Sciamavano, fra bagliori
improvvisi e tempeste di neutrini e si lasciavano portare dalle onde
gravitazionali, milioni di puntini luminosi nel vortice nero del vuoto… sciamavano
inerti, occhi chiusi e cuore in allerta.
Sciamavano… astronavi o
mondi interi non lo sapeva e neanche lo interessava.
Li vedeva andare dal casco ricevuto
in soccorso da quegli strani alieni, e si sentì completamente soddisfatto.
Fu allora che i suoi
pensieri tornarono indietro, come a ripassare una storia che non gli
apparteneva più, ma che era la sua. Ricordò, ricordò ogni cosa.
Non era comoda la prigione
in LG97, due metri per tre senza finestra, ma dicevano che era quanto
meritavano i criminali irrecuperabili…già, loro, la gente civile, che si
chiudeva la sera in cubicoli ancora più piccoli e avvilenti, ma liberi, liberi
di impiccarsi con pasticche e piastrine neuroniche per viaggiare felici nei
sogni, e fingere vite senza incubi.
Non dovevano farlo…! Condannarlo al peso di
una solitudine desolante ed opprimente, in una scatola automatica diretta verso
il niente, condannarlo al terrore del vuoto e per compagnia null’altro che i
suoi pensieri.
Non dovevano farlo… era
stato peggio che ucciderlo… una nuova tortura tecnologica e compassionevole, il
vuoto e il non sapere.
Dove e quando fu
risvegliato non gli sembrò importante, ma forse fu un bene liberarsi da quei
sogni cui non poteva sfuggire, o dagli incubi che gli pulsavano di gelo nel
cuore.
Avrebbe voluto
disperatamente regalarne loro qualcuno, o più semplicemente far loro provare
quanto si è soli in una scatola di plastica e acciaio che va per lo spazio
silenziosa; già, avrebbe voluto davvero regalare al mondo intero qualcuno dei
suoi incubi più atroci e sfrenati.
Ma si sentì stanco di
colpo, provò goffamente a muovere un braccio… respirava a fatica. E quelle
voci, quelle voci dentro la testa che non davano tregua come un artiglio
graffiante di pena, come uno strazio dell’anima, assetato e insaziabile…
Non dovevano farlo… non era
giusto prelevarli a gruppi e spedirli nello spazio a tentare non si sa che di
nuovo… d’altronde loro erano gli irrecuperabili, i ruleout, quelli che non
osannavano il mercato e il consumo, gli emarginati, per volere o per forza. Consumare…
questo era l’obbligo assoluto.
“Tutto deve essere tuo perché hai diritto alla
felicità” era la sola legge, inderogabile, del pianeta: tutti uguali nella
stessa leggerezza, nella stessa ubbidienza, nell’identico e mostruoso dovere di
essere felici. Finalmente, si disse con un’inaspettata amarezza, s’era
realizzata l’utopia della giustizia e dell’uguaglianza.
E pensare che quelli come
lui non erano neppure “contro”, semplicemente erano “fuori”, se ne
infischiavano dell’obbligo di consumare. Forse era questo il crimine più grande:
fossero stati “contro” li avrebbero potuti etichettare e colpire, ma così… così
diventavano sguscianti e di cattivo esempio per la gente perbene, che non
doveva capire come fosse possibile una vita diversa dal sognare vetrine. Per
questo dovevano essere imprigionati, per questo li usavano come carne da
macello per improbabili conquiste spaziali o esplorazioni senza ritorno.
Inadatti al consumo, dunque
inutili e socialmente pericolosi… mandarli in missione sembrava quasi un gesto
riparatorio e pietoso attraverso cui avrebbero avuto la loro redenzione.
Chiuse per un attimo gli
occhi, cercò di fare un respiro profondo… per questo lo avevano gettato in
quella parte inesplorata dello spazio, calato su una scheggia di roccia che
ruotava da qualche parte…
E lì aveva sentito le voci,
mentre guardava con ansia la melma di metano in cui sprofondava la sua nave
spaziale. Parlavano, chiedevano, ululanti ed urgenti, a milioni.
Sentiva nella sua testa un
che di disperato e vorace, percepì l’esilio e la fame, lo attanagliò fin nelle
visceri la voglia di possesso, di una patria, di una casa, di una scodella… si
sentì preso dalla stessa infinita irragionevolezza di chi vuole.
Capì che lui doveva
indicare lo scopo, la patria, la fine della mancanza.
E come in un lampo lo
afferrò la rabbia verso chi lo aveva mandato a morire su quella forca di
metano, gli vennero in mente i nomi, i volti, i paesaggi… il terzo pianeta…
Il terzo pianeta,
involgarito e letale, in un sistema marginale di una galassia qualsiasi…
Pensò alla sua vita, alla
sua casa, a quel mondo luccicante e senza misericordia; pensò che stava
morendo, e una rabbia incontenibile quasi gli scoppiò dentro quel casco: ci
voleva una vendetta per tutti gli emarginati della terra, una vendetta di
migranti, che portassero morte e terrore tra quelle vetrine istupidite da finte
giovinezze, consumate in trapianti d’organi e leggins push-up bionici.
Ci voleva una vendetta di
migranti-briganti.
Di colpo si sentì quieto,
soddisfatto, in pace con se stesso. Sentì rilassarsi tutto il suo corpo; forse,
ma non ne era certo, gli nacque un sorriso da dentro.
Ed ora li vedeva… sciamavano
veloci nel nero più fondo, a milioni verso un puntino di luce. Sciamavano come
migranti verso una nuova patria, come naufraghi in cerca di un approdo, o
vampiri a caccia di nuove prede.
Si sentì morire, mentre il
respiro diventava più affannoso.
Nel suo rantolo finale
sorrise di odio… sì, sciamavano, a ondate, nel vuoto nero silenzioso dove
sembrava che anche le stelle si perdessero, sciamavano crudeli e fameliche verso
il terzo pianeta… cavallette, cavallette spaziali a compimento della sua
vendetta.
Racconto fantascientifico di suggestiva descrizione interiore: descrizione di pensieri, sentimenti, sensazioni. Molto bello.
RispondiEliminaBello questo racconto!
RispondiEliminaScritto molto bene e davvero suggestivo.
Complimenti!
Il pregio fondamentale di questo racconto, secondo me, è l'accostamento tra il mondo interiore e quello cosmico, sfuggente, insondabile, misterioso. Poi ci sono altri aspetti, quello fantasociologico e addirittura fantapolitico. Insomma un racconto denso e capace di catturare l'attenzione, scritto in modo vivace, con efficaci pennellate descrittive di realtà siderali.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Interessante e ben scritto.
RispondiEliminaUn racconto sf moralista e intimo molto originale.