I kaasaegneYahoos sono degli animali strani, più si lucidano fuori più diventano lerci dentro; succhiano insaziabili le vite delle loro prede rubandone le cose migliori e lasciandoli quasi cadaveri perché non si sa mai… eventualmente… magari …possono ancora servire se restano prede…; si ergono in ogni incontro come se ognuno stesse al centro, almeno così credono.
Sbavano continuamente quando uno appare più luminoso degli altri, e sono contenti delle bave che vengono loro sputate addosso, perché sono il segno del loro successo e li rendono più lucenti, una specie di lucido da scarpe, per capirci.
La loro camminata è strana: o si muovono flessuosi come serpenti verticali o sembra quasi che danzino ritmi suadenti ed ossessivi, a seconda della velocità e dell’umore.
Fanno pochi pensieri e sono soprattutto al singolare, come se non riuscissero a pensare un po’ più in là dei loro piedi (e qualcuno sospetta che questa sia per loro un’attività molto onerosa.)
Non parlano.
Riescono solo a ripetere suoni inarticolati, mugugni sospiri rantoli… quando pare che dicano parole sono le parole delle loro prede, che ripetono ogni volta che depredano, che gridano al vento con voce roca, quasi ad affermare in quel cielo nero che loro esistono.
E latrano risate strane, strascicate nella gola dal profondo delle pance, rigurgiti circolari della loro voce e sembra quasi che questo li renda felici.
La cosa insolita è che non hanno occhi, cioè… li hanno, ma non vedono; sono ciechi, come se non ci fosse legame fra occhi e cervello e quanto colpisce gli occhi non diventa messaggio per il cervello.
Poco male, però… in fondo vedono solo se stessi perché gli occhi sono rivolti all’indietro verso le loro pance, che è la sola cosa che vedono, ma non lo sanno e pensano che questa sia l’universo; e quando la pancia cambia aspetto e colore (dopo ogni pasto si ipotizza) credono che questo sia il miracolo della natura; e le ombre dei singulti dei loro escrementi, che viaggiano su viscere trasparenti, pensano che siano i loro simili.
Amano se stessi, e tanto. E vivono felici questa loro favola di vita.
E si dicono umani.
Ironico e travolgente. Sempre bravo, Murro.
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