“... quelle dannate erbe devono
essere carnivore...”
Mi volto verso il mio amico
Roberto che ha appena parlato.
“Eh? Di che cosa parli?”
“Delle erbe che sono spuntate alla
vecchia fornace abbandonata...”
Si riferisce a una fornace
abbandonata oltre quaranta anni fa.
“Erbe carnivore qui da noi, con
questo clima? Non è proprio possibile...” gli rispondo pescando con la memoria
nei miei vecchi ricordi di botanica.
Stando sveglio nel mio letto di
notte, ricordo i frammenti del mio ultimo dialogo con Roberto. Sono stato uno
degli ultimi testimoni a vederlo, prima della sua scomparsa. Quella sera
all’osteria ero stanco e ascoltavo distrattamente i discorsi dell’amico. C’era
il temporale e aspettavo che smettesse di piovere per andare a casa a dormire.
Il giorno dopo Roberto scomparve
di casa e la polizia lo sta cercando da oltre due settimane. Alcuni dicono di
averlo visto insieme a una donna. Altri suggeriscono che è partito in cerca di
libertà.
In realtà da quando l’ho conosciuto
ha sempre dimostrato un carattere difficile, imprevedibile. Possedeva un grande
senso dell’amicizia e un profondo amore per la libertà. Il suo problema forse
nasceva da questo contrasto: amava le persone, ma non sopportava i vincoli che
l’amore da sempre crea.
Ricordo che altre volte Roberto mi
aveva chiesto di andare alla vecchia fornace per studiare le erbe... Come ho
potuto dimenticare tutto questo! Forse sarà andato là da solo e si sarà fatto
male. Forse è là che bisognerebbe cercarlo adesso.
Accendo la lampada e guardo
l’orologio; le due e un quarto di notte. Chissà se invece non sia veramente
partito in cerca di libertà.
Il mattino seguente sto per andare
alla polizia ma all’ultimo momento cambio idea per non rischiare di apparire
ridicolo.
Sul tardo pomeriggio mi tornano in
mente le ansie della notte. Così per scrupolo mi incammino sul sentiero in
discesa che conduce alla fornace. Sarà tutto cadente da quello che si può
vedere da lontano. Tetti sfasciati. Due cinture in ferro del camino saltate...
La fornace sorge isolata nei
campi. Lo stesso villaggio che ospitava a quel tempo gli operai è abbandonato
perché le famiglie sono emigrate. Man mano che mi avvicino la mole
dell’edificio diventa gigantesca, imponente e si notano maggiormente i danni
dovuti all’abbandono.
Arrivo dietro, sul lato ovest dopo
aver attraversato un tratto di terreno incolto. Sono tutto sudato. C’è un
calore afoso in questa estate eccessivamente umida. Il lunghissimo muro di
cinta è crollato in un punto così non dovrò fare la fatica di scalarlo. Salgo
sulle macerie e da lì entro dentro.
Un cortile affollato di strane
erbe spinose tipiche dei terreni aridi. Artemisie gigantesche dal fusto
rossastro. Scopacci (Erigeron Canadensis) grandi come non ne avevo mai visto.
Davanti a me le basse casematte di mattoni rossi investite dal sole. Più oltre
si susseguono le lunghe campate dei tetti e sullo sfondo torreggia il camino
rosso-bruno contro l’azzurro del cielo.
Resto all’ombra del muro di cinta
provando una strana eccitazione. Anche Roberto è stato qui prima di me e ha
visto tutto questo.
Poi scendo giù e guardo le erbe. A
quale si riferiva il mio amico? C’è il cardo, poi un tipo di erba rossastra che
ho visto ancora da qualche parte... No non si tratta di queste.
Cammino nel cortile deserto
provando uno strano disagio. Compio giri, per evitare le erbe spinose, fino a
un portone in ferro nero. Di fianco c’è una pianta di cardo gigantesco che
arriva quasi ai tetti delle costruzioni. Per terra ci sono lunghi chiodi
arrugginiti e teste di comignoli cadute.
Sul lato sud allignano steli alti
e magri che attirano la mia attenzione. Non ho mai visto niente di simile. Mi
avvicino per esaminarli. Sono erbe alte più di due metri color marrone
bruciato. Provo a scuotere lo stelo duro e flessibile. Per tutta l’altezza
spuntano peduncoli appuntiti e alla base ci sono foglie lunghe e sottili.
I mattoni rossi illuminati dal
sole al tramonto immergono il cortile in una strana luce rossastra che sembra
sangue. Allora entro negli edifici cupi e pieni di polvere. Sento rumore di
uccelli in fuga sotto i tetti. Percorro i corridoi lungo le camere di cottura.
Guardo dentro alle arcate scure e
profonde. Raggiungo la base enorme del camino. Del mio amico Roberto non
c’è nessuna traccia.
Su una passerella sopraelevata
trovo una scarpa che potrebbe appartenere a Roberto. Ma è vecchia, polverosa e
chissà da quanto tempo è qui.
La luce dorata del sole che entra
dai finestroni mi avverte che sta scendendo la sera. Sporco e sudato ritorno
indietro e abbandono le ricerche.
La stessa notte penso alla mia
escursione alla vecchia fabbrica. La scarpa che ho trovato laggiù sarà stata
veramente di Roberto? Per togliermi ogni dubbio decido di tornare a prenderla
il giorno dopo.
Ma al mattino gli impegni non mi
consentono di allontanarmi dal lavoro. Al pomeriggio per sfortuna arriva un
temporale con pioggia, vento, grandine e devo aspettare che finisca.
Sul tardo pomeriggio quando è
tutto passato mi incammino sul sentiero fangoso che porta alla fornace. Dopo la
tempesta l’aria è fredda e il cielo ha una luminescenza di cristallo. Il sole
color rosso sangue sta tramontando in uno scenario di nubi viola e turchine.
Oltrepassata la breccia nel muro
il cortile appare più piccolo e isolato. I mattoni riflettono il colore rosso
cupo, le erbe bagnate sembrano vetrificate. Poiché desidero far presto mi metto
a correre ma il terreno appiccicoso trattiene la mia scarpa facendomi cadere.
Rimango seduto, ansante, ad
asciugarmi il sudore. La temperatura è molto elevata qui dentro. Forse a causa
dei riverberi degli edifici intorno al cortile chiuso.
C’è una ragnatela rossastra, come
una specie di muschio esteso sul terreno. La mia mano toccandolo si è
arrossata. Gratto via il prurito e mi alzo in piedi. Odo uno strano fischio,
sottile, lontano e intermittente. Mi fermo per ascoltare il fenomeno. Sarà il
vento che fa fischiare le lamiere delle grondaie.
Mi chino di nuovo per osservare la
ragnatela rossastra che qui è ancora più evidente. E lo strano sibilo sopra di
me è aumentato diventando più acuto. Ma cosa sta succedendo qui dentro?
Il terreno ha strani rigonfiamenti
simili a collinette e in quei punti sembra più molle e appiccicoso. Alzo la
testa di scatto allarmato e impaurito. Le strane erbe filiformi adesso si
piegano tutte verso di me come sotto l’effetto del vento. Ma non c’è vento!
Allora vedo il germoglio rosso
vivo, mostruosamente aperto e pulsante come una bocca...
Senza perdere un istante mi lancio
di corsa passando sotto alle erbe piegate. Raggiungo il muro di recinzione nel
punto più vicino, evitando di attraversare il cortile per arrivare alla breccia
dell’uscita.
Scalo freneticamente i mattoni
senza badare alle cose che mi toccano e sembrano volermi trattenere. Quando
sono sulla cima prima di saltare dall’altra parte guardo per l’ultima volta il
cortile assassino.
Tutto vibra e si muove. Le erbe
fischiano, si piegano, la ragnatela si è ingrossata come rivoli di sangue.
Il mio pensiero va al mio amico
Roberto e da questo momento ho perduto la speranza di rivederlo.
(Per gentile
concessione dell’Autore)
Come il solito, un racconto avvincente, godibile.
RispondiEliminaIl mondo vegetale si è sempre prestato per storie da incubo. Le piante vivono, sentono... e mangiano. Qualche volta sono carnivore e qualche altra lo sono in un modo davvero impressionante, misterioso e orribile. Come in questo caso, naturalmente per opera della fantasia. Bel racconto dal sapore classico, pieno di suspense.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino