Perché
quell’uomo – un distinto signore sulla cinquantina – si ferma
sempre in quel punto della strada e guarda verso il cielo?
Resta
immobile, le mani allacciate dietro la schiena, gli occhi fissi,
quasi incantati.
Ogni
volta che lo vedo in quella posizione, anch'io alzo lo sguardo verso
l’alto, senza che lui se ne accorga. Ma non vedo che cielo sereno,
quando non vi sono le nubi, o, quando ve ne sono, cosparso di cirri o
nembi che minacciano pioggia.
Mi
allontano pensando che cosa quell’uomo possa guardare attentamente
per lungo tempo. Infatti, se ne sta fermo in quel punto per vari
minuti, senza che niente – voci, suoni, rumori – lo distolga.
E
sempre, quando lo incontro in quel tratto di strada – gli occhi
rivolti verso il cielo –, mi domando la stessa cosa.
Mi
sto convincendo che la sua è una pura finzione, un qualcosa che lo
faccia apparire (per bisogno di originalità, di nuovo?) diverso
dagli altri.
Un
atteggiamento, dunque?
O
piuttosto il mio è un credere ciò dal momento che il vero motivo
sfugge alla mia comprensione?
Il
più delle volte, infatti, quello che vedono gli altri non lo
vediamo, semplicemente perché ne siamo incapaci. E questo duriamo
fatica ad ammetterlo.
Più che un racconto, un'interessante riflessione sulla comprensione tra gli esseri umiani. In poche righe, proponendo una situazione, l'autore ci fa meditare anche sul mistero del mondo come nostra rappresentazione.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Ottima considerazione, mi trovi pienamente d'accordo.
RispondiEliminaSauro Nieddu