Sulla valle di Nis splende una
falce di luna pallida e maligna e i suoi raggi trasparenti si fanno strada nel
fogliame del pericolosissimo albero d’upas; ma nelle profondità della valle,
dove la luce non arriva, si agitano figure che è meglio non guardare e non
incontrare.
(Dal
racconto Memoria di H.P. Lovecraft)
“Sento soltanto
vuoto e freddo dentro di me… E il mio cuore è diventato il mio sepolcro”.
Nella vita di
Timoteo non c’era più nulla. Nulla se non il dolore. Nella bella e nella brutta
stagione, di giorno e di notte, non c’era un momento in cui egli non si
fermasse nel cimitero della città davanti alla tomba di sua madre. Timoteo
aveva un desiderio indescrivibile di rivederla, di poterle parlare di nuovo, di
abbracciarla come quando era bambino. Accanto alla tomba sorgevano due alberi:
uno alto, con il tronco grande, i rami lunghi e frondosi; l’altro basso, con il
tronco piccolo, i rami corti e spogli. Erano molto vicini tra loro, ma non si
toccavano mai, nemmeno quando soffiava forte il vento.
In una calda notte di luglio, Timoteo fu protagonista di un evento
incredibile: gli apparve il fantasma di sua madre. Restò attonito di fronte
allo spettacolo sublime ed orribile che gli si palesava davanti agli occhi,
sentì la mente vacillare, la paura impossessarsi di lui e dubitò anche se fosse
sveglio o stesse soltanto sognando.
“Mamma!... Sei
tu… Sei tu!”
“Sì, Timoteo!...
Sono io!... Sono proprio io!”
“Mamma!... Io…
Io…”.
“No!... Non
piangere, figlio mio!... Non piangere, ti scongiuro!”
“Ritorna da me,
mamma!... Io… Non ce la faccio a vivere da solo… Non ce la faccio!... Devi
ritornare da me!”
“Timoteo!... Lo
sai che i morti non ritornano… Il nostro mondo è diverso dal vostro!”
“No, mamma!... Tu
puoi, devi ritornare da me!... Devi!”
“E come, figlio
mio?!... Quello che tu vedi è soltanto un fantasma, una povera creatura della
notte che gli esseri umani temono e odiano. Vuoi che tua madre ritorni nel
mondo dei vivi per vederla perseguitata dagli uomini? Allora non è vero che le
vuoi bene, che la ami veramente”.
“Io sto soffrendo
moltissimo perché tu non sei più vicino a me, perché non ti vedo più”.
“No, Timoteo! In
realtà non sei tu quello che soffre di più, ma io. Sono uscita dalla tomba
perché il mio desiderio di rivederti è stato mille volte più grande del tuo. Ed
immenso è il desiderio che tu venga da me per sempre… Ed ora vieni…
Vieni!... Vieni da me!...”.
A quelle parole Timoteo ebbe un sussulto quasi mortale. All’improvviso la
notte, che fino a quel momento gli era stata amica, si tramutò in un buio
pesante ed amaro ed in quel preciso istante il fantasma della madre di Timoteo,
così soave e così dolce, si tramutò in uno spettro feroce e crudele che
avvinghiò il figlio a sé portandoselo nella tomba.
Questa storia di fantasmi mi è stata raccontata da
un vecchietto durante un mio soggiorno in quella città per affari. Curioso come
sono, scesa la notte, andai furtivamente nel cimitero a vedere la tomba della
madre di Timoteo. La trovai in pessime condizioni. Notai che vicino ad essa
c’erano due alberi, uno alto e grande, l’altro basso e piccolo. L’albero grande
aveva avvinghiato con le sue fronde quello piccolo. Ed ebbi un vero guizzo di
terrore quando udii, chiaramente, che i rami dell’albero grande sussurravano
tra loro nel vento notturno:
“Ed ora vieni… Vieni!... Vieni da me!...”.
(Per gentile concessione dell’Autore)
Interessante racconto horror quello di Giancarlo Ferraris. Breve ma intenso.
RispondiEliminaSi è sempre pensato che siano i vivi a rimpiangere i loro morti. Certo, è una grande, eterna verità! Ma se fossero i morti a coltivare il desiderio di ricongiungersi con i vivi? Ce lo spiega questo raccontino horror, come se ci trovassimo davanti al fuoco del camino, in una sera di novembre. Intenso e fulminante, nella sua semplicità e immediatezza espressiva.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Bel racconto horror, ma con qualche spunto fiabesco. Il che non dispiace.
RispondiEliminaSilver