domenica 8 dicembre 2019

RECENSIONI di Giuseppe Novellino e Peppe Murro

Paolo Secondini
IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI
Linee Infinite Edizioni
 
Il maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Cargiulli comanda una piccola caserma di provincia. Ha avuto una donna, nella sua vita, ma ora è solo e trascorre l’esistenza vicino alla sorella Adalgisa. Lei lo chiama Vincenzino, come faceva la mamma quando erano bambini.
Egli svolge con interesse e dedizione il suo lavoro di tutore della legge e sa che anche in un paesino sperduto può succedere di tutto.
È la vigilia di Natale. Fuori fa freddo, mentre gli interni sonno surriscaldati in modo malsano. Nella villa dell’avvocato Emilio Trenelli è stato consumato un efferato omicidio. Proprio lui, il titolare, è stato trovato riverso nel suo letto con un coltellaccio da cucina piantato nella schiena fino al manico. Ma non ci sono segni di effrazione, quindi il fattaccio deve avere come autore una persona conosciuta dall’avvocato. Il quale ha qualche vizietto, che offusca un po’ la sua immagine di professionista appartenente all’alta borghesia. Gli piacciono le donne, ma ha un’inclinazione un po’ perversa per quelle di malaffare, prosperose e un tantino rozze.
Elisa Deretti, la moglie, è una signora avvenente, distinta e un po’ freddina. Con lei il maresciallo ha subito un incontro che gli consente di capire il modo di vivere della coppia e l’andamento familiare. Nelle indagini è aiutato dal fido e solerte appuntato Frinieri. Doverosa concessione al genere narrativo, essendo ogni investigatore accompagnato da un socio o da un subalterno sempre pronto a fornire i dovuti supporti.
Anche l’indagine segue i canoni consueti della narrazione poliziesca, ma cattura fin dall’inizio l’attenzione del lettore, che si lascia accompagnare da una prosa fluida e precisa, capace di rendere assai vivide alcune caratterizzazioni psicologiche e ambientali.
Il romanzo (Linee Infinite Edizioni – 2019) si legge tutto d’un fiato. Voltare le pagine è come mangiare ciliegie mature, dove al posto del sapore ci sono la curiosità (tenuta viva con grande maestria) e il desiderio di svelare il mistero.
Buon giallo, non lungo, incisivo e piacevole. Con qualche ammiccamento al grande Simenon.
C’è da dire, però, che centosedici pagine non bastano per creare un forte legame tra il lettore e il maresciallo Vincenzo Cargiulli, un tipo di uomo dai marcati contrasti caratteriali, nel complesso mite e un po’ ironico. Aspettiamo altre sue avventure, non solo per conoscerlo meglio, ma anche per apprezzare la vena narrativa di Paolo Secondini… che già per questo romanzo mi sembra notevole.
  Giuseppe Novellino da: Art – Litteram

 

…Il fine giustifica i mezzi è un bel romanzo di genere che si lascia leggere d’un fiato, con un andamento lineare e un ritmo incalzante, tutto racchiuso nelle ore di vigilia di un Natale qualsiasi di un qualsiasi paesino d’Italia. Con una scrittura lieve e precisa e un’estrema pulizia lessicale, Paolo Secondini ci accompagna nelle indagini del maresciallo Cargiulli e, con sentimento e ironia, verso la conclusione inaspettata del caso di omicidio di cui lo stesso si occupa. La trama non è monocorde, ma si gioca tutta con una serie di figure ben tratteggiate, dal senzatetto Lappi allo zelante appuntato Frinieri, dal loquace barbiere Alfredo Barba-capelli alla escort Elvira Benedetti, dalla vedova Deretti alla saggia cameriera Antonietta Filangia: tutti personaggi con una loro specifica identità e logica, perfettamente inseriti in una vicenda ben delineata…

 Peppe Murro

 (Il romanzo lo si può acquistare ordinandolo in qualsiasi libreria o direttamente dalla casa editrice Linee Infinite Edizioni   https://www.lineeinfinite.com/) è un bel romanzo di genere che si lascia leggere d’un fiato, con un andamento lineare e un ritmo incalzante, tutto racchiuso nelle ore di vigilia di un Natale qualsiasi in un paesino qualsiasi d’Italia. Con una scrittura lieve e precisa ed un’estrema pulizia lessicale, Paolo ci accompagna nelle indagini del Maresciallo Cargiulli e, con sentimento ed ironia, verso la conclusione inaspettata del caso di omicidio di cui lo stesso si occupa.La trama non è monocorde, ma si gioca tutta con una serie di figure ben tratteggiate, dal senzatetto Lappi allo zelante appuntato Frinieri, dal loquace barbiere Alfredo Barba e capelli alla escort Elvira Benedetti, dalla vedova Deretti alla saggia cameriera Antonietta Filangia: tutti personaggi con una loro specifica identità e logica, perfettamente inseriti in una vicenda delineata con sentimento ed ironia.Non è il caso che io riveli chi è l’assassino, ma posso dire che il racconto si legge d’un fiato e la sorpresa finale è assicurata.Del piacere provato nella lettura devo ringraziare Paolo e invitarlo, con sincera amicizia, a fornirci altre delizie.
PEPPE MURROi mezzi” è un bel romanzo di genere che si lascia leggere d’un fiato, con un andamento lineare e un ritmo incalzante, tutto racchiuso nelle ore di vigilia di un Natale qualsiasi in un paesino qualsiasi d’Italia. Con una scrittura lieve e precisa ed un’estrema pulizia lessicale, Paolo ci accompagna nelle indagini del Maresciallo Cargiulli e, con sentimento ed ironia, verso la conclusione inaspettata del caso di omicidio di cui lo stesso si occupa.La trama non è monocorde, ma si gioca tutta con una serie di figure ben tratteggiate, dal senzatetto Lappi allo zelante appuntato Frinieri, dal loquace barbiere Alfredo Barba e capelli alla escort Elvira Benedetti, dalla vedova Deretti alla saggia cameriera Antonietta Filangia: tutti personaggi con una loro specifica identità e logica, perfettamente inseriti in una vicenda delineata con sentimento ed ironia.Non è il caso che io riveli chi è l’assassino, ma posso dire che il racconto si legge d’un fiato e la sorpresa finale è assicurata.Del piacere provato nella lettura devo ringraziare Paolo e invitarlo, con sincera amicizia, a fornirci altre delizie.
PEPPE MURRO

venerdì 1 novembre 2019

FOTOGRAFIA TOTALE di Peppe Murro

-E' fatta !
John Eastman jr e Bill Zuckerberg VII si volsero con un sorriso raggiante verso la folla impazzita di giornalisti e fotografi. Si strinsero la mano e si concessero, come si suole, alla pioggia dei flashes.
Poi John Eastman fece il gesto di calmare la folla, si avvicinò al microfono e:
-Signore e Signori, sarò breve. Oggi, e lo dico con orgoglio e senza presunzione, annunciamo un evento epocale nella storia dell'umanità. Sono qui con l'amico Bill perché è grazie agli sforzi congiunti dei nostri due team che abbiamo raggiunto un tale risultato. Io so dei tanti rumors che hanno preceduto questo incontro, ma, credetemi, quanto sto per dirvi è ben al di là delle voci e delle congetture.
Signori, abbiamo la macchina fotografica totale.
E dicendo così, fa un plateale gesto di invito: entra una signorina elegante in tailleur scuro con un vassoio coperto da un leggero panno giallo.
Si avvicina ad Eastman e toglie il panno.
Mormorio di sorpresa, sembrava non ci fosse nulla sotto; a malapena quelli in prima fila riuscirono a vedere dei fili sottilissimi calarsi dal ripiano.
 E mentre montava il rumore dello sconcerto, alle spalle dei tre, sul palco, si vide proiettata un'enorme immagine di due dita che tenevano insieme una sottilissima lente con dei filini penzolanti.
-Ecco - riprese Eastman - state osservando la macchina fotografica del futuro, anzi, quella del sempre.
Fu interrotto da un brusio che divenne presto clamore e calca di domande.
John Eastman guardò Bill serafico e sorrise:
-Calma, calma, signori; vi spiegherò ogni cosa. Quella che vedete, o che forse non vedete, è la cosa di cui vi parlavo.
A prima vista sembra una piccolissima lente; vi dico subito che ha appena il diametro di una pupilla umana; è sottile 5 micron e si applica come una comune lente a contatto. La novità sta nelle caratteristiche che vi elencherò in breve e con un linguaggio comprensibile, prima di dare la parola all'amico Bill:
Sensore da 180 MB; Velocità di scatto da 1h a 1/5000 di sec; Zomm da 7 a 300mm; Autoflah disinseribile; Luminosità costante di 0,5, cioé due volte la capacità visiva dell'occhio umano...
Fu interrotto da una marea inarrestabile di voci
- Signor Eastman, Sig. Eastman (le domande si accavallavano) lei sta dicendo che questa sua lente ha una capacità di definizione che non riusciamo a immaginare, una velocità di scatto impensabile, una possibilità di visione doppia di quella umana e che avvivina di circa sei volte ciò che normalmente vediamo ?
- Non solo, sorrise John, ma ribadisco che questa macchina fotografica aumenta a dismisura la capacità umana di vedere oggetti lontani od al buio, di fermare il movimento più veloce e con una discriminazione dei particolari che lei neppure immagina.
- Sig. Eastman, Signor Eastman...
- Vi prego, dopo, dopo avrete dai nostri tecnici tutti i chiarimenti.
Ora calma, per favore: l'amico Bill ha qualcosa di importante da comunicarvi.
Si fece silenzio a fatica.
 Bill Zuckergerg VII si avvicinò al microfono, si schiarì la voce e:
 - Mi sarebbe piaciuto iniziare raccontandovi il sogno del mio antenato, anzi, dei miei antenati Gates e Zuckerberg, di cui indegnamente porto nome e cognome,quello di una connesione permantente planetaria, ma voglio essere anch'io breve: quei filini che vedete uscire dalla "lente" sono degli elettrodi che vanno collegati direttamente alla rete neurale del soggetto umano.
Ci fu un silenzio frastornante: penne alzate a mezz'aria, bocche spalancate, qualche sguardo sperduto. Anche nelle ultime file.
 Bill continuò con calma:
- La "lente" va poggiata davanti alla pupilla come una comune lente a contatto, ma i fili sono collegati al nervo ottico e da lì ad ognuno dei due lobi del cervello.
La vera novità, infatti, della nostra macchina fotografica non è nelle sue pur notevolissime doti tecniche, ma consiste nel fatto che essa può essere comandata direttamente dalla mente del soggetto.
 Invece che schiacciare un pulsante col dito, basta pensare di volere una foto e quella è fatta !
E non solo! si può desiderare di condividerla con qualcuno e con una semplice app di default si è direttamente e permanentemente connessi con tutti.
E ancora, Signori, se si desidera farsi un selfie è possibilissimo; anzi possiamo decidere di autofotografarci alle Bahamas o sull'Everest o senza rughe, come comunque ci piacciamo e come desideriamo che gli altri ci vedano.
Insomma, cari Signori giornalisti, questa macchina fotografica non solo è quanto di più potente si possa avere, ma anche quanto di più desiderabile ci sia.
E solo per la nostra gioia di condividere con gli altri tutte le nostra emozioni. Sempre connessi e sempre come ci vogliamo...
Nel silenzio sbigottito ed ovattato dei presenti si levò dal fondo una voce occhialuta e stridula:
- Scusi...
- Dica, fece Bill condiscendente.
- Scusi, sono il corrispondente del giornale locale di Las Fuentes, New Mexico. Avrei una domanda; se si possono fotografare i desideri, allora si possono fotografare anche i propri sogni ?
- Penso proprio di sì -fece Bill schiarendosi la gola e guardandosi intorno con un misto di soddisfazione ed apprensione.
- E come si fa - continuò il piccolo giornalista occhialuto- a non fotografare i propri incubi ?
 

giovedì 26 settembre 2019

IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI di Paolo Secondini


Paolo Secondini
IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI
Edizioni Linee Infinite
Si comunica l’avvenuta pubblicazione del romanzo giallo–poliziesco di  Paolo Secondini, IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI, Linee Infinite Edizioni.
Il romanzo è ordinabile presso la propria libreria di fiducia; oppure (con un minimo di spese di spedizione) direttamente sul sito di Linee Infinite Edizioni (cliccando sulla copertina del libro e poi su Acquista)
https://www.lineeinfinite.com/

martedì 17 settembre 2019

LA FANTASCIENZA E LA GIOIOSA FANTASIA di Peppe Murro

“E fu allora che con un fremito leggero l’astronave si tuffò nell’iperspazio”.
Staccò le mani dalla tastiera, guardò attraverso i vetri la pioggia che cadeva fitta e leggera. Fece schioccare le nocche delle dita e:
“Ehi, non mi dirai che sei già stanco ?!”
Si voltò di scatto. Una forma bluastra ed evanescente aleggiava ondulata sopra il televisore. Si tolse gli occhiali, stropicciò gli occhi. La forma era sempre lì, anzi, gli sembrò che stesse assumendo una forma vagamente umana, che quasi sorridesse sorniona.
“Non ti stupirai, spero; io sono il folletto della televisione, o, se vuoi, il genietto della comunicazione”
Senza meravigliarsi del suo mancato stupore, chiese arditamente:
“E che vuoi ?”
“Oh, nulla in particolare, ma mi stavo annoiando a leggere tutte le stupidaggini che scrivi”
“Stupidaggini ? Guarda che sono racconti di fantascienza” si piccò.
“Ma sì, stupidaggini e pure fatica inutile…altri mondi, e le galassie, e i misteri del cosmo, e tutte le altre gioiose fantasie della tua mente ! Ma davvero non sai trovare altro ?!”
“Perché , tu ne avresti ?”
“Per carità, io no di certo ! ma se ti guardi bene intorno, altro che fantascienza puoi trovare !”
“E sarebbe ?...”
“Ecco, ad esempio, un bel racconto di fantascienza sarebbe sul Medio Oriente: dittatori che vengono messi al potere per controllare la nascita della democrazia e che poi, quando non servono più, vengono eliminati in nome della democrazia, con guerre non dichiarate a Paesi una volta amici: Ecco, guarda, prendi il caso della Siria: i “democratici” (appoggiati dagli USA) combattono i “lealisti” (appoggiati dalla Russia); poi, entrambi combattono il Daesh, il quale combatte gli iracheni (appoggiati dagli USA ed anche dagli iraniani loro antichi nemici ed invisi agli USA); il Daesh è appoggiato sottobanco dall’Arabia Saudita (alleata degli USA e nemica dell’Iran), ma è combattuto dai curdi (appoggiati dagli USA ma combattuti dai Turchi che a loro volta sono alleati degli USA, mentre la Russia, che si scontrava coi Turchi, ora finge di non vedere); il tutto sotto lo sguardo vigile di Israele, che è nemico dell’Iran e tace perciò sui massacri dell’Arabia Saudita in Yemen, amico dell’Iran, e tutto questo…oddio, mi fa male la testa !”
La forma bluastra fece un respiro profondo:
“Ma ti rendi conto che epopea fantascientifica si sta realizzando là ? Altro che “Guerre stellari”! E tutto questo nel silenzio ipocrita dei Paesi “democratici”! Te lo immagini che storia potresti scrivere? E con poca fatica, basterebbe solo raccontarla! È questa la gioiosa fantasia della realtà, altro che la tua fantascienza!
O hai paura del tuo editore ? Perché non scrivi dei vermi grassi e voraci che stendono le loro bave sugli indifesi che stupidamente si giocano la vita per vecchie idee come “giustizia e democrazia”? Soldi e potere con ogni mezzo, questa è la realtà, questa è la vera fantascienza…ma tu in che mondo, in che Paese vivi per non vederlo?”
Si avvicinò alla finestra, guardò lontano la pioggia che lavava i tetti delle case. Pensò a quelle parole che gli urlavano dentro, pensò al suo Paese pieno di resuscitati e di fandonie, pensò ai morti sotto le bombe.
Si voltò. Strappò tutti i fogli.
    
Poi di colpo si fermò, guardò verso il televisore: il folletto era sparito.
Fissò la tastiera. Inforcò gli occhiali.
“Andava l’astronave nell’iperspazio, silenziosa, verso nuove dimensioni.
E una diversa storia.”

 

 

domenica 1 settembre 2019

UN PIATTO PER IL FORESTIERO di Adriana Alarco de Zadra

Nei tempi quando mia nonna si ruppe il femore e fu obbligata a sedersi sulla sedia a rotelle, in famiglia si prese la decisione di continuare ad assistere ai pranzi della domenica come se niente fosse. Era affascinante per noi, cugini, l’attrazione che aveva quella casa di legni tarlati e scricchiolanti. Il pranzo che preparava la vecchia Ignazia nella cucina a legna, era speciale. Gli zii non facevano altro che parlare a tavola del raccolto annuale, se il cotone era buono oppure no, mentre noi giovani, dopo aver trangugiato il cibo, correvamo per il vicinato facendo birichinate e divertendoci da morire, rubando il vino per la messa dalla dispensa e spaventando le galline.
Ci sembrò un bene, allora, la frattura di gamba della nonna, anche se adesso che ci penso, fra poco sarò nonna anch’io, e ho nostalgia della figura di quella donna impetuosa che ci sgridava mentre faceva girare la sua sedia a rotelle:
Birbanti! Lasciate stare il gallo da combattimento che resterà senza una piuma sulla coda!
Il tavolo per la domenica in famiglia si preparava il sabato con una tovaglia bianca di cotone. Si disponevano sedici posti con i piatti, le posate e i bicchieri. Veramente, noi eravamo in quindici: la nonna, tre zii, due zie e nove nipoti tra i quali c’ero anch’io che allora avevo dodici anni. Gli zii arrivavano a cavallo e si sedevano a tavola, lavati e sbarbati, e non tenevano mai addosso gli stivali pieni di terra, perché la nonna li sgridava da capotavola, con la frusta in mano, dando un colpetto sulle spalle a chi si azzardava a replicare, mentre lei parlava.
Dopo che si ruppe la gamba, non riusciva ad arrivare fino ai nipoti seduti più lontano dal suo posto e ciò ci riempiva di coraggio. Senza paura né rispetto, interrompevamo i suoi discorsi con i canti del gallo o con un ragliare impertinente, incomodando le zie e ricevendo occhiate furiose da tutti gli altri.
All’altro capo della tavola c’era un piatto per il forestiero. Rimaneva sempre lì per chi arrivava alla casona della fattoria a chiedere qualcosa da mangiare dopo aver camminato probabilmente per ore e ore sulle sabbie fumanti che circondavano i terreni seminati di cotone, poiché molte automobili s’insabbiavano quando il vento paraca copriva di sabbia la strada principale e le faceva deviare perdendo la rotta. La porta di casa restava sempre aperta di domenica, ma l’ultimo posto generalmente rimaneva vuoto. Però, in uno di quei giorni festivi giunse un originale forestiero a sedersi al tavolo familiare. Arrivava d’altri mondi e la sua storia ci sembrò così fantastica e incredibile che, da allora, preparo anch’io un piatto per il forestiero al tavolo domenicale.
Era caduto dal cielo in mezzo al greto asciutto del torrente, proveniente dallo spazio, e la sua nave era rimasta incastrata nelle dune di sabbia. La nonna gli offrì il pranzo e fu così che facemmo conoscenza del nuovo visitatore. Il suo nome era Sedna. Non aveva un capello in testa e il suo sorriso era ampio e sincero. Il colore giallo verdognolo della sua pelle era strano, ma non posso dire che fosse un essere sconcertante. Faceva movimenti lenti e senza fretta, parlava la nostra lingua con un forte accento che immaginammo fosse quello degli inferi e immediatamente decidemmo che era il vivo ritratto del diavolo in persona. Victor, il più piccolo dei cugini, gironzolava intorno al tavolo e quando gli passava vicino, lo pungeva con la forchetta per sapere se gli facesse male oppure no, fino a che la nonna con quattro strilli lo mandò a sedersi composto a tavola.
Il racconto del visitatore fu straordinario e ci riempì d’ammirazione e di stupore.
Mentre ci spiegava com’era quel suo mondo, in un lontano pianeta, mangiava fagioli di Spagna con le mani e rimase con il peperoncino piccante in gola, tossendo, perché quella salsa che metteva Ignazia sul tavolo era tanto bruciante che ci faceva piangere; “ma è così che si mangia,” ci diceva la nonna, “per crescere grandi e coraggiosi.”
Sedna ci raccontò che dal suo mondo stavano cercando nel Cosmo altri posti dove andare a vivere perché il loro pianeta era sul punto di disgregarsi. Ci fece un disegno sulla tovaglia scrivendo con il dito, cosa che ci meravigliò non poco, così da poter identificare il suo luogo di origine.
Quello che realizzò dopo fu miracoloso, o cose del diavolo, secondo se lo raccontava la autunnale anziana oppure le zie ‘beate’. Alzò l’anziana dalla seggiola a rotelle, le mise le sue mani enormi e verdi sull’anca e lei si mise a camminare, zoppicando un po’, ma con i suoi piedi per terra, avanzando un passo dopo l’altro.
Rimanemmo stupefatti. Mai avremmo pensato che si potesse curare la gente mettendo le mani sopra un arto bloccato. Poi provammo anche noi, ungendole con olio e prezzemolo, ma non funzionò mai così bene come quella domenica al forestiero. Subito, la nonna incominciò a camminare da sola un’altra volta.
Sono passati gli anni e il terreno della nonna continua a produrre cotone anche se lei non c’è più. In passato pensavamo che il forestiero l’avesse portata nel suo mondo, fra le stelle e i pianeti dello spazio. Adesso, invece, sappiamo che è morta e sepolta fra i carrubi, nel cimitero del paese che quasi non si vede, perché è in lotta continua contro il tempo e la sabbia per non rimanere coperto completamente dal deserto.
Da quando il forestiero sparì quel pomeriggio nella nebbia caliginosa, non lo vedemmo più, ma rimase nel nostro ricordo come Sedna, il diavolo di un altro mondo che guarì la nonna. Il tavolo domenicale è pronto. Lo stiamo aspettando.
 

lunedì 8 luglio 2019

SOTTO LA MADONNINA di Paolo Durando

La signora delle camelie indugiava sul davanzale. Stava per buttarsi di sotto, dal palazzo Dozzi;  le vie intorno erano piene di armadi, panche, tavoli accatastati. Delle donne parlavano fittamente con alcuni cospiratori. Poi l'eroina rientrò nell'appartamento.
“Non si è mica buttata,” disse agli ospiti una cameriera di casa Vidiserti.
C'era la rivoluzione  a Milano, ma tutto si riduceva, pareva,  ad una questione di fumo. La signora delle camelie, sventagliandosi, sorrideva saputa.
“Avete boicottato le sigarette austriache, ben vi sta!”  gorgheggiò a tabagisti in astinenza, stravaccati a terra, con la pancia gonfia e la lingua penzoloni.
“È proprio come se non mangiassero!” constatò una pescivendola tra le barricate, ridendo e agitando la mano.
“Perché, le sigarette sono forse cibo per l'inteleietura?” domandò un borghese di passaggio. I rivoluzionari erano consapevoli dell'inesistenza di quella parola: inteleietura.
“Ma no, siete voi che siete ignoranti,” disse il tipo lisciandosi grandi baffi rossi, “...vuol dire tessitura del futuro, salvando ciò che conta.”
“Angelo si chiamava!” approvò una ragazza da marito, ammiccando al giovane dello spaccio di alimentari “La Madùnina”, che fingeva di ignorarla. Poi si ritrovarono ancora nell'appartamento di via Montenapoleone. Un uomo longilineo si stava spogliando provocatoriamente e ognuno capiva che si sarebbe presto ritrovato nudo davvero, senza la possibilità di rimediare.
“È inaudito,“ affermò sdegnato il vice governatore O'Donnel, “Fa così per la rivoluzione...”
I presenti batterono le mani, mentre la signora delle Camelie sbuffava, alzando le spalle.

domenica 2 giugno 2019

ABISSI di Cristian Camozzi

 
Non sempre le cose sono come sembrano, il loro primo aspetto inganna molti: di rado la mente scopre che cosa è nascosto nel loro intimo.
 Fedro
 
Abbiamo trovato la morte. Lo sapevo. Possibile che fossi l’unico a percepirne i segni premonitori? Se avessi avuto il coraggio di parlarne al mio equipaggio forse sarebbero ancora tutti vivi o forse non sarebbe cambiato nulla: chi crederebbe ad un pazzo?
Ricordo il titolo del giornale: “Nuovo bolide esplode sull'Atlantico”, un manifesto alla potenza distruttiva del meteorite. Un grosso frammento si era inabissato, ma in realtà nessuno sapeva con certezza cosa fosse.
Il mondo scientifico, attratto dall'evento, voleva le sue risposte.
Conoscete il modo di dire ‘non sempre le cose sono come sembrano?’
Non potevano esserci parole più vere.
Trovarono i fondi per la spedizione scientifica.
Trovarono il sottomarino; un rottame sovietico, avanzo della Guerra Fredda. Quando lo vidi la prima volta era chiaro che per tenerlo insieme sarebbe servito più coraggio che bulloni.
Trovarono gli scienziati e l'equipaggio; ognuno con il proprio tornaconto, ma erano competenti e pazzi quanto basta. A me affidarono il comando del vascello. Non ero costretto, ma le mie carenti finanze mi spinsero ad accettare. Nutrivo dubbi sulla buona riuscita dell'opera. Perché? Tredici uomini. Inutili le mie proteste per un altro uomo. I fondi stanziati erano quelli, ma vallo a spiegare alla sfortuna.
Avevamo poco tempo per preparare la missione e passai giorni a studiare intensamente ogni dettaglio con il mio equipaggio. Il nostro lavoro non può essere improvvisato. Trovammo tutti gli espedienti possibili per rendere il vascello idoneo all’incarico. Sembrava riparato con spago e nastro adesivo, ma funzionava, ed in poco tempo la spedizione scientifica era pronta. Dovevamo giungere per primi. Iniziammo la navigazione, armati di speranza e preghiere, di venerdì diciassette e nonostante tutto il vecchio bidone ci condusse in posizione.
Fin dal primo contatto l'oggetto lasciò un segno.
Ordinai l’immersione a 600 piedi e appena pronti, inviammo un robot per una ispezione esterna del meteorite, mentre noi, al sicuro nella sala di comando, tenevamo gli occhi fissi sui monitor. Sotto i fari del robot l'oggetto si presentò diverso da quello che ci aspettavamo. Sprofondato in parte nel fondale fangoso, mostrava una superficie metallica, lucida e molto solida. Incisi su di essa una serie di glifi, come iscrizioni in una qualche lingua. Era chiaro che non si trattava di un meteorite, ma di un manufatto alieno.
Personalmente ero turbato e deciso a ritornare, ma gli scienziati chiedevano più tempo; volevano eseguire altri rilevamenti, compresa attività subacquea esterna al vascello e se possibile il prelievo di una scheggia dell’oggetto. La speranza di un’impennata nelle loro carriere era evidente. Pessima idea, l’istinto mi diceva di ritirarmi davanti all’ignoto, ma la missione doveva continuare e poi mi avevano pagato in anticipo.
Decidemmo di restare per la notte.
Quella notte per me cambiò tutto.
Il sonno irrequieto, continuamente svegliato da incubi. Sensazioni che non mi appartenevano. Ad ogni risveglio ero sudato fradicio.
Il giorno seguente sentivo rumori provenire dall'esterno dello scafo. Conosco i suoni di un sottomarino; il metallo del battello pressato dall’acqua genera strani frastuoni, ma questi erano sinistri, spaventosi. Non ne parlai con nessuno per non perdere il comando.
Non mi era mai successo prima; ero impaurito, anche da me stesso. Le mie certezze iniziarono a vacillare. Forse la situazione mi stava sfuggendo di mano.
Temevo il peggio, perseguitato dalla sensazione che fosse con noi una oscura presenza, ma ugualmente ci avviammo al ritorno. Perché non avremmo dovuto farlo? Dopotutto gli altri erano tranquilli, forse ero solo io che stavo diventando pazzo o forse era tutta la situazione in sé. Eppure quello che provavo era così reale. Non so se un essere organico o un fantasma, ma qualcosa era uscito da quel relitto ed entrato nel vascello. Come? Non saprei spiegarlo. Chiamatelo sesto senso.
Non passò molto tempo che incontrai per la prima volta il terrore puro. A bordo esplose il panico. All’inizio si trattava di guasti dell'illuminazione interna, ma il problema divenne più serio quando gli uomini del mio equipaggio hanno iniziato a sparire, lasciando solo brandelli di carne e macchie di sangue. Siamo stati fatti a pezzi e in poche ore ho perso tutto il personale di bordo e con loro anche il controllo del vascello. E’ adagiato sul fondale e non conosco la posizione. Ho tentato di farlo risalire, ma senza successo. Correndo in sala macchine sono scivolato su qualcosa. Inizialmente pensavo ad una perdita di gasolio, perché le luci rosse, ultime superstiti, non permettono di distinguere bene i colori; era una pozza di sangue. Alla mia destra stava un uomo del mio equipaggio, ma solo metà. L'altra era stata divorata.
È stato in quell’attimo che anche le poche lampade rosse, benché protette da una gabbia metallica, sono esplose, scagliando frammenti di vetro ovunque.
Buio pesto; solo qualche debole spia dai pannelli di comando continuava la sua lotta.
In quel momento ho avuto il primo contatto; ho percepito la sua presenza. Mi girava intorno furtiva nelle gelide tenebre, che aleggiano all'interno del sottomarino. Non l'ho mai vista in modo distinto, se non la sua ombra, più scura della notte, mentre si muove veloce. Sembra avere un corpo antropomorfo, grande come un uomo, con artigli lunghissimi, affilati, fatti per squarciare la carne. Li ho visti bene uscire dalle tenebre nel tentativo di afferrarmi. Credo non abbia occhi, non le servono al buio. Cresce cibandosi di carne umana. Tremavo in preda al panico. L’ho illuminata con la torcia elettrica che tenevo in mano, ma ha trovato la fuga. Quella cosa è lucifuga; la luce la brucia, le provoca dolore. Non so come, ma sono riuscito a fuggirle. Ho creato un tenue cerchio di luce in un angolo stretto della sala macchine con la mia torcia elettrica.
Da quel momento non esco dal cerchio di luce. Fin che sono all'interno del cerchio sono salvo. Tengo delle batterie di scorta, ma quanto dureranno ancora?
Ormai ho perso il conto dei giorni.
Non mangio e il mio corpo stanco ha bisogno di nutrimento, mentre lei ad ogni pasto è diventata sempre più forte.
La creatura cerca di controllarmi. Sento i suoi pensieri nella mia mente. Vuole che la raggiunga, che mi unisca. E' affamata come me. Sento i suoi simili. Sono affamati anche loro. Il meteorite è il loro sistema di viaggio. Sono ancora vivo perché le servo per uscire da qui; le servo per manovrare il vascello e portarlo in superficie; ma poi che succederebbe?
Alterno momenti di lucidità a momenti di follia; poi cado in un pianto disperato fino a perdere i sensi. Al risveglio sono pieno di tagli e ferite; i suoi tentativi per trascinarmi fuori dal cerchio di luce. Vuole portarmi nelle tenebre, ma sono incatenato ad una condotta.
Sto impazzendo. I suoi lamenti lacerano l'anima; sono le urla degli uomini di cui si è nutrita.
All'inizio, nei momenti lucidi cercavo una soluzione, ma è chiaro che non esiste via di fuga.
Non mi farò mangiare vivo. Accarezzo con delicatezza il grilletto della pistola; resta un solo colpo. Penso continuamente ai miei cari. Chi si occuperà della mia famiglia? Devo impedire che raggiunga la superficie. Sa che voglio rinchiuderla e per questo mi ha punito squartandomi con una zampata la coscia destra. E’ irritata al mio pensiero di usare la pistola su di me, la sua unica via di fuga; mi ha gettato contro i resti dell'equipaggio. Ho vomitato.
La pistola mi guarda... non ho il coraggio.
Il respiro si è fatto pesante e l'ossigeno scarseggia. Sarà sufficiente per ucciderla?
Ho lasciato un avvertimento, “non plus ultra”, scritto sui boccaporti d’ingresso. Non più avanti; lo stesso delle Colonne d'Ercole per fermare il passaggio ai mortali.
Le forze mi stanno abbandonando ed è finito anche l'inchiostro. Non lascio il cerchio di luce da chissà quanto. Se state leggendo questo messaggio non avete inteso il mio ammonimento e la creatura ora è libera. La sentirete arrivare: si muove nell’oscurità. All’inizio dei lamenti lontani, poi strani rumori, passi leggeri e scricchiolii intorno a voi. E’ affamata. E’ venuta per cibarsi.
Oggi l’ho vista chiaramente per la prima volta, in un frammento di vetro. Nel suo riflesso.