Non
ero mai stato nella soffitta del vecchio palazzo di zia Adalgisa, morta,
ultraottantenne, da qualche anno. Vi salii, un giorno, mediante una ripida
scala di legno, in molti punti rosa dai tarli.
La
soffitta era bassa, spaziosa e piena di varie cianfrusaglie, tra cui un paio di
scatole colme di ninnoli, un canterano, quattro sedie, una specchiera e libri
dovunque.
Uno
di questi, in particolare, attrasse la mia attenzione. Era grosso, ingombrante,
di colore bluastro.
Alla
meglio lo ripulii dallo strato di polvere e ragnatele, poi, dato il suo peso,
lo poggiai sul piano di marmo del canterano. Quindi lo aprii nella parte
centrale e lessi, a caso, alcune parole:
«…everten
consertio valente iron adalar…»
Scossi
la testa mentre mi mordicchiavo il labbro inferiore: non sapevo che cosa,
quelle parole, significassero.
All’improvviso,
con mio grande stupore, vidi una nube giallastra, densa, affiorare dal
pavimento in un angolo della soffitta. Dopo alcuni momenti si dissipò e,
proprio in quel punto, apparve la snella figura di una ragazza del tutto nuda,
dai lunghi capelli corvini sciolti sulle spalle.
Per
qualche secondo rimasi, il fiato sospeso, a contemplarne le forme aggraziate,
seducenti, ma provai un senso di vergogna quando negli occhi e nei gesti della
ragazza colsi un candore quasi infantile.
«Chi…
chi sei?» balbettai, con un fil di voce. «Come hai fatto a giungere qui… in
soffitta?... Ho l’impressione che tu sia apparsa dal nulla… non appena ho letto
quelle parole incomprensibili.»
«Un’antica
formula magica,» lei mi corresse con voce pacata, lo sguardo irradiante una
limpida luce azzurrina.
«Una…
formula magica?» ripetei, incredulo. «Si tratta… di questo?»
La
ragazza sorrise, avanzò di qualche passo.
«Il
libro che hai tra le mani,» disse, «è molto antico. Risale agli albori del
Medioevo e contiene diverse formule magiche, molte delle quali benefiche, altre…»
S’interruppe.
«Altre?»
la esortai.
«Malefiche…
come quella che hai pronunciato poc’anzi… Con essa hai evocato il demone Àbigal
e il suo appetito non soddisfatto da tempo.»
«Il
demone… Àbigal?»
«Esso
è qui, in questo momento.»
Volsi
lo sguardo a destra e sinistra.
«Dove?...
Non vedo nessuno.»
«Stai
parlando con lui,» disse la ragazza, i cui occhi di colpo divennero enormi,
rossi, come iniettati di sangue; la cui pelle, prima bianca e lucente, assunse
un colore violaceo e si cosparse, interamente, di piaghe purulenti. «Puoi
benissimo immaginare a quale appetito mi riferivo,» aggiunse, spalancando la
bocca irta di denti acuminati. «Da anni nessuno mette più piede in questa
soffitta… anni di digiuno forzato, ma ora…»
S’interruppe
di nuovo e si mosse velocemente verso di me. Con le mani mi strinse la gola in
una morsa d’acciaio; la sua bocca, ora smisurata, si chiuse di scatto attorno
alla mia testa.
L’ultima
cosa che udii fu il rumore di ossa spezzate del mio cranio.
Era come se fossi lì. Ho visualizzato ogni singola scena, ho sentito ogni parola ed ogni rumore ! Geniale ! Paola Cusumano
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