mercoledì 21 febbraio 2018

ORGASMO DEL MOTO A LUOGO di Giuseppe Novellino

A Lucia si è guastato il condizionatore ed è costretta a tenere la finestra spalancata. La sera di luglio è caldissima, ma adesso s’intrufola un dolce venticello che riesce ad asciugare il sudore.
Un rombo d’aereo copre la voce dell’amica. Le pare, comunque, di avere inteso la domanda.
– Vuoi proprio sapere che cosa sta facendo il mio maritino? – dice Lucia, comodamente abbandonata sul divano, davanti allo schermo del videotelefono.
– Se non sono indiscreta.
– Legge.
– Legge!? E che cosa, di grazia?
– Un libro intitolato “Il giro del mondo in ottanta giorni”.
– Un libro di viaggi, a quanto pare.
– Già. Dice che viaggiare con le pagine di un libro gli fa provare qualcosa di nuovo.
– Incredibile!
– Ma vero.
Nel salotto c’è anche il televisore acceso, con l’audio al minimo. Copre quasi tutta la parete e produce un gioco di luci a seconda delle immagini che proietta.
– Visto che stiamo parlando di Luca, ti confido una cosa, Rachele.
– Dimmi – la incoraggia l’amica.
– Mi sembra che stia diventando un po’ strano.
– Davvero?
– Sì. Siamo tornati da ben due settimane e non ne vuole saperne di fare un nuovo viaggio.
– Hai ragione, Lucia. È preoccupante.
– Ho paura che ci possa andare di mezzo anch’io.
– Puoi ben dirlo – fa Rachele. – Il Comitato potrebbe insospettirsi e mandarvi qualche avviso di mobilità. – La sua faccia, sullo schermo ha assunto un’espressione di sincera partecipazione.
Altri due sibili di reattore, uno dietro l’altro. Quella sera, comunque, non c’è molto traffico aereo.
– Come puoi notare ho la finestra aperta. Mi si è rotto il condizionatore. Ma ho già provveduto. Domani mattina vengono ad istallarne uno nuovo.
– Infatti, mi sono accorta che fai un po’ fatica a cogliere le mie parole.
– Tutti quegli aerei…
– Sono un po’ fastidiosi, convengo. Ma rappresentano la nostra felicità.
Lucia sorride beata. – Certo, cara. Pensa come doveva essere triste la vita, quando si prendeva l’aereo solo quattro o cinque volte all’anno… E ci si limitava a fare il viaggio annuale a New York o la vacanza alle Maldive.
– Poveracci quei nostri genitori! – esclama Rachele, scuotendo il caschetto argentato.
Un rombo lontano, poi un altro, più fastidioso. Doveva essere decollato da Linate 7/B.
– Per dove partirete, domani? – chiede Lucia dopo un momento di silenzio.
Rachele distoglie lo sguardo dalle unghie che sta esaminando e risponde.
– A Londra, per il fine settimana. È la novantaduesima volta che ci vado, ma è sempre emozionante.
– Oh sì! – fa Lucia, battendo le mani. – Il Big Ben, il Tamigi…
– E tutto il resto, certo. E voi?
– Te l’ho detto, se riesco a smuovere quel pigrone di mio marito, vorrei andare a visitare per la diciassettesima volta la Muraglia Cinese.
– Grande! Io ci sono stata il mese scorso.
– E poi avrei in mente le isole Figi, Madrid, Città del Capo e i castelli della Loira. È da un po’ che non li visito, quelli. Sai… un mio amore di gioventù. Tutto per il mese prossimo.
– Caspita! Vi beccherete un premio dal Comitato.
– È quello che spero. Sempre che quella lumaca di mio marito si dia una mossa.
– E vacci da sola, no?
– Alla più disperata. Sta il fatto che di lui sono ancora innamorata e mi va di condividere le bellezze del mondo e il benessere che ti procura il viaggiare.
– Capisco.
Un altro rombo d’aeroplano.
Accanto alla faccia di Rachele, appare quella di un uomo che fa l’occhiolino a Lucia. – Cucù!
– Ciao Gustavo!
– Sai dove ce ne andremo, Rachele ed io, il mese prossimo? Oh, intendiamoci, è una sorpresa anche per lei. – Ammicca di nuovo e dà un bacio al caschetto argentato della consorte. – L’ho saputo cinque minuti fa.
Lucia spalanca tanto d’occhi, come davanti alla scena madre di un thriller.
– Sulla Luna.
– Oooh! – fa Lucia.
Rachele emette un gridolino di gioia e salta sulla sedia.
– Siamo stati scelti dal Comitato fra i cento migliori viaggiatori della nostra città – annuncia Gustavo.
– Immagino che siate contenti – dice Lucia, senza nascondere un moto di invidia.
Rachele batte i pugni contro le guance. – Altro che contenti. Felicissimi!
– Beh, devo lasciarvi – annuncia Lucia. Non può più contenere il livore e preferisce interrompere la comunicazione.
Intanto Rachele e Gustavo si sono abbracciati e poi sono scomparsi dal campo visivo dello schermo.
“Faranno l’amore, lì’ sul tappeto… per festeggiare la notizia” pensa Lucia.
In quel momento entra Luca. Getta il libro sul divano e si stiracchia soddisfatto.
Ha il viso leggermente arrossato.
Il rombo che viene dalla finestra è più forte del solito.
Lucia va a chiudere le imposte.

lunedì 12 febbraio 2018

Il GATTO di Pierre Jean Brouillaud

 
Enorme, quel felino! Gigantesco!Intagliato nella montagna.In verità, la scultura è l’intera montagna. Trecento metri d’altezza.Un gatto seduto.I suoi occhi, mostruose agate gialle con fessure nere striate di filamenti dorati. Giorno e notte, fissi, aperti. Essi vi attraggono, faro che segnala una riva sconosciuta, pista illuminata in attesa dell’atterraggio.
Secondo i dati disponibili, i baffi del “gatto” servirebbero da antenne. Le orecchie, triangolari, come nell’originale, si orientano secondo il rumore prodotto. Capterebbero il minimo suono emesso entro un centinaio di chilometri.
Eravamo in orbita. Altitudine: 4OO km. In ottanta minuti si faceva il giro del pianeta fino a tornare al Gatto.
Dietro al plexiglass, osservavamo, affascinati.
Ci lasciammo sedurre per un po’. E ci saremmo gettati sulla bestia, finendo per schiantarci tra le sue gambe.
Ferma! Ferma!
Inutile dire che l’abbiamo fermato. Cosa? Il sistema di atterraggio automatico.
All’ultimo istante.
Poi, la luminosità di quegli occhi si è indebolita. Sembrava che ESSI avessero capito che questa volta la loro trappola non aveva funzionato.
Almeno, non funzionato come previsto. Come ESSI l’avevano previsto. Di LORO non sapevamo tutto, eravamo lontani da questo. Eravamo venuti per controllare, perché il rapporto redatto da quelli dell’astronave Alpha aveva dei buchi. Parecchi buchi.
Da cos’era motivata la nostra azione: ESSI si comportavano come pirati, come quei sabotatori che una volta pareva accendevano fuochi sulla riva per ingannare le barche. Così coloro che si avvicinavano alla riva si fracassavano sugli scogli, offrendo il loro carico ai ladri.
Il Monte stava in agguato su una via che in teoria avrebbe anche potuto essere molto frequentata.
I nostri Astrocargo minerari spesso scomparivano. Avevamo scoperto sulle pendici del Gatto dei detriti di veicoli abbattuti e saccheggiati.
Tutt’intorno a quel sistema solare erano sorte stazioni che sono praticamente dei mini-pianeti nei quali si esercitano molte attività spesso lucrative e talvolta illegali. Dove proliferano racket di ogni tipo e ove si aggira ogni sorta di avventuriero.
Il Gatto e i pianeti. Una storia lunga.
Tra i “passeggeri” delle nuove missioni che hanno seguito quelle di colonizzazione del sistema solare c’erano anche dei gatti. Persino il nostro Capitano Alcott ne ha uno.
Come si erano comportati quegli animali?
Si erano perfettamente adattati e riprodotti. Erano divenuti non solo delle mascotte, ma, soprattutto, unimmagine, un simbolo della vita sul pianeta madre, un animale molto popolare anche tra i terrestri installati nelle basi più recentemente create.
Purtroppo un focolaio di peste felina, probabilmente venuto dallo spazio (in quanto non è un male dilagante sulla Terra) avrebbe presto causato l’estinzione della specie su Venere.
Il che ha lasciato un profondo rammarico tra quei coloni.
Bisogna anche dire che in numero crescente costoro sono ora impegnati in pratiche sempre più assimilabili alla pirateria. Così limmagine stessa di questa nostalgia per un animale divenuto mitico ispirò probabilmente la trasformazione di quello che sarebbe diventato il Monte Gatto.
Ed eccoci qua!
Ora avevamo a bordo un commando del DIP, la dogana interplanetaria, che ci avevano raggiunto con una speciale navetta, sempre pronti a intervenire e fare la pulizia necessaria. Avevamo anche un passeggero considerato “volontario”, in realtà un criminale pentito che conosceva i segreti del Monte Gatto, quelli che ne controllano l’accesso, nonché la rete interna, un vero labirinto. In effetti, la montagna è vuota. Nei passaggi e cavità, che sono le interiora del Gatto, viene stivato il bottino dei pirati che poi lo vendono a prezzi elevati nel mercato nero delle stazioni e delle colonie. Si può ancora parlare di “mercato nero”, tanto questa pratica è comune e considerata da molti come “normale”?
È giunto il momento! Nella pancia del Gatto si nasconde il centro che comanda tutta la rete. È il posto giusto per colpire.
Come entrarvi?
Ecco che arriva Mabick, il “pentito”.
Il punto debole della “Fortezza” è un accesso nascosto su uno dei fianchi della montagna. Mabick conosce il codice.Proviamo. Tre volte.Hanno cambiato il codice!
Cosa fare?
Il pentito crede di ricordarsi che spesso ESSI abbiano la tendenza a mantenere lo stesso insieme di numeri scambiandoli.
Quante combinazioni?
Idiota! Non è così...
Ma Mabick insiste. Se provassimo... Un bagliore. La porta si muove...Il diaframma si apre!
Il commando dei marine è sul piede di guerra. Ora tocca a loro.
Monte Gatto scompare. Solo un orecchio esce dalla nebbia, di cui si avvolge il pianeta.
Ora sapete tutto, quasi tutto del ruolo che abbiamo giocato laggiù.
Il commando ha compiuto la sua missione. Anche noi. La prossima missione ci attende.
(Traduzione : Giorgio Sangiorgi)

lunedì 5 febbraio 2018

CANI AGILI di Paolo Durando

 
Si vedeva il mare, vasto e accecante, dall'acropoli. Ci si chiedeva perché occorressero tutte quelle anfore. La giovane donna era sul punto di scendere le scale, portandosene via un paio. Borbottava qualcosa, si poterono cogliere alcune parole, che avevano a che fare con “il decoro di una dovuta accoglienza”. Ma noi non volevamo che restasse a piedi scalzi sui gradini di pietra.
“Lo sai,” le abbiamo detto, “noi non crediamo che tu debba ancora servirci!”. Ci mettemmo a scrivere su una parete scabra. C'era un'allieva di Antistene che ci guardava, con le mani appiccicose. Ci si ricordava bene di tutte le acciughe che aveva cucinato. C'era molta luce, l'aria era tersa. Ci venne in mente che, venendo da lontano, avremmo passato lì la notte. E domani avremmo ripreso la nostra vita randagia. Io stessa, l'acronica, scrissi, con attenzione: ”autarchia”, ma in quel momento arrivarono mia madre e un cugino che non vedevo da vent'anni.
Quella delle anfore era scomparsa e noi decidemmo di raggiungerla giù per le scale. Doveva capire che non era più una schiava. Che era nato un nuovo concetto, quello dell'uguaglianza vera, sostanziale. Mio cugino estrasse dal chitone un pezzo di pane all'anice, dapprima senza forma, poi vagamente umano. 
“È Socrate,” mi disse, protendendo le labbra leziosamente: “Tieni, mangiatelo, ché è buono, Socrate.”