martedì 29 gennaio 2019

IL FORESTIERO PRODIGIOSO di Adriana Alarco

Il giorno che la nonna scomparve, pensai che se ne fosse andata via assieme alle sue pitture che svanivano da un giorno all’altro.
Seppi poi che non era così. Invece, era morta e avevano seppellito il suo corpo nel cimitero del paese in mezzo ai carrubi, anche se allora pensavo che il suo spirito vagabondasse nella vecchia dimora, consigliandoci all’orecchio, sorridendoci con bontà e facendoci scoprire i segreti più nascosti.
Dopo la notizia, arrivammo un pomeriggio a quella casona dove avevamo trascorso tante domeniche felici in mezzo al trambusto dei cugini e ai rimproveri della vecchia Ignazia, nera come il carbone che usava per cucinare nella scura cucina macchiata di grasso, dietro al pollaio. Neanche il gallo cantava e tutto intorno c’era tristezza per la scomparsa dell’anziana. Gli zii erano taciturni, le zie vestivano in nero e nella fattoria non regnava più quell’allegria né quella complicità fra i cugini che trasformavano le domeniche in casa della nonna in giorni di cospirazione, confabulazione e intrighi.
Trovai i tubetti delle pitture a olio e i pennelli di peli di martora logori per l’uso dentro una scatola di legno. C’era pure la tavoletta per mescolare i colori. Fu quello stesso pomeriggio che arrivammo per distribuire fra noi qualche oggetto di ricordo appartenuto alla nonna. Scoprii la scatola di pitture dietro l’enorme vasca di metallo smaltato con piedi di leone dove mi nascondevo da piccola. Era la stessa che ci sembrava una piscina, quando facevamo il bagno dentro, e che si trovava nella sala da bagno con ceramiche bianche e blu. La scatola era proprio li, avvolta in una tela sotto la vasca.
Ricordavo che quell’astuccio fu portato in regalo da un forestiero che si sedette con noi a tavola una domenica nella soleggiata dimora della nonna. Rammentavo quella mattina calda mentre svolazzava nell’aria il penetrante odore del gelsomino che fioriva in un angolo del cortile.
Si metteva a un lato del tavolo un posto per il forestiero, tutte le domeniche, perché passava da quelle parti gente sconosciuta che suonava alla porta e non lasciavamo mai andare via nessuno senza servirgli un piatto di riso e fagioli assieme a qualche salciccia fatta in casa.
Quella mattina fu speciale perché a un certo momento incominciò l’eclissi che oscurò i dintorni come se fosse arrivata la sera e la pallida luce che riflettevano i vetri colorati delle porte finestre dava un tono spettrale all’ambiente.
La nonna fece sedere al tavolo il forestiero, anche se arrivò coperto con un cappuccio. Noi nipoti stavamo tutte zitte giacché l’eclissi ci aveva messo in ansia, in attesa della risposta alle nostre domande, come: uscirà ancora il sole? Avremo sempre la nebbia intorno? Forse l’oscurità schiaccerà col suo silenzio le nostre vite?
L’incappucciato mangiò i fagioli senza scoprirsi e non potevamo guardarlo in faccia. Eravamo insolitamente immobili vedendo le candele accese nei candelabri. Soltanto il minore di tutti noi osservava irrequieto, con la coda dell’occhio, cercando di smascherarlo, ma riuscì a vedere soltanto la sua mano con quelle dita incredibilmente lunghe. Allora, la forchetta gli tremava in mano per la paura nascosta e i suoi occhi si riempivano di lacrime e il naso di candelotti, che si puliva con il rovescio della mano.
Io, invece, ero sorpresa che la nonna non gli chiedesse di togliersi il cappuccio, in quanto non era un’abitudine sedersi al tavolo con la testa coperta né di cappelli, né di scialli né di mantelline. Lei, invece, gli parlò con molta considerazione e simpatia raccontando dei suoi molti nipotini, dei figli che lavoravano in campagna coltivando l’uva e il cotone; del vino che si produceva nelle cantine così come pure dell’acquavite o pisco fabbricato con un’antica ricetta. Non mostrò fastidio per il cappuccio con il quale il forestiero intransigente continuò a coprirsi la faccia mentre mangiava.
Poi, quando ci alzammo da tavola, era finita l’eclissi e tutto era tornato normale, come prima. Da sotto il suo manto talare, l’ospite sconosciuto trasse un astuccio di legno che dette alla nonna, come ringraziamento. Conteneva i tubi di pitture a olio e i pennelli. Vidi la nonna dipingere molte volte sulla tela che c’era nel salotto, ma non vidi mai i suoi quadri finiti.
Questo è in regalo perché non ti manchi niente disse lincappucciato prima di tornare nel deserto. Non era, quindi, una cattiva persona. Era affabile, riconoscente anche se misterioso. Poi, facemmo commenti sul suo colore incerto e la forma delle mani; la nonna ci rimproverò e ci obbligò a mantenere quei ricordi nello sgabuzzino della memoria.
Quella stessa scatola, regalo del forestiero che si era seduto con noi al tavolo domenicale, fu quella che io trovai sotto la vasca con i piedi di leone nella sala da bagno della nonna, mesi dopo la sua morte. Gli zii mi lasciarono tenere l’astuccio, come ricordo, così come una tela in bianco per dipingere.
Assieme ai colori e ai pennelli, trovai una serie di piccoli fiaschi, alcuni con liquidi e altri con polvere macinata. Decisi di provare i colori della nonna. Finalmente finii il mio primo quadro ed ero molto orgogliosa. Avevo creato un vaso con rose, gigli e lillà.
Il giorno dopo, la tela del quadro era bianca e un vaso di fiori si trovava sul tavolo vicino. Fui terribilmente sorpresa e sbigottita.
Non erano fiori vivi, ma di un materiale che sembrava plastica brillante. Quelle pitture magiche facevano staccare le immagini dal quadro in tutte le loro dimensioni e io tenevo in mano un vaso con dei fiori che avevo dipinto sulla tela il giorno prima. Accomodai le foglie, passai le dita lungo i fusti e i petali, e mi accertai che anche le spine fossero morbide.
Fui così meravigliata che quel pomeriggio mi affrettai a riempire la tela con un altro dipinto. Disegnai una farfalla che coprii con i colori più svariati. Era così bella che sembrava fosse vera e stesse per volare fuori della sua prigione.
Invece, il giorno dopo trovai la farfalla vicina al quadro con gli stessi colori. La portai fuori all’aperto. Vidi che era fatta di una stoffa delicata e diafana e che volava con la brezza. Ma non era viva. Non potevo dipingere la vita. Gli oggetti saltavano fuori del quadro, ma non respiravano. Erano cose e non esseri viventi.
Molto intrigata per quel mistero, continuai dipingendo sulla tela con le pitture della nonna e apparirono in casa una quantità di cose che si staccavano e potevano agitarsi come la farfalla, ed erano oggetti come casette in miniatura, barchette, alberelli, tutti in materiali colorati, brillanti e leggeri.
Allora ricordai che la nonna ci faceva giocare con bambolotti assai originali e che non si trovavano da nessun’altra parte. Probabilmente erano tutti prodotti dalla sua fantasia e dalle pitture magiche del forestiero. Pupazzi che saltavano fuori del quadro durante la notte e che apparivano accanto come oggetti, il giorno dopo.
Decisamente, non erano di questo mondo. Io ebbi così la certezza che anche quel forestiero arrivato il giorno dell’eclissi era un extraterrestre, come molti altri ospiti di passaggio che si sedettero al tavolo nella casa antica. Capii che la nonna lo aveva sempre saputo.
Siccome continuai a dipingere, cominciarono a finire i tubi di pittura e la casa fu riempita d’oggetti brillanti e colorati. Con le ultime pennellate volli realizzare un quadro da ricordare e dipinsi la nonna in piedi con il canarino celeste in mano, come si vedeva in una fotografia appesa accanto alla scala dell’entrata. Usai le polverine e mescolai le pitture con i liquidi che rimanevano nei fiaschi. Finito il tutto, sparsi sul quadro la sabbia granulosa che diede alla pittura una patina antica e sobria.
Quasi svenni dalla meraviglia il giorno seguente, svegliandomi, quando trovai mia nonna a gironzolare per la casa, con il canarino celeste pigolante sulla mano, uguale al dipinto che avevo fatto sulla tela. Era più piccola di quel che ricordassi, o forse era così che era scesa dal quadro, e vedendomi sorrise.
Grazie mi disse per avere liberato il mio spirito. Hai fatto bene ad adoperare quelle magiche polverine. Adesso so dove devo andare. Con passo lieve uscì da casa e si diresse verso il deserto fino a che la sabbia si alzò con il vento e non potei più distinguere la sua sagoma lontana. Svanì in mezzo alle dune.
Non seppi mai se fu soltanto un sogno o se era successo veramente che la nonna fosse uscita dal quadro camminando e se ne fosse andata fuori di casa. Avvolsi, dopo quel giorno, quanto rimaneva della scatola delle pitture, assieme alle polverine e ai liquidi, e li seppellii sotto il gelsomino in fiore che cresce su per i muri, il cui odore penetrante continua a insinuarsi intorno ai corridoi di travi scricchiolanti. Non seppi mai più niente sul visitatore incappucciato che arrivò quel giorno dell’eclissi, anche se, in ricordo della nonna, pure in casa mia, sul tavolo della domenica, c’è il piatto del forestiero che aspetta.
Forse un giorno tornerà a rivelare antichi misteri.