lunedì 11 marzo 2013

GALLERIA DEGLI SPECCHI di Sergio Bissoli




Una sera che non riesco a dormire esco e faccio un giro per il paese.
Per le strade c’è profumo di acacia. Io cammino seguendo i pensieri e sentendomi scontento della mia vita miserabile di artista.
Attraverso un Luna Park semideserto. I baracconi stanno per chiudere e le giostre girano a vuoto.
Un’insegna composta di lustrini dondola al vento: Galleria degli specchi. Con gli spiccioli che mi restano compro il biglietto ed entro.
Subito dopo mi rivedo magro con il corpo filiforme. Poi grasso, tarchiato e sono diventato un nanerottolo. Allo specchio successivo appaio rovesciato con le gambe lunghe.
Incomincio a divertirmi. Passo davanti a uno specchio dove l’immagine del mio corpo viene ripetuta tre volte, con la testa sotto e sopra. Altri specchi rimandano la mia immagine ridicola dimagrita con smorfie da cavallo, da vampiro...
Il proprietario è un ometto calvo, simpatico, mezzo artista e mezzo matto. Se ne sta in un angolo, poi a un tratto mi viene vicino:
“Le è piaciuto vero? Li ho costruiti io, quegli specchi, lavorando le lastre con smeriglio e rossetto inglese.”
Gli faccio i complimenti e lui gesticolando continua a parlare:
“Ho costruito specchi che fanno brutti e specchi che fanno belli, specchi che invecchiano o ringiovaniscono... Potrei farle vedere il mondo attraverso uno di questi specchi. Le piacerebbe? Il mondo, con le sue follie, vale la pena di vederlo attraverso questi specchi, non crede?”
Sorrido alla sua proposta e lui riprende:
“Venga allora, venga da questa parte. Non abbia paura. Non c’è pericolo.”
Mi accompagna in fondo al baraccone, poi si inchina per lasciarmi passare.
Entro un po’ indeciso in uno stretto cassone verticale nel cui fondo vi è una superficie chiara e in leggero movimento come una cascata d’acqua. Avanzo cautamente tenendo le braccia in avanti. Oltrepasso un velo d’acqua che però non mi bagna. C’è chiaro, c’è scuro; poi ancora chiaro. Mi sembra che lo spazio si srotoli davanti a me.
Ecco, mi ritrovo all’aperto. Ho una lieve vertigine che mi costringe a fermarmi.
Tutto il vicolo si sposta, io scavalco qualcosa ed entro in un’altra dimensione. Per un attimo vedo le immagini dei due mondi sovrapposte, poi il vicolo sbiadisce e l’altro mondo prende consistenza.
Una luce ultraterrena rischiara la città. Il cielo è viola, con le montagne rosse sullo sfondo.
La città è diventata strana e assurda. Le case alte, vecchissime, decrepite sono tutte inclinate e sembra stiano per cadere.
La prospettiva è deformata, tutto è storto, obliquo e allungato. Dalle aperture dei vicoli entra la luce del sole al tramonto. Ma i raggi sono conici o spiralati. Lunghe ombre nere tagliano la strada seghettandola come abissi spalancati.
Camminando piano lungo gli edifici che paiono di gomma sbocco in una piccola piazza. Allora vedo la folla di persone che stanno là e mi sembra di perdere la ragione.
Uomini-verme, uomini-annodati. Esseri stranissimi a forma di campanula di fiore.
Le gambe non mi tengono più in piedi. Prima di cadere, con uno sforzo disperato mi giro e incomincio a correre. Vedo il marciapiede in discesa davanti a me, ma invece compio uno sforzo terribile come se stessi salendo. Più la discesa aumenta e più faccio fatica ad avanzare. Ad un tratto mentre sto correndo al massimo delle forze sento una voce vicinissima alle mie orecchie.
“ Pst. Pst.”
Giro la testa: due esseri stranissimi sono al mio fianco. Un uomo con il naso a trombetta e un altro con la faccia a prisma. Smetto di correre, visto l’inutilità dello sforzo e rimango davanti a loro a guardarli.
Il primo a rompere il silenzio è il vecchio con il naso a trombetta. Non sembra avere intenzione di aggredirmi, anzi sembra afflitto per non potermi aiutare.
“Sei un mago?” mi chiede. La sua domanda mi lascia sbigottito.
“No, sono solo un artista, povero e affamato.”
“Ne arrivano talvolta e sono benvenuti qui.”
Passato lo spavento dedico maggior attenzione alla strana coppia di personaggi. Quello con il naso a trombetta ha una espressione bonaria, è vestito come un buffone e in testa ha un imbuto rovesciato con sopra una candela accesa. Parla abbastanza bene la mia lingua. Il suo compagno invece ha la faccia a prisma così è impossibile vedere la sua espressione. Sembrano innocui, così mi azzardo a fare qualche domanda:
“Dove mi trovo, all’inferno?”
“No, sei in un mondo parallelo. Ma vieni che andiamo a mangiare.”
Mi metto a camminare al loro fianco, incuriosito. Non so fino a che punto posso fidarmi di questi strani ciceroni, ma mi conviene stare con loro. Posso ricavare delle informazioni che mi aiutano ad uscire di qui. Inoltre stando insieme a loro non devo fuggire e così recupero energia.
Una casa alta e stretta di colore giallo. Un edificio sbilenco pieno di protuberanze, con grate, inferriate, finestre cieche. Per entrarvi attraversiamo un ponticello di legno sopra un fiumiciattolo.
Entriamo in uno stanzone semibuio dove altri strani esseri stanno seduti attorno alle tavole. Mi guardo intorno. C’è molta oscurità e gli esseri sono lontani. Le pareti sono nere e storte, con diramazioni a gomito. Dopo un po’ arriva un tizio grasso e basso con il naso a proboscide e il ventre a forma di botte.
“Un bicchiere di tempo.”
“Un piatto di folletti arrosto” ordinano i miei compagni.
“Anche per me, anche per me” dico evitando di guardare in faccia l’oste.
Poco dopo mi trovo davanti un bicchiere pieno di fumo denso e un piatto di esserini che somigliano a gamberetti rossi. Assaggio i folletti che hanno un sapore troppo salato; ma non me la sento di toccare il bicchiere.
“Chi sono quegli esseri?” chiedo indicando gli altri commensali.
“Sono creature che provengono da un’altra linea evolutiva.”
“Ci sono molti esseri di altre provenienze?”
“Certo. Ci sono molte creazioni. Ci sono molti Dei.”
“Chi sono gli Dei?”
“Sono esseri provenienti da creature inferiori come un uomo, un ragno, un albero, un sasso. ”
“Com’è possibile che un Dio sia stato un sasso? (che il diavolo ti masturbi il cervello)” gli dico sottovoce.
Emette una risata sottile simile al fruscio del vento su un albero con foglie di alluminio.
“Ah. Ah. Ah. Ogni essere, secondo la sua maturità e le sue azioni, può salire o scendere la scala dell’evoluzione. Chi scende rinasce animale, vegetale, minerale, demone… Chi sale rinasce uomo, genio, santo, Dio, Dio ancora più potente…”
“Cosa fanno gli Dei?”
“Creano universi ed esseri inferiori.”
“E Dio? Chi è allora Dio?”
“Questa è una parola relativa. Dio è solo l’essere che sta al di sopra di un altro essere. Per una formica il cane è Dio. Per il cane l’uomo è Dio…”
“Come si fa per vedere gli Dei?”
“Non tutti gli esseri della scala evolutiva sono visibili. Quelli troppo in basso e quelli troppo in alto non sono percepibili.”
“E gli artisti? A che gradino sono sulla scala dell’evoluzione?”
“Fra gli uomini gli artisti sono al livello più alto perché si allenano a creare universi fittizi. Poi nell’altra vita potranno creare nella realtà e saranno gli Dèi delle loro opere.”
I miei amici, trascurando il loro aspetto, mi sono diventati quasi simpatici. Sto per fare ancora domande quando quello con il naso a trombetta sembra diventato impaziente:
“Bevi, altrimenti noi ci allontaneremo da te.”
Prendo in mano il bicchiere. É denso, pieno di fumo lattiginoso e non oso berlo.
“Presto, fa presto” mi incitano i miei compagni.
Sono indeciso e nel tempo che passa mi pare di vedere la stanza oscurarsi ancora di più e i miei compagni rimpicciolire.
Tutta la folla di esseri mostruosi rimpicciolisce, rimpicciolisce fino a diventare minuscoli animaletti e poi ancora più piccoli, moscerini, granelli di polvere...
É l’alba. La polvere danza nei raggi di luce che entrano dalle imposte rotte. Resto disteso nel mio letto a guardarli.
Il sole si alza mettendo in fuga gli incubi e le fantasmagorie della notte.

           (Per gentile concessione dell’Autore)

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