domenica 2 giugno 2019

ABISSI di Cristian Camozzi

 
Non sempre le cose sono come sembrano, il loro primo aspetto inganna molti: di rado la mente scopre che cosa è nascosto nel loro intimo.
 Fedro
 
Abbiamo trovato la morte. Lo sapevo. Possibile che fossi l’unico a percepirne i segni premonitori? Se avessi avuto il coraggio di parlarne al mio equipaggio forse sarebbero ancora tutti vivi o forse non sarebbe cambiato nulla: chi crederebbe ad un pazzo?
Ricordo il titolo del giornale: “Nuovo bolide esplode sull'Atlantico”, un manifesto alla potenza distruttiva del meteorite. Un grosso frammento si era inabissato, ma in realtà nessuno sapeva con certezza cosa fosse.
Il mondo scientifico, attratto dall'evento, voleva le sue risposte.
Conoscete il modo di dire ‘non sempre le cose sono come sembrano?’
Non potevano esserci parole più vere.
Trovarono i fondi per la spedizione scientifica.
Trovarono il sottomarino; un rottame sovietico, avanzo della Guerra Fredda. Quando lo vidi la prima volta era chiaro che per tenerlo insieme sarebbe servito più coraggio che bulloni.
Trovarono gli scienziati e l'equipaggio; ognuno con il proprio tornaconto, ma erano competenti e pazzi quanto basta. A me affidarono il comando del vascello. Non ero costretto, ma le mie carenti finanze mi spinsero ad accettare. Nutrivo dubbi sulla buona riuscita dell'opera. Perché? Tredici uomini. Inutili le mie proteste per un altro uomo. I fondi stanziati erano quelli, ma vallo a spiegare alla sfortuna.
Avevamo poco tempo per preparare la missione e passai giorni a studiare intensamente ogni dettaglio con il mio equipaggio. Il nostro lavoro non può essere improvvisato. Trovammo tutti gli espedienti possibili per rendere il vascello idoneo all’incarico. Sembrava riparato con spago e nastro adesivo, ma funzionava, ed in poco tempo la spedizione scientifica era pronta. Dovevamo giungere per primi. Iniziammo la navigazione, armati di speranza e preghiere, di venerdì diciassette e nonostante tutto il vecchio bidone ci condusse in posizione.
Fin dal primo contatto l'oggetto lasciò un segno.
Ordinai l’immersione a 600 piedi e appena pronti, inviammo un robot per una ispezione esterna del meteorite, mentre noi, al sicuro nella sala di comando, tenevamo gli occhi fissi sui monitor. Sotto i fari del robot l'oggetto si presentò diverso da quello che ci aspettavamo. Sprofondato in parte nel fondale fangoso, mostrava una superficie metallica, lucida e molto solida. Incisi su di essa una serie di glifi, come iscrizioni in una qualche lingua. Era chiaro che non si trattava di un meteorite, ma di un manufatto alieno.
Personalmente ero turbato e deciso a ritornare, ma gli scienziati chiedevano più tempo; volevano eseguire altri rilevamenti, compresa attività subacquea esterna al vascello e se possibile il prelievo di una scheggia dell’oggetto. La speranza di un’impennata nelle loro carriere era evidente. Pessima idea, l’istinto mi diceva di ritirarmi davanti all’ignoto, ma la missione doveva continuare e poi mi avevano pagato in anticipo.
Decidemmo di restare per la notte.
Quella notte per me cambiò tutto.
Il sonno irrequieto, continuamente svegliato da incubi. Sensazioni che non mi appartenevano. Ad ogni risveglio ero sudato fradicio.
Il giorno seguente sentivo rumori provenire dall'esterno dello scafo. Conosco i suoni di un sottomarino; il metallo del battello pressato dall’acqua genera strani frastuoni, ma questi erano sinistri, spaventosi. Non ne parlai con nessuno per non perdere il comando.
Non mi era mai successo prima; ero impaurito, anche da me stesso. Le mie certezze iniziarono a vacillare. Forse la situazione mi stava sfuggendo di mano.
Temevo il peggio, perseguitato dalla sensazione che fosse con noi una oscura presenza, ma ugualmente ci avviammo al ritorno. Perché non avremmo dovuto farlo? Dopotutto gli altri erano tranquilli, forse ero solo io che stavo diventando pazzo o forse era tutta la situazione in sé. Eppure quello che provavo era così reale. Non so se un essere organico o un fantasma, ma qualcosa era uscito da quel relitto ed entrato nel vascello. Come? Non saprei spiegarlo. Chiamatelo sesto senso.
Non passò molto tempo che incontrai per la prima volta il terrore puro. A bordo esplose il panico. All’inizio si trattava di guasti dell'illuminazione interna, ma il problema divenne più serio quando gli uomini del mio equipaggio hanno iniziato a sparire, lasciando solo brandelli di carne e macchie di sangue. Siamo stati fatti a pezzi e in poche ore ho perso tutto il personale di bordo e con loro anche il controllo del vascello. E’ adagiato sul fondale e non conosco la posizione. Ho tentato di farlo risalire, ma senza successo. Correndo in sala macchine sono scivolato su qualcosa. Inizialmente pensavo ad una perdita di gasolio, perché le luci rosse, ultime superstiti, non permettono di distinguere bene i colori; era una pozza di sangue. Alla mia destra stava un uomo del mio equipaggio, ma solo metà. L'altra era stata divorata.
È stato in quell’attimo che anche le poche lampade rosse, benché protette da una gabbia metallica, sono esplose, scagliando frammenti di vetro ovunque.
Buio pesto; solo qualche debole spia dai pannelli di comando continuava la sua lotta.
In quel momento ho avuto il primo contatto; ho percepito la sua presenza. Mi girava intorno furtiva nelle gelide tenebre, che aleggiano all'interno del sottomarino. Non l'ho mai vista in modo distinto, se non la sua ombra, più scura della notte, mentre si muove veloce. Sembra avere un corpo antropomorfo, grande come un uomo, con artigli lunghissimi, affilati, fatti per squarciare la carne. Li ho visti bene uscire dalle tenebre nel tentativo di afferrarmi. Credo non abbia occhi, non le servono al buio. Cresce cibandosi di carne umana. Tremavo in preda al panico. L’ho illuminata con la torcia elettrica che tenevo in mano, ma ha trovato la fuga. Quella cosa è lucifuga; la luce la brucia, le provoca dolore. Non so come, ma sono riuscito a fuggirle. Ho creato un tenue cerchio di luce in un angolo stretto della sala macchine con la mia torcia elettrica.
Da quel momento non esco dal cerchio di luce. Fin che sono all'interno del cerchio sono salvo. Tengo delle batterie di scorta, ma quanto dureranno ancora?
Ormai ho perso il conto dei giorni.
Non mangio e il mio corpo stanco ha bisogno di nutrimento, mentre lei ad ogni pasto è diventata sempre più forte.
La creatura cerca di controllarmi. Sento i suoi pensieri nella mia mente. Vuole che la raggiunga, che mi unisca. E' affamata come me. Sento i suoi simili. Sono affamati anche loro. Il meteorite è il loro sistema di viaggio. Sono ancora vivo perché le servo per uscire da qui; le servo per manovrare il vascello e portarlo in superficie; ma poi che succederebbe?
Alterno momenti di lucidità a momenti di follia; poi cado in un pianto disperato fino a perdere i sensi. Al risveglio sono pieno di tagli e ferite; i suoi tentativi per trascinarmi fuori dal cerchio di luce. Vuole portarmi nelle tenebre, ma sono incatenato ad una condotta.
Sto impazzendo. I suoi lamenti lacerano l'anima; sono le urla degli uomini di cui si è nutrita.
All'inizio, nei momenti lucidi cercavo una soluzione, ma è chiaro che non esiste via di fuga.
Non mi farò mangiare vivo. Accarezzo con delicatezza il grilletto della pistola; resta un solo colpo. Penso continuamente ai miei cari. Chi si occuperà della mia famiglia? Devo impedire che raggiunga la superficie. Sa che voglio rinchiuderla e per questo mi ha punito squartandomi con una zampata la coscia destra. E’ irritata al mio pensiero di usare la pistola su di me, la sua unica via di fuga; mi ha gettato contro i resti dell'equipaggio. Ho vomitato.
La pistola mi guarda... non ho il coraggio.
Il respiro si è fatto pesante e l'ossigeno scarseggia. Sarà sufficiente per ucciderla?
Ho lasciato un avvertimento, “non plus ultra”, scritto sui boccaporti d’ingresso. Non più avanti; lo stesso delle Colonne d'Ercole per fermare il passaggio ai mortali.
Le forze mi stanno abbandonando ed è finito anche l'inchiostro. Non lascio il cerchio di luce da chissà quanto. Se state leggendo questo messaggio non avete inteso il mio ammonimento e la creatura ora è libera. La sentirete arrivare: si muove nell’oscurità. All’inizio dei lamenti lontani, poi strani rumori, passi leggeri e scricchiolii intorno a voi. E’ affamata. E’ venuta per cibarsi.
Oggi l’ho vista chiaramente per la prima volta, in un frammento di vetro. Nel suo riflesso.