venerdì 31 maggio 2013

GLI UCCELLI – un prologo di Sauro Nieddu

                                           
                             
Era una splendida domenica di sole; l'ideale per una bella scampagnata.
Jason Barrimore si era trasferito a San Francisco da qualche mese. Il paesino dell'Ohio in cui era nato, e sempre vissuto, infatti, da qualche tempo gli andava stretto. Così, aveva salutato i suoi genitori e si era trasferito in una grande città. Aveva scelto San Francisco perché un lontano cugino, che lavorava al Chronicle, gli aveva promesso un posto da fattorino nel giornale.
Ma San Francisco, almeno per lui, si era rivelata una grossa delusione; provinciale, zappaterra, ragazzo. Questi erano gli appellativi che la gente gli rivolgeva con maggior frequenza; come se la sua identità non valesse nulla. Nessuno, tra quelli che aveva conosciuto là in città, gli aveva mai concesso un briciolo di considerazione.
Quasi nessuno, perché adesso c'era Betty Anne.
Betty Anne aveva la sua stessa età, e lavorava in redazione, cercando di imparare il mestiere di giornalista. Per Jason era tanto bella che avrebbe potuto fare l'attrice. Anche se quando lui glielo aveva fatto notare, si era limitata ad alzare le spalle e aveva risposto:
«Ho anche un cervello, io. »
Jason, pur non capendo bene il senso della risposta, le aveva sorriso (suo cugino gli aveva spiegato che bisognava fare sempre così, con le ragazze), e lei aveva risposto con un altro sorriso.
Betty Anne era nata e vissuta a San Francisco, ma era sempre stata affascinata dalla natura e dalla vita semplice delle campagne. Così, quando Jason le aveva raccontato da dove venisse, anziché sdegnarlo come facevano tutti, lo aveva tempestato di domande. Si erano incontrati un altro paio di volte, e un pomeriggio avevano persino pranzato assieme, alla tavola calda all'angolo, ma quel giorno era davvero la sua grande occasione.
Era di domenica e, al mattino presto, Betty Anne era passata a prenderlo con la sua vecchia Ford per una scampagnata. A Jason quel particolare non aveva fatto troppo piacere; dalle sue parti, farsi venire a prendere da una ragazza, non era considerato precisamente un comportamento virile. Del resto lui non possedeva una macchina sua. Non aveva nemmeno la patente; al paese, per quanto i ragazzi cominciassero a portare la macchina sin da quando avevano nove o dieci anni, di rado qualcuno sentiva la necessità di mettersi in regola con le legge.
Betty Anne fermò la macchina accanto a un boschetto. Scesero e fecero un giro nei paraggi, senza allontanarsi troppo; ormai era quasi ora di pranzo. Parlavano del più e del meno, confessandosi le loro speranze per il futuro come fanno sempre i ragazzi, quando si ritrovarono in una splendida radura, circondati dal cinguettio gioioso degli uccelli.
«È vero che là in campagna, siete capaci di parlare con gli animali? »
Chiese ridendo Betty Anne.
«Certo! » mentì Jason, che non aveva colto l'ironia. «Stai a sentire! »
Si riempì d'aria i polmoni, e iniziò a imitare, come meglio poteva, i versi degli uccelli.
«Ma sei bravissimo! Continua, ti prego. »
Rise ancora Betty Anne. Jason riprese fiato e continuò a cinguettare.
Dopo un po' si accorsero che il numero degli uccelli intorno a loro era cresciuto a dismisura; sembravano fissarli. Se Betty Anne non avesse avuto una mente da giornalista, avrebbe potuto anche credere che rispondessero.
«Ma allora non scherzavi! »
Esclamò la ragazza, stavolta con sincero stupore.
«Certo che no! »
Replicò Jason con sicurezza, anche se in realtà era più stupito di lei. Continuò a cinguettare ancora per qualche minuto, mentre gli uccelli continuavano ad affluire, poi tornarono verso la macchina, dove avevano lasciato le vivande.
Entrambi erano piuttosto euforici, e a Jason parve il momento più bello della sua vita. Cinse Betty Anne con un braccio e cercò goffamente di baciarla. Lei si ritrasse. Lui assunse un’aria ferita.
«Oh Jason! » disse piano Betty Anne. «Mi dispiace se in qualche modo ti ho illuso, ma devi sapere...
Scusate, a questo punto è meglio lasciar soli i ragazzi; è giusto che godano di un po’ di privacy, mentre vengono a capo dei loro patemi amorosi.


Poco dopo che Jason e Betty Anne avevano lasciato la radura, un corvo arrivò e prese posto accanto a un passero.
«Salve amico! Ma è vero quel che si dice in giro? Mi sono arrivati certi cinguettii... »
«È tutto vero, purtroppo. » annuì tristemente il passero. «se fossi arrivato qualche spicchio di sole fa, avresti sentito con le tue stesse orecchie; l'ambasciatore se n'è appena andato! »
«Ha spiegato almeno perché gli umani hanno deciso questa guerra totale contro di noi? »
Chiese ancora il corvo.
«Lo ha spiegato, ma in realtà non è stato molto chiaro; aveva uno accento strano. Da quanto ci ho capito, c'entra qualcosa il controllo del territorio; credo che disturbiamo il volo di quei loro uccelli meccanici... »
Il corvo scosse il capo.
«E tu ci credi? Io penso che sia la solita vecchia storia; gli umani non sopportano che noi mangiamo. Secondo loro non dovremmo mangiare i semi, non dovremmo mangiare i pesci, non dovremmo mangiare i frutti... di cosa dovremmo vivere secondo loro, d'aria? »
«Però bisogna ammettere una cosa. » concesse il passero «almeno stavolta si sono presi la briga di farci una dichiarazione di guerra formale.»
«Non hai tutti i torti » riconobbe il corvo «dev'essere la prima volta in tutta la storia che gli umani si comportano con una certa correttezza. »
«Se non altro ci hanno lasciato il tempo per organizzare le difese… »
«A proposito... » disse il corvo mentre spiegava le ali. «anche noi dovremmo svolazzare via da qua e andare a spargere la voce. »
«Giusto! Non c'è davvero tempo da perdere.»
Confermò il passero.
E, detto ciò, spiccarono il volo.

mercoledì 29 maggio 2013

NUOVE STORIE DALLO SPAZIO – recensione di Giuseppe Novellino


NUOVE STORIE DALLO SPAZIO

Si tratta di un vero e proprio viaggio nello spazio. A volte intravediamo il nostro pianeta Terra, sperduto tra tanti altri mondi, dispersi nelle infinite pieghe della Galassia. Non è un itinerario
organizzato, non procede secondo un unico punto di vista. Si vedono le cose, le più strane, da diverse angolature.
Niente di più eccentrico in questa siderale avventura, costituita da momenti diversi. Chi legge ha la sensazione di smarrirsi in un cosmo multiforme e sfuggente, che ospita anche noi, certamente. E ci dà la sensazione di essere granelli di sabbia portati dal vento. Quindi spetta al lettore mettere un po’ d’ordine, farsi in qualche modo creatore e individuare i tratti di un disegno.
Perché c’è proprio di tutto. Un caleidoscopio di immagini, di personaggi, di atmosfere, di mondi (anche virtuali) lontani e assai prossimi. Per esempio la realtà dei satelliti artificiali che ruotano intorno al nostro pianeta, vera e propria spazzatura incrementata anche dai residui di attrezzature spaziali. Ci vuole allora uno spazzino, un vero e proprio “spazzacamino delle stelle” che faccia un lavoro per bene.
Ma ci troviamo a vagare anche sul nostro pianeta, più o meno lanciato nel futuro. Che ne dite, per esempio, di una elite di fricchettoni super tecnologizzati che decidono di vivere sottoterra? E di un’epidemia di zombie sventata da un gruppo di guardiani dei mondi inferiori (il nostro è uno di questi), che ci spiano dalle pieghe dello pseudospazio? E di coloro che hanno inventato il modo di essere immortali affidando la loro anima a una supermacchina?
Ci sono meraviglie, per tutti i gusti. C’è l’esperimento sorprendente dell’uomo che viaggia alla velocità della luce. Possiamo incontrare creature più o meno umane, in angoli remoti della galassia. Sperimentiamo (con l’immaginazione, è ovvio) che cosa significhi fare l’amore con una bella donna aliena, la quale, seguendo l’istinto della sua razza, sente il desiderio di divorare il maschio dopo l’amplesso. Possiamo accostarci al super computer Cronos che ci apre un mondo pieno di inquietanti interrogativi filosofici. Assistiamo all’incredibile duello di gladiatori robot. C’è perfino un nuovo Noè, impegnato nella sua grande missione. Ma ci imbattiamo in tante altre situazioni sorprendenti, tra le pieghe del tempo e i corpi sperduti nell’immensità cosmica.
È una bella antologia, che si presenta in una veste accattivante e che regala momenti di autentico godimento. Racconti di media lunghezza, scritti bene, dalla mano non solo di appassionati del genere, ma anche di autori di notevole fama come Vittorio Catani, Giorgio Sangiorgi e Pierre Jean Brouillaud. Paolo Secondini, il curatore dell’antologia, si è prodigato con cura e pazienza per regalarci un libro di notevole qualità.
Per concludere, li voglio ricordare questi scrittori, in ordine, per così dire, d’apparizione: Daniela Manzini, Vittorio Catani, Giuseppe Costantino Budetta, Paolo Secondini, Giorgio Sangiorgi, Pierre Jean Brouillaud, Matteo Bigarella, Massimo Mongai, Giuseppe Novellino, Rita Di Sotto, Annalisa Seveso, Damiano Lotto, Domenico Maiolo, Alessandra Paoloni, Sauro Nieddu.
Buona lettura! Anzi, buon viaggio nello spazio.
(Letteratura Fantastica – Lulu.com)

martedì 28 maggio 2013

AA VV. PEGASUS SF

E' disponibile presso Lulu.com l'antologia PEGASUS SF
PEGASUS SF
Il primo volume dell’antologia Pegasus SF contiene undici racconti di autori vari: racconti avvincenti e suggestivi di fantascienza di vario genere e tutta italiana.
L’antologia è arricchita con illustrazioni in bianco e nero e una introduzione di Giuseppe Novellino.
Dei racconti sono autori Vittorio Catani, Danilo Concas, Sergio Bissoli, Damiano Lotto, Sauro Nieddu, Giuseppe Novellino, Gianni Sarti, Paolo Secondini.

http://www.lulu.com/shop/a-cura-di-paolo-secondini/pegasus-sf/paperback/product-21040982.html

LA PITTURA FANTASTICA DI ARCIMBOLDO

                            
Dei pittori fantastici italiani, uno tra i più famosi fu, senza dubbio, il milanese Giuseppe Arcimboldo, vissuto nel 16° secolo.
I suoi ritratti – considerati veri capolavori del grottesco – sono ottenuti mediante l’accostamento di elementi naturali: fiori, frutta, ortaggi, animali ecc.
Una pittura giocosa, la sua, ma dagli aspetti peculiarmente allegorici e surrealisti.

lunedì 27 maggio 2013

MYTHOS: IL RE DELLE FORMICHE


Tra i molti amori di Zeus, la mitologia greca ricorda anche quello con la bella Egina, figlia del fiume Asopo.
La fanciulla, rapita dal padre degli Dei, fu condotta sull’isola di Enone, che da lei, in seguito, prese il nome di Egina.
Dalla loro unione nacque un figlio, Eaco, il quale, divenuto adulto, reclamò il diritto di governare, come sovrano assoluto e incontrastato, sull’isola.
Siccome questa era abitata soltanto da formiche, Zeus, per compiacere suo figlio, trasformò quegli insetti in uomini, i Mirmídoni, su cui Eaco governò per diversi anni con saggezza e giustizia.

P. S.

domenica 26 maggio 2013

LE CASE STREGATE IN LETTERATURA di Sergio Bissoli

 
 (Copertine di libri di J. P. BRENNAN)

Incominciamo con LA CASA VUOTA (The empty house) di Blacwood. L’anziana signora Julia, seguace dello Spiritismo, si fa accompagnare dal nipote dentro una casa abbandonata, di notte. Un fatto grave è accaduto in quella casa, tanti anni prima. La casa al Numero 13, nella piazza deserta, nel plenilunio invernale, appare maligna e poco rassicurante.
Zia e nipote entrano e iniziano l’esplorazione alla luce di una candela. Attraversano stanze vuote, corridoi sinistri, scale scricchiolanti dalla cantina fino ai solai. È un viaggio nei meandri della casa e nella psiche dei protagonisti, alla ricerca di un segreto orribile e pericoloso.
LA CASA SFUGGITA (The shunned house) di Lovecraft è situata in Benefit Street. Strani funghi infestano il giardinetto e odori mefitici provengono dall’abitazione abbandonata e derelitta. Il dottor Whipple e suo nipote decidono di risolvere il mistero. Compiono ricerche storiche negli archivi, esplorano di giorno l’edificio. Alla fine decidono di trascorrere una notte dentro la malsana e umida cantina della casa. La veglia, durante una notte piovosa, è carica di tensione e di terrori inespressi. Qualcuno o qualcosa sta in agguato dentro alla casa. Ma quando e in quale forma si manifesterà?
Ancora Blackwood con LA CASA NEL PASSATO (The house in the past). Racconto breve ma inquietante che racchiude in sè tutti gli interrogativi più profondi dell’esistenza, tutto il mistero irrisolto della Vita. Scritto con delicata poesia, il racconto vibra di nostalgia e malinconia, in bilico tra la veglia e il sonno. La casa è strapiena di ricordi e le sue stanze simboleggiano forse le nostre vite passate?
Joseph Payne Brennan in UN EPISODIO IN CAIN STREET (Episode on Cain Street) si aggira in un villaggio abbandonato, fra case decrepite in attesa di venir demolite. Il racconto è struggente e contiene tutta la sofferenza per il tempo che scorre, per le cose perdute, gli amori passati, la giovinezza finita. Gli oggetti vecchi, i luoghi della memoria aiutano a ricostruire un passato ormai lontano e perduto. Ma fino a che punto? Qualcuno riesce forse a trattenere questo mondo fragile fatto di resti e di ricordi, ma a quale prezzo?
Brennan ritorna sul tema con altri stupendi racconti. LA CASA IN HAZEL STREET (The house in Hazel Street) è abitata da un vecchietto ultranovantenne che espone la sua bizzarra teoria per spiegare il tempo.
DENTRO LE PIETRE (In the very stones) di J. P. Brennan. Intere vite sono trascorse dentro una casa e forse non tutto è completamente svanito. Le emozioni forti restano impregnate nei muri di una abitazione. Anche dopo che sono trascorsi gli anni, un sensitivo o qualcuno in uno stato mentale particolare, è in grado di percepirle.
Ancora J. P. Brennan in LA CASA AL NUMERO 1248 (The house at 1248). A quel numero di State Street in New Haven si trova una casa a due piani, di mattoni rossi. La storia racconta il ritorno del protagonista nella casa dell’infanzia, dopo tanti anni, in un pomeriggio di ottobre. La casa è abbandonata e sta per essere demolita. Nei dintorni sorgono case nuove abitate da famiglie nuove, da persone sconosciute. Tutto è cambiato, tutto è mutato, eppure....
L’elenco dei racconti che trattano case inospitali non finisce certo qui. Ricordiamo ancora LA CASA SULL’ABISSO di Hodgson. LA CASA DI INFERNO di Matheson. LA CASA STREGATA di Bissoli, che è il resoconto di un fatto autentico. Questo racconto si trova in LA RAGAZZA DEL PAESE STREGATO E ALTRI RACCONTI dell’Editore Hypnos.

sabato 25 maggio 2013

UN RINGRAZIAMENTO


A più di tre mesi di “vita” di LF – Letteratura Fantastica, è doveroso, da parte mia, ringraziare tutti gli scrittori che, con i loro stupendi racconti, hanno reso possibile questo blog, e tutti i lettori, italiani e stranieri, che lo hanno seguito e spero continuino a farlo con simpatia e interesse.

Paolo Secondini

venerdì 24 maggio 2013

CROSSROADS BLUES di Sauro Nieddu

                          

A Giuseppe Novellino, che con la sua fissa dei Rokes mi ha fatto venir voglia di scrivere qualcosa di musicale
E a Tommy Johnson, cui qualcosa di simile è effettivamente accaduto
 
 
Siedo in terra a un incrocio
affamato sotto la pioggia
Siedo in terra a un incrocio
senza un soldo sotto la pioggia
Siedo in terra a un incrocio
senza un soldo nella notte
Le dita rigide sulle corde della mia chitarra

L'uomo in nero sorride
e il gelo avvolge il mio cuore
L'uomo in nero sorride
e qualcosa cambia nel mio cuore
L'uomo in nero sorride
e mi tende una mano nella notte
Io la prendo perché ormai sono un uomo finito

Oh baby, ora le mie dita sono fulmini lungo le corde della mia chitarra
Oh baby, ora la mia voce fa venire una donna giusto col suo suono
Ho la pancia piena ora, baby, e dormo su un letto di piume
La mia chitarra nuova urla e geme, e l'uomo in nero è giusto un ricordo

A volte mi chiedo, baby
quanti incroci può passare un uomo
A volte mi chiedo, baby
quanti incroci può aggirare un uomo
Oh quanti incroci, baby
prima di incontrare un uomo in nero
Perchè, baby, lo sai, l'uomo in nero prende sempre la sua paga

giovedì 23 maggio 2013

L’UOMO CON LA CHITARRA di Giuseppe Novellino




     - Allora?
     - No.
     - Nemmeno posso venire io, da te?
     - No.
     - Domani?
     - Domani è sicuro, non ci vediamo.
     - Bel ferragosto!
     - A me lo dici? Noi donne siamo le più sacrificate.
     Il suo rapporto con Michela era ormai arrivato al capolinea. Il fatto che lei dovesse accudire la nonna semiparalizzata gli sembrava solo un pretesto. Michela aveva una sorella più piccola, che stava ancora in casa.
     - Non ti possono lasciare in pace, almeno a ferragosto?
     - Nonna Marina, a ferragosto, è sola più che mai. Ha bisogno di me. Sono la sua nipote preferita.
     Alla fine Marco si arrese.
     - Va bene, se le cose stanno così…
     - Sarà per dopodomani. Ciao.
     - Ciao – disse lui con un filo di voce.
     Gli dispiaceva che la relazione stesse finendo. Ma la rottura dipendeva più da lei che da lui. Marco non era disposto a mendicare la sua compagnia. Aveva una dignità, dopotutto.
     Abbassò il ricevitore e annusò con disgusto l’aria stantia, afosa, del salotto tappezzato, ancora odorante di frittura.
     Viveva da solo. Michela non aveva mai condiviso l’appartamento per più di sette od otto ore di seguito. Il più delle volte Marco si ingozzava del cibo che andava per la maggiore fra quelle mura: surgelati “Findus”. Ne aveva una bella scorta. Quando i giorni erano feriali, la sua condizione di solitario gli risultava passabile, ma in quelli festivi…
     Bel ferragosto! Solo come un cane.


     A cosa attaccarsi, allora? Inevitabile: vodka gelata al limone e musica jazz. E poi, magari, una dormitina.
     Desiderava ascoltare la chitarra. Cercò un disco con vecchie incisioni di Charlie Christian. Ma l’occhio gli cadde sulla copertina bisunta e sbiadita di Che mondo strano. Da adolescente era un fan dei Rokes. Chissà da quanto non ascoltava quel vinile a trentatré giri.
     Un bicchierino, due, tre. Un piacevole torpore lo invase.
     Poi, mentre Shel Shapiro inseguiva con la voce ricami elettrici e una soffice percussione, Marco fu scosso dallo squillo del campanello.
     Forse era Michela. Possibile che avesse cambiato idea?
     Barcollando, con la testa annebbiata, andò ad aprire.
     La musica, accompagnata dalla vodka, gli aveva fatto uno strano effetto, doveva ammetterlo. Ma non si sentiva male, anzi.
     - Con chi ho il piacere… - cercò di chiedere all’uomo che era apparso nel riquadro della porta.
 - David Norman Mellito, suonatore a domicilio.
     Il tizio non era più giovane, aveva i capelli lunghi, grigi, raccolti in una coda. Indossava uno spolverino come quelli che si vedono nei film western, aperto sul petto nudo e villoso. In testa, una tuba nera.
     - S’accomodi. Gradisce un bicchiere di vodka? – lo invitò Marco, per niente turbato dalla stranezza dell’uomo e dal suo improbabile abbigliamento.
     - Potrei suonarle qualcosa, dal vivo… – propose il tizio.
     - È  quello che mi ci vuole! – approvò Marco. Si sentiva stranamente euforico.
     L’uomo materializzò una chitarra a freccia, come quella dei Rokes, posò l’insolito copricapo sul tavolino e prese a suonare, riempiendo la stanza di calde note vibranti.
     L’effetto fu tutto interiore. Il cuore di Marco si mise a danzare all’impazzata e la sua anima a fare capriole.
     Una specie di nebbia cominciò a prodursi dalle dita nervose del suonatore e avvolse ogni cosa. Solo quando divenne fittissima, la musica si affievolì, come perdendosi in lontananza.
    

     Marco si trovò davanti Michela.
     Era uscita dalla nebbia.
     - Tu… qui?
     - Sì. Nonna Marina, all’ultimo momento, mi ha lasciata libera. Tutto il pomeriggio. Ti va?
     Di certo era venuta a trovarlo così, tanto per dargli un contentino.
     - E me lo chiedi? - disse Marco, sospettoso. Poi, guardandosi intorno: -  David Norman Mellito, il suonatore di chitarra, dov’è?
     La ragazza scosse il capo in segno di rimprovero. –  Tu, piuttosto, in pieno ferragosto, dormi con la porta spalancata?
     - Io… vedi, un momento fa… c’era lui… David…
     Michela tolse la mano da dietro la schiena: teneva qualcosa di nero e di cilindrico.
     - E poi – disse la ragazza, - che ci stava a fare qui, sul tavolino, una vecchia tuba? Non siamo a carnevale.


mercoledì 22 maggio 2013

LE DUE ARPE di Paolo Secondini



Dai neri cancelli della notte pendono due arpe: una è lucida, grande, splendente di perle e pietre preziose, che al chiaro di luna sembrano lacrime di stelle; l’altra è piccola, scura, brutta a vedersi, dalle corde contorte e arrugginite.
Un suono si leva melodioso nel silenzio della notte, e quanti lo ascoltano pensano all’arpa più grande e più bella. 

* * *
Sui neri cancelli della notte un’arpa soltanto gli uomini hanno voluto che restasse, quella splendente di perle e pietre preziose; l’altra, piccola e brutta, l’hanno donata a un vecchio mendicante, perché la portasse con sé nel suo continuo vagabondare, cercando di trarne qualcosa per vivere.
Ora, nel silenzio della notte, una voce si leva sgraziata, lamentosa, dall’unica arpa, quella lucida e grande; una voce che, irrompendo nei sogni, atterrisce i cuori, trasforma, in grida spaventose, i sospiri degli innamorati.
Un suono invece si ode, soave e melodioso, lontano, in ignote contrade del mondo.



martedì 21 maggio 2013

IL QUINTO PRINCIPIO, romanzo di Vittorio Catani



 C’è molta carne al fuoco. Bisogna però dire che il contenitore è capace. Si tratta di un romanzo corale di ampio respiro, il cui disegno complesso viene tratteggiato con maestria da un decano della fantascienza italiana.
Il mondo evocato è il nostro amato pianeta nell’anno 2043.
Ne capitano di cotte e di crude. Il lettore si trova davanti una serie di avvenimenti che hanno tutta la caratteristica di una resa dei conti. Sì, la Terra è arrivata alla frutta, per il semplice fatto che l’evoluzione dei suoi abitanti ha raggiunto l’apice di un progresso alienante, dove gli egoismi privati la fanno da padrone, dove la tecnologia ha regalato all’uomo possibilità incontrollabili e dove si sta instaurando una nuova forma di globale tirannia.
I personaggi sono tanti, rappresentano un po’ tutte le condizioni sociali, ma si possono classificare in due categorie: gli schiavi e i padroni. Il maggiore rappresentante di questi ultimi è un certo Yarin. Egli e i suoi simili si stanno spartendo il mondo in tante proprietà private. Il capitalismo ha raggiunto la sua massima evoluzione (in senso negativo), che poi appare come una vera e propria involuzione. I super ricchi sono come dei signori feudali e si ritrovano per lo più concentrati a Diaspar, un’immensa città esclusiva nel bel mezzo della Foresta Amazzonica. I loro maggiori esponenti si scannano a vicenda (non solo metaforicamente) per arraffare il più possibile. E con immense somme di denaro provano a togliersi tutti gli sfizi. Quanto costa, per esempio, l’Antardide? Ebbene, Yarin deve fare i conti con un avversario altrettanto cocciuto e bramoso. Si celebra allora un’asta che ha dell’incredibile.
Miliardi di esseri umani sono soggetti al potere di pochi. Risultano semplici consumatori, ma devono acquistare beni sempre più esigui e sempre meno naturali. Vivono come le termiti in megalopoli degradate. New York, per esempio, è diventata un luogo invivibile e si è in gran parte sviluppata nel sottosuolo. Ma tutti (sia loro che gli abbienti) possono usufruire della PEM, l’ultima, sorprendente evoluzione del telefonino. È una specie di protesi, applicata sulla calotta cranica. Fornisce all’utente possibilità incredibili di comunicazione: parlare ma anche semplicemente trasmettere i pensieri. Come tutte le diavolerie che hanno a che vedere con l’informatica, la PEM è vulnerabile ai virus. Ma essendo il rapporto tra cervello e apparecchio talmente stretto, anche l’organo umano può subire aggressioni, e quindi anch’esso deve essere sottoposto a scansioni protettive.
In questo scenario molto variegato e complesso, si dipana una vicenda che sostanzialmente è molto semplice, pur nelle sue numerose ramificazioni: la lotta tra gli sfruttati e gli sfruttatori. Ma con qualche complicazione. Il mondo è soggetto a cataclismi inspiegabili, che poi verranno messi in relazione con l’avverarsi del misterioso Quinto Principio. Inoltre qualcuno ha trovato una terza via per la risoluzione del problema mondiale. All’alternativa se ribellarsi o sottomettersi, se ne è aggiunta un’altra: fare i bagagli, chiudere il gas, infilarsi nel Trasmettitore e trasferirsi nel Mondo B. Che cos’è? Lo scopra, con pazienza, il lettore.
Si tratta di una storia avvincente, narrata con un linguaggio moderno, spigliato, non privo di eleganza, dai toni ora lirici, ora avventurosi, ma anche speculativi e filosofici. Una bella lettura per riflettere sugli scenari futuri, e possibili, di questo nostro pianeta. Essi, infatti, si basano sui problemi di oggi e possiedono una carica di suggestione notevole.
Ma si dovrebbe segnalare un difetto. Il futuro immaginato, benché verosimile e inquietante, è troppo vicino. La data scelta dall’autore (2043) è proprio dietro l’angolo e certe cose, in quell’anno, risulterebbero (per fortuna) alquanto premature.
Giuseppe Novellino

lunedì 20 maggio 2013

RICORDO DI JOSEPH PAYNE BRENNAN di Sergio Bissoli

C’è una grande differenza fra le storie di Brennan (1918 - 1990) e quelle degli altri autori americani.
Solitamente gli autori americani descrivono l’ambiente in modo frettoloso e marginale: una cittadina qualunque, una metropoli, un appartamento anonimo (oppure una ambientazione esotica che suona falsa).
Brennan invece è molto più accurato e convincente.
Egli predilige vecchie case, paesi rurali, villaggi decrepiti che posseggono tutta la potenza e l’intensità del vissuto.
Altra caratteristica presente unicamente in Brennan: questo autore descrive la sofferenza provocata dallo scorrere del tempo. Come conseguenza del passare del tempo, le case, i paesi, i luoghi cambiano e questo dà all’uomo un senso di insicurezza, un dolore psicologico per la perdita di capisaldi nel percorso della vita.

domenica 19 maggio 2013

PERDERSI di Sauro Nieddu



La ragazza, chiaramente una prostituta, stava lì immobile ad aspettare.
Quando Marco le passò di fronte non poté fare a meno di notarla. Marco non era il tipo che andasse abitualmente con le prostitute. Anzi, al contrario, non era mai stato con una donna a pagamento. Neppure lo aveva mai desiderato. Eppure... questa ragazza lo attirò con una forza irresistibile, come il Maelström può attirare una barchetta di carta.
Non dovete pensare che fosse il suo corpo, per quanto eccellentemente proporzionato e adeguatamente esposto, ad attrarlo con tale violenza. Né si potrebbe dire che la calamita fosse celata in qualche particolare nell'atteggiamento di lei. Forse tutto dipese solo dai suoi occhi.
In effetti, la prima cosa che fece voltare Marco verso la ragazza in particolare, fu davvero la perfezione del suo corpo.
Certo, che da lei emanasse una certa aura di innocenza, così diversa dall'arrogante sensualità delle sue colleghe poco distanti, ebbe il suo peso.
Ma fu solo quando si fermò di fronte a lei, quando la guardò negli occhi, che il desiderio di averla prevaricò tutti gli altri sentimenti.
Quegli occhi... occhi imperscrutabili, a cui sarebbe stato difficile attribuire un colore o un umore. In quegli occhi pareva nuotare un'infinità di riflessi, come pagliuzze cangianti che esprimevano ciascuna una differente personalità. Per Marco il sesso a pagamento era quasi un tabù, ma in quel momento il desiderio lo prese con una forza irrefrenabile e avrebbe pagato qualunque prezzo pur di averla. Allo stesso tempo, però, lo colse del tutto impreparato, e non poté far altro che restare immobile di fronte a lei.
A quanto pareva, nonostante l'aura d'innocenza, la ragazza sapeva il suo mestiere.
Rendendosi conto di averlo preso all'amo, semplicemente gli tenne la mano e lo attirò verso l'androne del palazzo. Lui la seguì docilmente attraverso l'entrata.
Mentre salivano la prima rampa di scale, Marco fu colto da un’erezione, inaspettata quanto violenta. Gli occhi non si staccarono per un solo istante da quella figura ancheggiante, quasi temesse, assurdamente, che dopo averlo adescato la ragazza potesse fuggire da lui.
Mentre montavano la seconda rampa, si stupì di se stesso; non avrebbe mai creduto di poter provare quel tipo di desiderio, quello che ti costringe ad andare a fondo alla cosa, vada come vada.
Se ne chiese il motivo.
Durante la terza rampa trovò la soluzione. Erano i suoi occhi; dietro a quegli occhi pareva non esserci una singola personalità, ma centinaia, forse migliaia, forse tutte le personalità. E il suo membro... avrebbe avuto tutto. Si immaginò a sposare quegli occhi, ad averli accanto a ogni risveglio, e gli parve una cosa folle, o meglio, una cosa che lo avrebbe portato alla follia; sarebbe stato troppo.
Ma averla ora... solo una volta certo, ma tutto; gli sarebbe bastato per sempre.
Appena lei richiuse la porta della camera, la gettò sul letto, le strappò di dosso i pochi abiti che indossava. In un attimo fu sopra di lei, poi dentro di lei. E mentre la possedeva con violenza ebbe, non uno, ma mille orgasmi nello stesso istante.
Mentre la possedeva, guardava i suoi occhi, occhi che contenevano una miriade di mondi. Il suo sguardo entrò negli occhi di lei, e sentì di possedere tutti quei mondi, era dentro di lei; in qualunque senso possano essere intese queste parole. L'orgasmo finale lo scosse come uno spasimo di epilessia, ottenebrò la sua mente fino ad annullarlo.
La ragazza uscì sola, chiudendosi alle spalle la porta della stanza vuota. A prima vista nulla era cambiato in lei. Soltanto chi avesse osservato con molta attenzione i suoi occhi, avrebbe potuto notare che una nuova pagliuzza cangiante, un nuovo riflesso tra i molti, splendeva adesso in fondo al suo sguardo.

sabato 18 maggio 2013

LA MACCHINA di Maurizio Setti


L’uomo attraversò il cortile con affanno. Sul suo volto si potevano scorgere i primissimi segni di ansia mista a un’evidente paura. Era da tempo che non si sentiva così.
Erano passati più di dieci anni da quella prima volta in cui, aprendo la porta del garage, vide solo tre pareti nude.
Questa volta non doveva più accadere. Voleva trovarsela di fronte come ogni mattino, dopo averla salutata con riverenza,le avrebbe dato una lustrata e con garbo sarebbe salito, accomodandosi su quel soffice e confortevole sedile in pelle.
Mancavano solo pochi metri e avrebbe raggiunto la sua prediletta. Mise la mano in tasca per estrarre il capiente mazzo di chiavi, cercò alla rinfusa quella giusta da infilare nella serratura, quando un rumore all’interno del box catturò la sua attenzione.
Avvicinò l’orecchio alla porta metallica e contemporaneamente tirò un sospiro di sollievo.
“Quei dannati topi, ma prima o poi…” esclamò. Infilò la chiave nella serratura, girò la maniglia ed aprì lentamente.
Lo sguardo dell’uomo pareva vitreo, come in preda a un’estasi.
Ciò che gli si presentava davanti simboleggiava il traguardo raggiunto, il coronamento di un sogno di un’intera vita.
Estrasse di tasca il telecomando a infrarossi, il momento era giunto. Il suo stato di eccitazione era tale da farlo fremere per qualche secondo. Ritornò in sé. Chiuse gli occhi. Pigiò l’interruttore, ma un abbaglio accecante lo riportò nello stato di coscienza. L’ultima cosa che vide furono due fanali accesi, sopraggiungere a folle velocità.