mercoledì 17 ottobre 2018

LA BELLA ADDORMENTATA di Paolo Durando


 Si potrebbe sostenere che lei è Castore e io Polluce. Io e colei che ora dorme  facciamo a turno nel calpestare questo suolo che non è suolo, sentendo sulle guance soffiare quest'aria che non è aria. Ma adesso so che dove mi trovo è l'unico mondo davvero reale, perché è una conseguenza dell'altro. Anche la mia gemella lo ha saputo e ritroverà, dopo di me, la medesima consapevolezza.
Un derivato trascende ciò da cui deriva, ma lo contiene.  Il fatto che laggiù ci sia la rivoluzione non comporta nulla, in fondo, per loro.  È soltanto qui che gli eventi smettono di essere potenziali.  Noi costituiamo l'esito concreto della storia, ma la bella addormentata, mentre fluiscono queste mie parole, lo ignora. 
Sto attraversando ripetutamente stanze vuote, una dopo l'altra. Continuo ad aprire porte. Forse sono nella reggia di Versailles, ma di fatto non c'è nessuno. Spingo porte e si susseguono ambienti. Vedo molto nitidamente specchi, divani, tappeti, baldacchini. Percepisco con molta precisione gli ampi spazi e gli alti soffitti.
Alla fine vedo qualcuno, un mio vecchio amico, si direbbe, piccino piccino, che striscia per terra privo di ossa. È soffice e roseo, col parrucchino  incipriato ben composto sulla testa, ma le culottes stracciate. Mi fermo, mi chino su di lui e lo osservo; tenta di sbottonarsi  la giacchetta azzurra, ma le manine vuote non hanno presa sui bottoni. Non so cosa intenda fare.
Si sentono cantare delle donne, accompagnando i tonfi dei panni che stanno lavando in un fiume. Le lavandaie della rivoluzione. Mi domando come faccia  la loro rabbia ad arrivare fino qui.
Intanto il triste omino, palpitando a terra, cerca di tendere le braccia molli verso di me, vorrebbe forse abbracciarmi. Allora noto che gli sporge dalle labbra un lembo  bianco, lo afferro  tra indice e pollice e  inizio a tirare.
È un nastro pieno delle parole che vorrebbe dire. Continuo a sfilarglielo dalla bocca e con un po' di fatica leggo, compitando: “Parturient montes, nascetur ridiculus mus”.*
 
*I monti partoriranno ma nascerà un ridicolo topo (Orazio, arte poetica)

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