giovedì 25 aprile 2019

SIVE NATURA di Paolo Durando


Era tra i coloni che, travestiti da pellerossa, gettavano in mare le casse di the. “Così inizia una rivoluzione,” si disse, “a partire dall'acqua.”  E le onde erano nere come l'inchiostro dove lei intingeva l'amata penna d'oca per scrivere di se stessa agli altri.  Un impulso irresistibile la costrinse ad abbarbicarsi ad un parapetto. “Ma devo gettarmi, devo anch'io dissolvermi”.
Di lì a un istante nuotava tra casse e  pulviscolo di the, per poi sprofondare. Dunque morire era quello, un discendere esponenziale. Più ingurgitava acqua, più il suo corpo diveniva un involucro sottile, che andava espandendosi. Ebbe chiara la visione del vasto e ondeggiante reticolato dei suoi capelli, le dita di mani e piedi che si gonfiavano e allargavano, il viso smisurato.
La confezione-membrana delle sue parole non dette,  delle azioni compiute e mancate - quel ricordo elastico e vibrante del corpo che le era appartenuto -  iniziò poi a salire senza attriti.
“Perché dall'acqua si ritorna,” constatò, beata.  Piccole figure umane scure  agitavano le braccia vicino alla sommità, dove pareva sfociare la traccia di luce che la incanalava.
Lei ora poteva arrotolarsi, sentirsi nastro, lingua, medusa.  Infine arrivò in superficie, zampillando. Era a sua volta acqua, liquida armonia, coscienza gorgogliante. Molte bocche, molti occhi, molte braccia. E i loro frammenti. Gocce di sé, che schizzavano ovunque. Intorno si rivelava la rivoluzione dell'acqua, il ritorno festante di una richiesta in sospeso. Natura e origine. Acqua e vapore sullo sfondo di astri in orbita.
“Perché è come dire di sì,” si ripeteva ritrovando l'inizio del percorso, molto tempo prima che le casse di the precipitassero in mare. “Dire di sì al convito degli eoni.” 
Si nutriva ora in un  cielo accecante, sospesa in quella narrazione secolare di piogge.
Acquetta, acquerugiola, acquazzone.   
Acqua sorta, acqua errante. Acqua.

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