Non sempre le cose sono come sembrano, il loro primo aspetto inganna molti: di rado la mente scopre che cosa è nascosto nel loro intimo.
Fedro
Abbiamo trovato la
morte. Lo sapevo. Possibile che fossi l’unico a percepirne i segni premonitori?
Se avessi avuto il coraggio di parlarne al mio equipaggio forse sarebbero
ancora tutti vivi o forse non sarebbe cambiato nulla: chi crederebbe ad un
pazzo?
Ricordo il titolo
del giornale: “Nuovo bolide esplode sull'Atlantico”, un manifesto alla potenza
distruttiva del meteorite. Un grosso frammento si era inabissato, ma in realtà
nessuno sapeva con certezza cosa fosse.
Il mondo
scientifico, attratto dall'evento, voleva le sue risposte.
Conoscete il modo di
dire ‘non sempre le cose sono come sembrano?’
Non potevano esserci
parole più vere.
Trovarono i fondi
per la spedizione scientifica.
Trovarono il
sottomarino; un rottame sovietico, avanzo della Guerra Fredda. Quando lo vidi
la prima volta era chiaro che per tenerlo insieme sarebbe servito più coraggio
che bulloni.
Trovarono gli
scienziati e l'equipaggio; ognuno con il proprio tornaconto, ma erano
competenti e pazzi quanto basta. A me affidarono il comando del vascello. Non
ero costretto, ma le mie carenti finanze mi spinsero ad accettare. Nutrivo
dubbi sulla buona riuscita dell'opera. Perché? Tredici uomini. Inutili le mie
proteste per un altro uomo. I fondi stanziati erano quelli, ma vallo a spiegare
alla sfortuna.
Avevamo poco tempo
per preparare la missione e passai giorni a studiare intensamente ogni
dettaglio con il mio equipaggio. Il nostro lavoro non può essere improvvisato.
Trovammo tutti gli espedienti possibili per rendere il vascello idoneo
all’incarico. Sembrava riparato con spago e nastro adesivo, ma funzionava, ed
in poco tempo la spedizione scientifica era pronta. Dovevamo giungere per
primi. Iniziammo la navigazione, armati di speranza e preghiere, di venerdì
diciassette e nonostante tutto il vecchio bidone ci condusse in posizione.
Fin dal primo
contatto l'oggetto lasciò un segno.
Ordinai l’immersione
a 600 piedi e appena pronti, inviammo un robot per una ispezione esterna del
meteorite, mentre noi, al sicuro nella sala di comando, tenevamo gli occhi fissi
sui monitor. Sotto i fari del robot l'oggetto si presentò diverso da quello che
ci aspettavamo. Sprofondato in parte nel fondale fangoso, mostrava una
superficie metallica, lucida e molto solida. Incisi su di essa una serie di
glifi, come iscrizioni in una qualche lingua. Era chiaro che non si trattava di
un meteorite, ma di un manufatto alieno.
Personalmente ero
turbato e deciso a ritornare, ma gli scienziati chiedevano più tempo; volevano
eseguire altri rilevamenti, compresa attività subacquea esterna al vascello e
se possibile il prelievo di una scheggia dell’oggetto. La speranza di
un’impennata nelle loro carriere era evidente. Pessima idea, l’istinto mi
diceva di ritirarmi davanti all’ignoto, ma la missione doveva continuare e poi
mi avevano pagato in anticipo.
Decidemmo di restare
per la notte.
Quella notte per me
cambiò tutto.
Il sonno irrequieto,
continuamente svegliato da incubi. Sensazioni che non mi appartenevano. Ad ogni
risveglio ero sudato fradicio.
Il giorno seguente
sentivo rumori provenire dall'esterno dello scafo. Conosco i suoni di un
sottomarino; il metallo del battello pressato dall’acqua genera strani
frastuoni, ma questi erano sinistri, spaventosi. Non ne parlai con nessuno per
non perdere il comando.
Non mi era mai
successo prima; ero impaurito, anche da me stesso. Le mie certezze iniziarono a
vacillare. Forse la situazione mi stava sfuggendo di mano.
Temevo il peggio,
perseguitato dalla sensazione che fosse con noi una oscura presenza, ma
ugualmente ci avviammo al ritorno. Perché non avremmo dovuto farlo? Dopotutto
gli altri erano tranquilli, forse ero solo io che stavo diventando pazzo o
forse era tutta la situazione in sé. Eppure quello che provavo era così reale.
Non so se un essere organico o un fantasma, ma qualcosa era uscito da quel
relitto ed entrato nel vascello. Come? Non saprei spiegarlo. Chiamatelo sesto
senso.
Non passò molto
tempo che incontrai per la prima volta il terrore puro. A bordo esplose il
panico. All’inizio si trattava di guasti dell'illuminazione interna, ma il
problema divenne più serio quando gli uomini del mio equipaggio hanno iniziato
a sparire, lasciando solo brandelli di carne e macchie di sangue. Siamo stati
fatti a pezzi e in poche ore ho perso tutto il personale di bordo e con loro
anche il controllo del vascello. E’ adagiato sul fondale e non conosco la
posizione. Ho tentato di farlo risalire, ma senza successo. Correndo in sala
macchine sono scivolato su qualcosa. Inizialmente pensavo ad una perdita di
gasolio, perché le luci rosse, ultime superstiti, non permettono di distinguere
bene i colori; era una pozza di sangue. Alla mia destra stava un uomo del mio
equipaggio, ma solo metà. L'altra era stata divorata.
È stato in
quell’attimo che anche le poche lampade rosse, benché protette da una gabbia
metallica, sono esplose, scagliando frammenti di vetro ovunque.
Buio pesto; solo
qualche debole spia dai pannelli di comando continuava la sua lotta.
In quel momento ho
avuto il primo contatto; ho percepito la sua presenza. Mi girava intorno
furtiva nelle gelide tenebre, che aleggiano all'interno del sottomarino. Non
l'ho mai vista in modo distinto, se non la sua ombra, più scura della notte,
mentre si muove veloce. Sembra avere un corpo antropomorfo, grande come un
uomo, con artigli lunghissimi, affilati, fatti per squarciare la carne. Li ho
visti bene uscire dalle tenebre nel tentativo di afferrarmi. Credo non abbia
occhi, non le servono al buio. Cresce cibandosi di carne umana. Tremavo in
preda al panico. L’ho illuminata con la torcia elettrica che tenevo in mano, ma
ha trovato la fuga. Quella cosa è lucifuga; la luce la brucia, le provoca
dolore. Non so come, ma sono riuscito a fuggirle. Ho creato un tenue cerchio di
luce in un angolo stretto della sala macchine con la mia torcia elettrica.
Da quel momento non esco
dal cerchio di luce. Fin che sono all'interno del cerchio sono salvo. Tengo
delle batterie di scorta, ma quanto dureranno ancora?
Ormai ho perso il
conto dei giorni.
Non mangio e il mio
corpo stanco ha bisogno di nutrimento, mentre lei ad ogni pasto è diventata
sempre più forte.
La creatura cerca di
controllarmi. Sento i suoi pensieri nella mia mente. Vuole che la raggiunga,
che mi unisca. E' affamata come me. Sento i suoi simili. Sono affamati anche
loro. Il meteorite è il loro sistema di viaggio. Sono ancora vivo perché le
servo per uscire da qui; le servo per manovrare il vascello e portarlo in
superficie; ma poi che succederebbe?
Alterno momenti di
lucidità a momenti di follia; poi cado in un pianto disperato fino a perdere i
sensi. Al risveglio sono pieno di tagli e ferite; i suoi tentativi per
trascinarmi fuori dal cerchio di luce. Vuole portarmi nelle tenebre, ma sono
incatenato ad una condotta.
Sto impazzendo. I
suoi lamenti lacerano l'anima; sono le urla degli uomini di cui si è nutrita.
All'inizio, nei
momenti lucidi cercavo una soluzione, ma è chiaro che non esiste via di fuga.
Non mi farò mangiare
vivo. Accarezzo con delicatezza il grilletto della pistola; resta un solo
colpo. Penso continuamente ai miei cari. Chi si occuperà della mia famiglia?
Devo impedire che raggiunga la superficie. Sa che voglio rinchiuderla e per
questo mi ha punito squartandomi con una zampata la coscia destra. E’ irritata
al mio pensiero di usare la pistola su di me, la sua unica via di fuga; mi ha
gettato contro i resti dell'equipaggio. Ho vomitato.
La pistola mi
guarda... non ho il coraggio.
Il respiro si è
fatto pesante e l'ossigeno scarseggia. Sarà sufficiente per ucciderla?
Ho lasciato un
avvertimento, “non plus ultra”, scritto sui boccaporti d’ingresso. Non più avanti;
lo stesso delle Colonne d'Ercole per fermare il passaggio ai mortali.
Le forze mi stanno
abbandonando ed è finito anche l'inchiostro. Non lascio il cerchio di luce da
chissà quanto. Se state leggendo questo messaggio non avete inteso il mio
ammonimento e la creatura ora è libera. La sentirete arrivare: si muove
nell’oscurità. All’inizio dei lamenti lontani, poi strani rumori, passi leggeri
e scricchiolii intorno a voi. E’ affamata. E’ venuta per cibarsi.
Oggi l’ho vista
chiaramente per la prima volta, in un frammento di vetro. Nel suo riflesso.
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