Paolo
si svegliò con un'angosciosa sensazione di perdita, di irreparabile, con
l'impressione vaga ma carica di un'ansia che lo faceva star male, che fosse
avvenuto un disastro senza rimedio, eppure non gli riusciva di capire di cosa
mai si sarebbe potuto trattare.
Si
guardò intorno nella casa silenziosa, ogni cosa era al suo posto, come sempre.
“Forse
ho solo fatto un brutto sogno”, pensò.
Paolo
non era quel che si dice un uomo coraggioso, né un amante dell'avventura. Amava
la tranquillità, la routine, le cose metodiche e ben ordinate che infondevano
sicurezza.
Molti
anni prima, quando era giovane, aveva avuto l'opportunità di scegliere fra una
carriera che prometteva successo brillante ma anche rischi, e un posto statale
con una progressione più lenta ma sicura e minori soddisfazioni economiche.
Aveva scelto il secondo.
Quando
era sposato da pochi anni, aveva saputo che la moglie aveva una relazione con
un collega. Aveva deciso di continuare a fingere di essere all'oscuro della
cosa, di fuggire all'angoscia e al senso di perdita concentrandosi sulla
routine lavorativa e familiare, il suo piccolo mondo, il suo rifugio in cui
nulla di minaccioso poteva entrare, e aveva fatto bene, quella relazione
clandestina si era spenta dopo poco senza lasciare strascichi, e lui aveva
continuato ad avere la sua donna, la sua famiglia, la sua casa.
Da
quando era rimasto in pensione, la tendenza a rinchiudersi nel suo mondo, in
una routine familiare e rassicurante, si era acuita: passava il tempo guardando
la televisione, leggendo i suoi libri, tanti che aveva accumulato negli anni e
che fin allora non aveva trovato il tempo di leggere, facendo delle lunghe
camminate.
Qualcuno
che avesse voluto essere cattivo lo avrebbe forse paragonato a uno struzzo che
nasconde la testa sotto la sabbia. A Paolo l'immagine dello struzzo non
piaceva, nei momenti in cui decideva di essere critico verso se stesso
preferiva paragonarsi piuttosto a una tartaruga che la testa la ritira dentro
il guscio, perché, ammesso che sia vero che gli struzzi abbiano comportamenti
così stupidi, cosa di cui dubitava fortemente, questi uccelli si illuderebbero
di nascondersi al pericolo quando cessano di vederlo, mentre la tartaruga
ritirando il capo sotto il carapace corazzato, ha un'effettiva protezione.
Non
c'era nulla che Paolo odiasse più di quel senso angoscioso di perdita, di tutto
ciò che potesse minacciare la tranquillità del suo piccolo universo ordinato,
di infrangere il suo guscio. Aveva smesso da tempo persino di leggere i
quotidiani e di guardare i TG alla televisione. Che il mondo andasse pure dove
voleva, lui preferiva starsene nella sua pacifica nicchia.
La
casa era stranamente silenziosa. Era ormai giorno fatto, ma vi stagnava la
penombra, perché tutte le tapparelle erano abbassate.
Paolo
si recò in cucina. La moglie e i due figli erano lì. Strano che non l'avessero
aspettato per la colazione. Erano tutti e tre stretti l'uno all'altro e
confabulavano a bassa voce. Paolo non riuscì a capire riguardo a che cosa.
Li
chiamò: “Ada, Roberto, Erica”, ma non riuscì ad attirare la loro attenzione.
Roberto
ed Erica, ricordò, erano ormai adulti e sposati, ma pochi giorni prima erano
entrambi tornati alla casa paterna, per un motivo preciso, ma quale fosse,
Paolo non riusciva a ricordarselo.
Non
aveva fame, decise di uscire a fare una camminata.
All'esterno,
la luce del sole gli procurò quasi una sensazione di fastidio. Strano, eppure
lui amava il sole!
Ma
cosa avevano tutti quella mattina? Parevano tutti quanti singolarmente
distratti. Dei diversi conoscenti che incontrò per strada, nessuno rispose al
suo saluto, anzi, sembravano proprio non averlo nemmeno visto.
Svoltando
un angolo si imbatté in un grosso cane: per un momento, l'animale sembrò
fissarlo dritto negli occhi, poi si accucciò a terra emettendo un lungo ululato
lamentoso.
Distratto
da pensieri e sensazioni confuse, Paolo attraversò la strada distrattamente
senza badare all'automobile in arrivo, che non rallentò minimamente, sebbene
lui si trovasse sulle strisce pedonali.
Per
un istante, Paolo ebbe una visione fuggevole dell'interno della macchina, e del
viso del guidatore placidamente assorto ai comandi come se nulla stesse
accadendo.
Un
attimo dopo, l'uomo rimase in mezzo alla strada sbigottito: non aveva riportato
danni di alcun genere, era come se avesse attraversato una nuvola di fumo, come
se il veicolo fosse stato un'automobile fantasma.
Si
incamminò deciso a ritornare a casa. A volte succede, poiché i nostri gesti e i
nostri passi sono governati dall'abitudine, di pensare di compiere un percorso
e di farne invece uno diverso: la testa va in una direzione e le gambe invece
in un altro. Paolo si accorse di non essersi diretto verso casa ma verso la
chiesa, un altro percorso per lui abituale che faceva tutte le domeniche,
eppure quel giorno non era domenica.
Spinto
da un improvviso impulso, decise di entrare.
Dentro,
era raccolta una piccola folla. Paolo riconobbe diverse facce di conoscenti.
Incuriosito, si fece largo. Stranamente, nessuno si scostò per farlo passare,
eppure non ebbe difficoltà per spingersi in avanti.
Era
un officio funebre: in mezzo alla navata c'era un catafalco con sopra una bara
scoperta. Proprio di fianco al feretro, c'erano Ada, Roberto ed Erica.
Paolo
si chinò per osservare il morto. Cereo, coi lineamenti distesi e inespressivi,
scorse il proprio cadavere.
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