’amor proprio gli uscì spontaneamente. Decise che aveva, almeno, il diritto di chiederlo.
Pinò guardò quel ragazzo, rosso prima di vergogna e ora di orgoglio, che aspettava con sguardo di sfida.
– Non è in vendita – rispose. – La uso come richiamo, per attirare l’attenzione sulla vetrina. Non la vendo. Inoltre, è un ricordo di famiglia.
– Ah.
Roberto non sapeva cosa dire. Da un lato, ne era felice: nessuno avrebbe potuta portarsela via, nessuno l’avrebbe privato dal vederla ogni giorno. Ma lo disorientò sentire che provava anche delusione. Per quanto denaro avesse risparmiato, anche se fosse cresciuto e avesse guadagnato un sacco di soldi, anche se i suoi genitori avessero vinto alla lotteria, non avrebbe mai potuto possedere quell’automobile. Mai e poi mai, in nessun caso.
L’uomo sembrò leggergli il pensiero perché disse subito: – Ad ogni modo la toglierò da lì. È già in vetrina da troppo tempo. Non voglio che il sole la danneggi.
Il sole. A Roberto sembrò che glielo avessero tolto all’istante, e che la sua vita e il suo futuro si fossero convertiti in un cielo molto ma molto nuvoloso.
–Anche se ho un’idea che mi gira in testa… non so…
Un piccolo ramo a cui aggrapparsi, mentre era sul punto di cadere nel precipizio? Il ragazzo ascoltò, senza osare respirare.
– Sto preparando una stanza dei giochi. Sarà una sezione del negozio, e lascerò che i bambini che lo desiderano giochino lì con alcuni dei miei articoli. Quelli non in vendita, ovviamente.
Il bambino, a bocca aperta, si sorprese da solo a domandare: – Perché?
– Perché i giocattoli servono per giocare – sorrise Pinò. – E perché tutti dobbiamo giocare, finché siamo bambini. È qualcosa che nessuno dovrebbe perdersi. Allora, ti sembra una buona idea o no?
– E anche l’automobile starà in questa stanza?
– Sto pensando di metterla lì, sì.
– E quindi… voglio dire… io potrei venire tutti i giorni a giocare un pochino?
– Tu e tutti gli altri bambini. Certo che sì. È questa la mia idea. Credo che a partire da domani sarà già tutto pronto.
Roberto balbettò un grazie e si allontanò in fretta, emozionato, prima che il miraggio scomparisse. Non voleva svegliarsi e scoprire che tutto era stato un sogno. Il signor Pinò si fermò un istante sulla porta, a guardarlo mentre si allontanava di corsa, la cartella sulle spalle, i capelli mossi dal vento.
La mattina seguente si presentò diversa, una mattina di sabato più chiara e allegra del solito. Roberto era già sulla porta, vestito e ben pettinato, quando Pinò aprì il negozio di giocattoli.
– L’auto non c’è più. Questo vuol dire che…?
– Entra. – Il giocattolaio gli fece un occhiolino complice.
– È incredibile!
C’erano la casa delle bambole, i peluche, il treno, i mattoncini. Una stanza grande, enorme, piena di giocattoli meravigliosi. Un teatro di marionette simile a quello dell’insegna sulla porta. Le pareti e il pavimento, entrambi coperti con carta da parati di colore azzurro con nuvole disegnate sopra, davano la strana sensazione di trovarsi in mezzo al cielo, come se si stesse galleggiando. Roberto pensò che il paradiso doveva essere così. E al centro l’automobile rossa, che lo aspettava.
– Avanti, come fossi a casa tua. – Pinò lo spinse dolcemente e poi uscì dalla stanza. – Divertiti – gli augurò prima di chiudere la porta dietro di sé.
Roberto girò un paio di volte intorno al giocattolo, ammirandone tutti i dettagli. Solo dopo qualche minuto osò toccarlo, quasi con devozione, prima di aprire la portiera e sedersi dentro. Un volante, il claxon, i sedili, poco altro.
– Benvenuto.
Ci mise un po’ a rendersi conto che in realtà non aveva sentito nulla. Ma quella parola ancora risuonava nella sua testa.
– Siediti comodo. Sarà il nostro primo viaggio insieme.
Pensò che quello non poteva essere, che i giocattoli non parlano, che alla fine quell’ossessione lo stava facendo diventare pazzo. Ma prima che avesse tempo di rifletterci, la voce tornò a risuonare dentro di lui.
– Non spaventarti. Non sono un giocattolo ordinario. Ti aspettavo.
– Stai parlando a me? – osò chiedere ad alta voce, soprattutto per cercare di mantenere la lucidità ascoltando la propria voce.
– Andremo insieme in posti meravigliosi. Quelli che tu vorrai. Che inventerai per me. Dove preferisci andare oggi? Dovrà essere un posto molto speciale. Tieni presente che sarà il primo dei nostri viaggi. Dev’essere qualcosa che ricorderai per sempre.
Roberto decise che la cosa migliore era lasciarsi andare. Se è un sogno sarà meglio goderselo.  Pensò un momento. Lo avevano sempre affascinato le piramidi e i faraoni.
– Nell’antico Egitto – dichiarò.
Notò come il volante vibrava sotto le sue mani. All’improvviso tutto tremò come se stessero viaggiando a gran velocità. Non vedeva nulla dai finestrini. Chiuse gli occhi. Dopo alcuni secondi, la macchina sembrò fermarsi.
– Ora puoi guardare.
Si trovavano in mezzo al deserto, di fronte a una delle piramidi. Cento schiavi si affaccendavano nella sua costruzione.
– Meraviglioso! È un filmato o qualcosa del genere?
– È molto meglio. Puoi uscire a fare una passeggiata, se vuoi.
– Quindi è reale? Sei una macchina del tempo?
– Sono una macchina dell’immaginazione. Questo vuol dire che posso portarti in qualunque luogo che la tua mente desideri.
– Puoi portarmi a Disneyland?
– Posso portarti a Disneyland così come tu la immagini.
– Quindi non sarò lì per davvero, è così?
– I tuoi viaggi con me saranno fantastici, non reali. Andremo tanto lontano come vorrai, vedremo e faremo ciò che vorrai. Tutto quello che la tua immaginazione sia in grado di contenere.
– Altri pianeti?
– E altri universi. Qualsiasi cosa immagini.
In pochi secondi, cento possibilità affluirono alla sua mente. Poi ricordò un dettaglio importante: – Perché hai detto che mi aspettavi? Perché io?
– Perché solo tu puoi condurmi in posti incredibili. Gli altri bambini non sarebbero capaci di uscire da questa stanza. Non vedrebbero mai al di là della carta da parati.
Roberto ricordò quel primo viaggio e i successivi, nei luoghi più curiosi e lontani, in ambienti insoliti e meravigliosi. Visitarono insieme terre conosciute e sconosciute, sperimentarono sensazioni magiche e indimenticabili, conobbero personaggi storici e di fantasia, e loro stessi furono qualcosa di diverso ogni giorno. Finché al bambino, inspiegabilmente, iniziò a mancare l’immaginazione.
– Non è colpa mia – cercò di giustificarsi. – Sto crescendo, sono quasi un adolescente… Tu sei un’automobile fantastica e abbiamo vissuto insieme avventure incredibili, ma… non erano vere. Quello che voglio adesso – lo sguardo gli cambiò. Guardava oltre le nuvole che adornavano la carta da parati, oltre quel cielo che tutto a un tratto gli sembrava infantile e poco credibile, – ciò che voglio adesso è qualcosa di diverso. Voglio poter vedere, toccare, camminare in luoghi reali. Voglio una macchina vera, che mi porti per davvero in tutti quei posti che abbiamo immaginato. Voglio che le fantasie diventino realtà.
– La realtà non sempre corrisponde alle nostre fantasie.
– Ne sono cosciente. Ma non posso vivere di sogni.
Ci fu un momento di silenzio. Dopodiché la voce della macchina pronunciò quella che sarebbe stata l’ultima frase rivolta a Roberto: – Sei stato un buon conducente.
– E tu un buon giocattolo. Però devo uscire, prendere contatto con il mondo reale.
A seguire ci furono gli anni in città, il liceo, le prime ragazze… e infine, la sua prima macchina. L’illusione di viaggiare e trasformare in realtà i suoi sogni di bambino, l’impazienza prima e la delusione dopo. Le cose non erano mai come le aveva immaginate. Erano molto più grigie, più comuni e insignificanti. La vita in generale lo era.
Gli costò quattro anni decidersi. Diceva a se stesso che doveva essere matto e due minuti dopo si convinceva che non era mai stato così sano di mente. Fu quest’ultima convinzione a vincere la battaglia che lo riportò, infine, al negozio di giocattoli di quel piccolo paese italiano, quella mattina di novembre.
Pinò lo vide uscire dal negozio e attraversare la strada senza guardare, per andare a sedersi su una panchina nelle vicinanze. Tutto a un tratto, sembrava un bambino perso e confuso. Una farfalla piccolina, con il corpo di legno e un cappello a cilindro, ali di seta su un’intelaiatura di filo, scappò dalla vetrina e volando andò a posarsi sulla spalla del giocattolaio, quando questi tornò all’interno.
– Non credi che si meriti un’altra opportunità?
– Conosci le regole.
– Ma è ritornato.
In silenzio, Pinò camminò piano fino a una piccola stanza sul retro. Si fermò un attimo a riflettere contemplando un enorme rilievo coperto con un telo. Infine lo sollevò, lasciando scoperta la vecchia automobile rossa, impeccabile e tanto magica come negli anni precedenti.
– Ci sarà da pulirla e darle qualche ritocco prima di esporla di nuovo.
– Questo vuol dire… – cominciò la farfalla, ancora sulla spalla di Pinò.
– Non è lui. Non è neanche lui. Sembra un compito impossibile. Tutti finiscono col diventare adulti. E io sono molto stanco. Ho bisogno di trovare qualcuno che prenda il mio posto alla fine. Un sostituto.
– Ne avevamo trovato uno, ricordi? Peter.
– Sì, lui sarebbe stato adatto. Ma decise di fermarsi nell’Isola che non c’è. Ho dovuto rispettare la sua decisione.
– Che cambiamenti pensi di fare alla macchina? – La farfalla cercò di cambiare argomento, per animarlo un po’.
– Non so, dovrò aggiornarla, modernizzare il design…
– Come hai fatto con me? Riconosco che essere una farfalla è molto meglio che essere un grillo.
– Immagino ­– annuì il giocattolaio.
– Sei sicuro che non possiamo dargli un’altra opportunità?
Senza dire una parola, Pinò si diresse all’ingresso e guardò la strada. Roberto era ancora seduto sulla panchina.
– Lo vedi che non si può.
Dalla testa, dalle mani e dai piedi di Roberto si innalzavano fili sottilissimi, di colore grigio, che salivano fino al cielo e si perdevano in altezza. Lo facevano sembrare un burattino. C'erano diversi passanti che attraversano la strada e la piazza vicina. Erano tutti appesi a fili colorati: verdi, rosa, azzurri, neri, bianchi. Alcuni multicolore. Certi più grossi di altri. Anche i conducenti d’auto avevano fili, che curiosamente non si impigliavano tra loro, né con i fili degli altri. Solo i bambini correvano o giocavano liberi, senza quella strana condizione che nessuno, tranne Pinò e il giocattolo, sembrava avvertire.
– È già un adulto. Come gli altri. Non c’è rimedio.
– Non puoi essere l’unico, Pinò. Deve esserci qualcun altro.
– Diventare un bambino vero, quello fu il mio desiderio e il desiderio di mio padre. Perdere i miei fili per sempre. Ma per sempre è troppo. È un testimone molto pesante da portare per tanti anni. Ho bisogno di trovare qualcuno che mi sostituisca in negozio. Sono così stanco, amico mio. Anche se la mia mente è quella di un bambino, il mio corpo si deteriora. Certo, molto lentamente, però...
– Beh, questo è lo svantaggio di non essere più di legno per essere finalmente di carne e ossa. – La farfalla cercò di far sì che quella frase suonasse allegra, ottimista. Ma senza risultato. Decise di cambiare tattica e parlò con determinazione. – Troveremo qualcuno, vedrai. Prima o poi.
– Ho pensato che poteva essere lui. Era sul punto di riuscirci.
­– Infatti ci ha ripensato. Ed è tornato.
Guardarono di nuovo Roberto, che in quel momento si alzò piano, come invecchiato, con i fili che muovevano le sue membra e lo conducevano in piazza, fino a quando girò l’angolo e scomparve alla loro vista. Imbruniva e facevano timidamente capolino le stelle. Una brillava in particolare sopra al negozio di giocattoli.
– Sì, è tornato. Troppo tardi – sospirò l’anziano. E scosse la testa, come a voler dimenticare ciò che non aveva più rimedio. – In ogni caso, Pepito, ci sarà da mettersi al lavoro.
E Pinò, come Pepito lo chiamava, l’eterno bambino che non era mai tornato a essere un burattino, entrò in negozio. Sulla sua spalla la farfalla, cosciente che in quel momento non gli restava altra opzione che dimostrargli il suo appoggio in silenzio. Pinò prese lo sgabello, che insieme ad alcuni strumenti era l’unica eredità del vecchio Geppetto e si mise a lavorare all’automobile rossa un’altra volta. Attraverso la finestra aperta la stella illuminava le sue mani rugose ma abili, che tagliavano, pulivano, dipingevano, ritoccavano il giocattolo in modo paziente e amorevole.
Non fu pronto fino a tre settimane più tardi, giusto prima della vigilia di Natale. Quella stessa mattina, una bambina di circa sette o otto anni si fermò ad ammirarla: un’automobile a grandezza naturale! Mai, in tutta la sua vita, aveva visto qualcosa di tanto bello. Era semplicemente perfetta.

(Traduzione dallo spagnolo di Giuliana Acanfora)

8 commenti:

  1. È con grande piacere che diamo il benvenuto, sulle pagine di Pegasus, alla scrittrice spagnola Marìa Luisa Garcìa Velasco. Molto bello e interessante questo suo racconto fantastico, L’automobile rossa; impeccabile, come sempre, la traduzione della bravissima Giuliana Acanfora.

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  2. Davvero un bel racconto: piacevole, accattivante.
    G.S.

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  3. Racconto molto interessante.
    Un'altra ottima scrittrice approda Nel cosmopolita Pegasus.

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  4. Hermoso el cuento del Coche Rojo de Maria Luisa García, lleno de imaginación, de fantasía y emoción. ¡ Felicitaciones !

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  5. Racconto molto piacevole, dalla grande carica emotiva. Il momento in cui si scopre di aver a che fare con personaggi noti arriva come una sorpresa, ma una sorpresa perfettamente coerente con quella che era fino a quel momento l'atmosfera generale. Un benvenuto a Luisa anche da parte mia.

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  6. Il racconto è molto bello, ricco di immaginazione. Procede come una fiaba, mischiado elementi di pura fantasy con altri di carattere fantascientifico (la macchina a mezza strada fra la macchina del tempo e l'aggeggio per far vivere esperienze virtuali). Induce alla riflessione sul rapporto tra fanciullezza e maturità e, in definitiva sul senso della vita. Bella anche al conclusione che dà (come piace a me) un senso di circolarità alla storia. Il modo di narrare, semplice ma nello stesso tempo elegante, ti cattura e non ti lascia più.

    Giuseppe Novellino

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  7. Gracias a todos por su bienvenida y por sus amables comentarios! Y gracias también a Paolo por incluir este cuento en Pegasus, y por supuesto a Giuliana por contactar conmigo y por su excelente traducción. Por cierto, la ilustración me parece preciosa!!
    Encantada de formar parte de todo esto. :)
    Saludos... y hasta pronto.

    Luisa

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  8. Sono felicissimo, cara Luisa Marìa, di averti ospitata su Pegasus, e spero tanto di poter pubblicare, al più presto, altri tuoi racconti, tradotti, ovviamente, dalla brava Giuliana.
    Paolo

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