martedì 27 novembre 2018

UN UOMO TRANQUILLO di Fabio Calabrese

Paolo si svegliò con un'angosciosa sensazione di perdita, di irreparabile, con l'impressione vaga ma carica di un'ansia che lo faceva star male, che fosse avvenuto un disastro senza rimedio, eppure non gli riusciva di capire di cosa mai si sarebbe potuto trattare.
Si guardò intorno nella casa silenziosa, ogni cosa era al suo posto, come sempre.
“Forse ho solo fatto un brutto sogno”, pensò.
Paolo non era quel che si dice un uomo coraggioso, né un amante dell'avventura. Amava la tranquillità, la routine, le cose metodiche e ben ordinate che infondevano sicurezza.
Molti anni prima, quando era giovane, aveva avuto l'opportunità di scegliere fra una carriera che prometteva successo brillante ma anche rischi, e un posto statale con una progressione più lenta ma sicura e minori soddisfazioni economiche. Aveva scelto il secondo.
Quando era sposato da pochi anni, aveva saputo che la moglie aveva una relazione con un collega. Aveva deciso di continuare a fingere di essere all'oscuro della cosa, di fuggire all'angoscia e al senso di perdita concentrandosi sulla routine lavorativa e familiare, il suo piccolo mondo, il suo rifugio in cui nulla di minaccioso poteva entrare, e aveva fatto bene, quella relazione clandestina si era spenta dopo poco senza lasciare strascichi, e lui aveva continuato ad avere la sua donna, la sua famiglia, la sua casa.
Da quando era rimasto in pensione, la tendenza a rinchiudersi nel suo mondo, in una routine familiare e rassicurante, si era acuita: passava il tempo guardando la televisione, leggendo i suoi libri, tanti che aveva accumulato negli anni e che fin allora non aveva trovato il tempo di leggere, facendo delle lunghe camminate.
Qualcuno che avesse voluto essere cattivo lo avrebbe forse paragonato a uno struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia. A Paolo l'immagine dello struzzo non piaceva, nei momenti in cui decideva di essere critico verso se stesso preferiva paragonarsi piuttosto a una tartaruga che la testa la ritira dentro il guscio, perché, ammesso che sia vero che gli struzzi abbiano comportamenti così stupidi, cosa di cui dubitava fortemente, questi uccelli si illuderebbero di nascondersi al pericolo quando cessano di vederlo, mentre la tartaruga ritirando il capo sotto il carapace corazzato, ha un'effettiva protezione.
Non c'era nulla che Paolo odiasse più di quel senso angoscioso di perdita, di tutto ciò che potesse minacciare la tranquillità del suo piccolo universo ordinato, di infrangere il suo guscio. Aveva smesso da tempo persino di leggere i quotidiani e di guardare i TG alla televisione. Che il mondo andasse pure dove voleva, lui preferiva starsene nella sua pacifica nicchia.
La casa era stranamente silenziosa. Era ormai giorno fatto, ma vi stagnava la penombra, perché tutte le tapparelle erano abbassate.
Paolo si recò in cucina. La moglie e i due figli erano lì. Strano che non l'avessero aspettato per la colazione. Erano tutti e tre stretti l'uno all'altro e confabulavano a bassa voce. Paolo non riuscì a capire riguardo a che cosa.
Li chiamò: “Ada, Roberto, Erica”, ma non riuscì ad attirare la loro attenzione.
Roberto ed Erica, ricordò, erano ormai adulti e sposati, ma pochi giorni prima erano entrambi tornati alla casa paterna, per un motivo preciso, ma quale fosse, Paolo non riusciva a ricordarselo.
Non aveva fame, decise di uscire a fare una camminata.
All'esterno, la luce del sole gli procurò quasi una sensazione di fastidio. Strano, eppure lui amava il sole!
Ma cosa avevano tutti quella mattina? Parevano tutti quanti singolarmente distratti. Dei diversi conoscenti che incontrò per strada, nessuno rispose al suo saluto, anzi, sembravano proprio non averlo nemmeno visto.
Svoltando un angolo si imbatté in un grosso cane: per un momento, l'animale sembrò fissarlo dritto negli occhi, poi si accucciò a terra emettendo un lungo ululato lamentoso.
Distratto da pensieri e sensazioni confuse, Paolo attraversò la strada distrattamente senza badare all'automobile in arrivo, che non rallentò minimamente, sebbene lui si trovasse sulle strisce pedonali.
Per un istante, Paolo ebbe una visione fuggevole dell'interno della macchina, e del viso del guidatore placidamente assorto ai comandi come se nulla stesse accadendo.
Un attimo dopo, l'uomo rimase in mezzo alla strada sbigottito: non aveva riportato danni di alcun genere, era come se avesse attraversato una nuvola di fumo, come se il veicolo fosse stato un'automobile fantasma.
Si incamminò deciso a ritornare a casa. A volte succede, poiché i nostri gesti e i nostri passi sono governati dall'abitudine, di pensare di compiere un percorso e di farne invece uno diverso: la testa va in una direzione e le gambe invece in un altro. Paolo si accorse di non essersi diretto verso casa ma verso la chiesa, un altro percorso per lui abituale che faceva tutte le domeniche, eppure quel giorno non era domenica.
Spinto da un improvviso impulso, decise di entrare.
Dentro, era raccolta una piccola folla. Paolo riconobbe diverse facce di conoscenti. Incuriosito, si fece largo. Stranamente, nessuno si scostò per farlo passare, eppure non ebbe difficoltà per spingersi in avanti.
Era un officio funebre: in mezzo alla navata c'era un catafalco con sopra una bara scoperta. Proprio di fianco al feretro, c'erano Ada, Roberto ed Erica.
Paolo si chinò per osservare il morto. Cereo, coi lineamenti distesi e inespressivi, scorse il proprio cadavere. 
 

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