lunedì 25 marzo 2013

DESIDERIO DI UNA MADRE di Giancarlo Ferraris

                              



 Sulla valle di Nis splende una falce di luna pallida e maligna e i suoi raggi trasparenti si fanno strada nel fogliame del pericolosissimo albero d’upas; ma nelle profondità della valle, dove la luce non arriva, si agitano figure che è meglio non guardare e non incontrare.
                                          (Dal racconto Memoria di H.P. Lovecraft)

 
“Sento soltanto vuoto e freddo dentro di me… E il mio cuore è diventato il mio sepolcro”.
Nella vita di Timoteo non c’era più nulla. Nulla se non il dolore. Nella bella e nella brutta stagione, di giorno e di notte, non c’era un momento in cui egli non si fermasse nel cimitero della città davanti alla tomba di sua madre. Timoteo aveva un desiderio indescrivibile di rivederla, di poterle parlare di nuovo, di abbracciarla come quando era bambino. Accanto alla tomba sorgevano due alberi: uno alto, con il tronco grande, i rami lunghi e frondosi; l’altro basso, con il tronco piccolo, i rami corti e spogli. Erano molto vicini tra loro, ma non si toccavano mai, nemmeno quando soffiava forte il vento.
In una calda notte di luglio, Timoteo fu protagonista di un evento incredibile: gli apparve il fantasma di sua madre. Restò attonito di fronte allo spettacolo sublime ed orribile che gli si palesava davanti agli occhi, sentì la mente vacillare, la paura impossessarsi di lui e dubitò anche se fosse sveglio o stesse soltanto sognando.
“Mamma!... Sei tu… Sei tu!”
“Sì, Timoteo!... Sono io!... Sono proprio io!”
“Mamma!... Io… Io…”.
“No!... Non piangere, figlio mio!... Non piangere, ti scongiuro!”
“Ritorna da me, mamma!... Io… Non ce la faccio a vivere da solo… Non ce la faccio!... Devi ritornare da me!”
“Timoteo!... Lo sai che i morti non ritornano… Il nostro mondo è diverso dal vostro!”
“No, mamma!... Tu puoi, devi ritornare da me!... Devi!”
“E come, figlio mio?!... Quello che tu vedi è soltanto un fantasma, una povera creatura della notte che gli esseri umani temono e odiano. Vuoi che tua madre ritorni nel mondo dei vivi per vederla perseguitata dagli uomini? Allora non è vero che le vuoi bene, che la ami veramente”.
“Io sto soffrendo moltissimo perché tu non sei più vicino a me, perché non ti vedo più”.
“No, Timoteo! In realtà non sei tu quello che soffre di più, ma io. Sono uscita dalla tomba perché il mio desiderio di rivederti è stato mille volte più grande del tuo. Ed immenso è il desiderio che tu venga da me per sempre… Ed ora vieni… Vieni!...  Vieni da me!...”.
A quelle parole Timoteo ebbe un sussulto quasi mortale. All’improvviso la notte, che fino a quel momento gli era stata amica, si tramutò in un buio pesante ed amaro ed in quel preciso istante il fantasma della madre di Timoteo, così soave e così dolce, si tramutò in uno spettro feroce e crudele che avvinghiò il figlio a sé portandoselo nella tomba.

Questa storia di fantasmi mi è stata raccontata da un vecchietto durante un mio soggiorno in quella città per affari. Curioso come sono, scesa la notte, andai furtivamente nel cimitero a vedere la tomba della madre di Timoteo. La trovai in pessime condizioni. Notai che vicino ad essa c’erano due alberi, uno alto e grande, l’altro basso e piccolo. L’albero grande aveva avvinghiato con le sue fronde quello piccolo. Ed ebbi un vero guizzo di terrore quando udii, chiaramente, che i rami dell’albero grande sussurravano tra loro nel vento notturno:

“Ed ora vieni… Vieni!...  Vieni da me!...”.

(Per gentile concessione dell’Autore)

3 commenti:

  1. Interessante racconto horror quello di Giancarlo Ferraris. Breve ma intenso.

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  2. Si è sempre pensato che siano i vivi a rimpiangere i loro morti. Certo, è una grande, eterna verità! Ma se fossero i morti a coltivare il desiderio di ricongiungersi con i vivi? Ce lo spiega questo raccontino horror, come se ci trovassimo davanti al fuoco del camino, in una sera di novembre. Intenso e fulminante, nella sua semplicità e immediatezza espressiva.

    Giuseppe Novellino

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  3. Bel racconto horror, ma con qualche spunto fiabesco. Il che non dispiace.
    Silver

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