martedì 7 maggio 2013

SECONDO di Marco Viggi


Il ragionier Betti trottò giù per le scale che portavano all’androne della Servizi e Affini. Guardò l’orologio: le 17.02. Due minuti in ritardo. Tiro fuori il portafogli e da questo il cartellino magnetico con su la sua foto, tanti capelli prima. Arrivò davanti al marcatempo, di fronte alla porta d’uscita; fuori il sole.
Guardò il display del marcatempo: 17.02.49. Digrignò i denti: non avrebbe certo regalato al Commendatore quegli undici secondi. Attese. 17.02.52... 17.02.54... 17.02.55... 17.02.55. Il ragionier Betti batté le palpebre: 10.02.55. Si sfregò gli occhi: 17.02.55. Si guardò intorno, poi di nuovo il display: 55 secondi. Non si muoveva. Dannazione, si doveva essere incagliato. Era elettronico ma si era lo stesso incagliato. Gli diede una pacca sul lato. Niente, ancora 55 secondi. Un’altra pacca: 56! Sorrise. Si guardò intorno e diede un’altra pacca. Niente, ancora 56.
Dalle scale dei passi. Apparve Bianchi, della contabilità. Betti gli sorrise: “Buona sera.”
“Buona sera.” gli rispose quello estraendo il suo cartellino. Lo passò nel marcatempo che con un bip segnò l’uscita, alle 17.02. Il sorriso si spense di nuovo sul volto di Betti. Stupido Bianchi: quattro secondi regalati al padrone. Lui non avrebbe ceduto.
“Dannato aggeggio!” sussurrò poi diede un bel pugno sul fianco del marcatempo. 17.02.57. Le vecchie, buone maniere. Sorrise, ma una voce lo fece tornare serio: “Betti, che fa?”
Dal corridoio di fronte sbucò fuori il Dottor Zappi, dell’ufficio personale: “Gli ha dato un pugno?”
“Ehm, si è bloccato.” sorrise Betti.
Zappi andò di fronte al marcatempo: “Uh, è vero, sembra bloccato.” Marcò il suo cartellino: il display segnava sempre 17.02.57, per cui l’orario d’uscita sarebbe stato le 17.02. Cinquantasette secondi cinquantasette al diavolo.
“Beh, almeno prende la marcatura. Le consiglio di marcare finché funziona. Se si dovesse rompere del tutto le metteranno d’ufficio l’uscita alle 17, e perderà anche questi due minuti.” Zappi uscì.
Betti si mise ad aspettare. Chissà cosa stava pensando Carla, a casa. Ma cosa avrebbe detto se avesse scoperto che lui aveva regalato due minuti alla ditta? Impensabile.
Passarono i minuti e gli impiegati. Agli un quarto il solito trambusto del grosso della gente in uscita a quell’ora, che lui evitava sempre uscendo prima. Una raffica di bip, nessuno che si indispettisse. Tutti fuori sorridenti.
Il traffico di dipendenti scemò col passare del tempo, chissà quanto tempo. Carla stava di sicuro preparando la cena.
Uscirono gli ultimi stacanovisti ritardatari. Betti si sedette sul gradino della scala, in modo da tenere d’occhio il display.
La luce fuori scemò sulle speranze di Betti. Quel dannato 17.02.57 era ancora lì, congelato per l’eternità. Ormai non arrivava più nessuno. Gli uffici dovevano essere deserti.
Il volto di Betti era ormai contrito in un grugno da pittbull. Cominciò a fremere col piede, sentiva l’agitazione stringergli lo stomaco. Pensava, ma non trovava una via d’uscita. Si alzò, andò davanti al suo aguzzino e gli puntò il dito contro: “Mi stai prendendo in giro, eh?” affermò socchiudendo gli occhi: “È una cosa inconcepibile. Mi senti vecchio catorcio? Il tempo è una cosa rigorosa. Tre secondi sono tre secondi, i miei tre secondi.”
Il display scattò: 17.02.58. Poi parlò: “Eccone uno.”
Betti si bloccò lì davanti, bocca spalancata. “Ma...” biascicò: “Ma tu...” Il suo volto si scurì d’ira: “Ehi, mi capisci? Dammi subito gli altri due secondi!”
“No.”
“Brutto catorcio, dammeli!”
“No.”
“Dammeli se no io...” disse alzando il pugno.
“Oh che paura che mi fai. Dai, spaccami, così ti perderai anche questi due minuti e domani dovrai spiegare come mai mi hai scassato.”
Betti batté i pugni sulle cosce: “Dannato aggeggio! Adesso mi devo far prendere in giro da un pezzo di ferro?”
“Ti conviene stare calmo, tanto qui ci dovrai passare molto, molto tempo.”
“Bastardo, potresti almeno stare zitto. Oppure scattare questi due secondi e farla finita.”
17.02.59 “Eccone uno. L’altro non l’avrai mai. Sai, mi sto proprio divertendo.”
“Dai bastardo...” tentò accennando un sorriso.
“Fammici pensare... No.”
Betti fece un piccolo salto sui piedi: “Pezzo di rottame da demolire, scatta quel dannato secondo! Ah, tra un po’ altro che pugno, mi caverò qualche bella soddisfazione!”
“Oh che paura. Un ragioniere di cinquant’anni col riporto mi sta minacciando.”
“Sì, e sarà il caso che mi ubbidisci. Scatta!” Betti gridava stridulo.
“No. Il tempo è mio e ci faccio quello che voglio. Sono un orologio, sai?”
“No, questo tempo è il mio! Il mio secondo!”
“Mio caro illuso. Credi che il tempo sia il tuo, come i bambini credono a Babbo Natale. Il tuo tempo è di qualcun altro. Prima di tua madre, che ti diceva cosa dovevi fare. Poi la moglie e i figli. Il lavoro. E quando credi di avere tempo per te? Lo butti davanti alla TV, o a fare shopping. C’è sempre qualcuno che possiede il tuo tempo, bello mio.”
“Dammi il mio secondo!” strillò Betti, poi spalancò occhi e bocca e contrasse la testa all’indietro.
“Oh, hai ragione, questo forse è il tuo secondo. Il tuo momento è arrivato. Questo sì te lo devo.” disse l’orologio scattando sul 18.00.00.
Betti si afferrò il braccio sinistro, poi si appoggiò con entrambe le mani all’orologio. Le ginocchia si piegarono pian piano. Betti si afflosciò sempre più, in ginocchio, poi cadde con i palmi a terra. Annaspò cercando aria, poi riuscì a sollevare la mano con il cartellino e a farlo passare nel lettore e si lasciò cadere. Da terra sentì il bip che gli strappò un ultimo sorriso.
“Eh eh eh!” ridacchiò il display, che mostrava ancora l’ora tornata a 17.02.59 subito prima che Betti marcasse la sua ultima uscita.
Il corpo di Betti saltò in piedi con l’agilità di un ginnasta: “Ti ho fregato! Ti ho...” I suoi occhi iniettati di sangue si spalancarono: “Che hai fatto? L’hai rimesso indietro?”
“Yesss! Appena in tempo.” venne dall’orologio.
“Ma non hai pietà nemmeno per un moribondo? Non mi avresti concesso nemmeno l’ultimo desiderio: sei davvero un bastardo.”
“Senti chi parla di rispetto per la morte. Pensare che ci avevo creduto, sai? Hai fatto proprio una bella sceneggiata. Ma io ti ho fregato lo stesso.”
“Adesso che faccio? Come faccio, il mio secondo è perduto. Dannazione, devo nascondere le prove!”
I capelli del riporto di Betti scivolarono davanti alla faccia mentre i suoi occhi si illuminavano: “Ah ah ah!” rise.
“Che fai...”
Betti saltò sull’orologio e lo afferrò con le mani ai lati.
“Lasciami! Sei impazzito? Così mi fai male!”
Betti inarcò la schiena, fletté ogni muscolo. Il suo corpo cominciò a vibrare. Ci furono alcuni scricchiolii. Pezzi di calcestruzzo saltarono via. I bulloni che tenevano l’orologio attaccato alla parete si spaccarono e Betti si trovò con l’orologio in braccio.
“Che hai fatto! Dove mi porti?”
Betti, sporco di polvere e calcinacci, caricò sotto braccio l’orologio e uscì di corsa oltre la porta: “Andremo lontano, solo tu ed io. Nessuno ci troverà mai più, nessuno saprà mai che ho perso quel secondo. Io avrò il mio tempo, ti avrò, tutto per me, solo per me. Ah Ah Ah!” Furono le risa che si persero nella notte fuori dalla Servizi e Affini.

1 commento:

  1. Un modo divertente di affrontare la questione del tempo, toccando pure alcuni risvolti filosofici. Dopotutto il tempo è la dimensione fondamentale dell'esistenza. Chi ruba il tempo al suo simile compie un atto davvero crudele, perché il tempo non solo è prezioso, ma ci dà la consapevolezza dell'essere.
    Si tratta di una narrazione spigliata dove il gioco fantasy risulta convincente.

    Giuseppe Novellino

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