- Nanotti Andrea!
Sollevò il capo.
Il professore di
filosofia lo guardava dall’alto.
- A quanto pare, non
provi molto interesse per Eraclito.
Eraclito l’oscuro,
già. Andrea pensò che tutto stava diventando oscuro, almeno nella
sua vita scolastica.
- Se ti concilia il
sonno, sarebbe meglio che tu facessi una pausa. Vai a bere un sorso
d’acqua fresca e poi torna tra noi.
I compagni erano
silenziosi, nei loro banchi. Con il professor Alberici c’era poco
da scherzare.
Andrea si alzò e si
avviò alla porta.
Era proprio in piena
crisi. Marinava almeno due giorni la settimana. Le caselle dei
registri, corrispondenti al suo nome, erano piene di insufficienze.
Ma non avrebbe ripetuto la terza liceo. No, avrebbe rotto con gli
studi, a costo di rompere con i genitori.
La scuola era
diventata per lui una prigione. Si sentiva soffocare.
La mano sulla
maniglia, dedicò uno sguardo agli altri ragazzi: stavano rigidi nei
loro banchi come fantocci di gesso.
Poi uscì.
Quello che vide era
impressionante.
Il corridoio si
presentava pieno di rifiuti: lattine, fogli accartocciati, stracci.
Qua e là pozzanghere d’acqua sporca. Sui muri c’erano scritte e
graffiti. In fondo al corridoio si vedevano due sedie rovesciate.
Lasciò perdere i
servizi. Si avvicinò cautamente alla rampa delle scale e diede
un’occhiata. Poi cominciò a scendere i gradini.
Al piano di sotto la
stessa desolazione. Eppure il suo era uno dei licei più rinomati
della Provincia.
Non si vedevano i
bidelli. Nemmeno l’ombra di un professore.
Al piano terra,
imboccò il corridoio che dava negli uffici della segreteria e della
presidenza. Una porta era socchiusa. Spinse il battente e diede una
sbirciata nel locale. Tutto era a soqquadro, come se fosse passato un
ciclone. Ma ebbe l’impressione che la tempesta non fosse stata
recente. Infatti gli incartamenti apparivano pieni di polvere e le
suppellettili coperte da muffe e da strane ragnatele.
Andrea andò alla
finestra e provò ad aprirla. Niente. La maniglia non si muoveva e il
vetro sembrava resistere a ogni tentativo di sfondamento. Stessa cosa
per le altre finestre e per la porta a vetri che dava sulla rampa
d’ingresso della scuola.
Ebbe la sensazione
di essere prigioniero. Intrappolato in un edificio scolastico deserto
e devastato. Nel cercare di aprire l’ennesima imposta lanciò un
urlo di protesta. Gli rispose solo un’eco soffocata.
Scese nel
seminterrato.
E lì fece
l’incontro.
In fondo all’andito
ingombro di rifiuti, c’era un uomo. Stava immobile con le gambe
divaricate e le braccia penzoloni. Indossava una tuta bianca,
integrale, con cappuccio stretto intorno alla testa… e una maschera
antigas, di quelle, alquanto impressionanti, che si usavano nella
prima guerra mondiale.
Andrea fece dietro
front e si mise a correre.
Risalì al piano
terra, facendo i gradini a due a due. Poi si fermò, in ascolto.
Quando vide
l’orribile testa spuntare dalle scale, riprese la fuga. Salì al
piano di sopra.
A metà della
seconda rampa si fermò e si voltò a guardare. Sui primi gradini si
era fermato anche l’uomo in tuta. Era veramente spaventoso con
quella maschera antigas. Le braccia un po’ distanziate dai fianchi,
leggermente protese in avanti.
Andrea riprese la
sua affannosa salita e sentiva i passi pesanti del suo inseguitore.
Percorse il corridoio ingombro di sedie rovesciate, stracci e
cartacce. E quello sempre dietro, inesorabile. Un sinistro crac gli
fece capire che l’uomo aveva schiacciato una lattina sotto gli
anfibi.
Prese a salire lungo
la scala di servizio, verso il terzo piano, dove c’era la sua aula.
L’uomo mascherato
non gli lasciava tregua. Era come l’addetto di una centrale
atomica, impegnato a rimuovere una scoria radioattiva.
Ma ecco l’uscio
della 3^B.
Andrea lo raggiunse.
Premette sulla la maniglia. Niente. Come se fosse chiuso a chiave.
Vide il suo
inseguitore che lo stava raggiungendo, le braccia protese in avanti
come uno zombie.
Allora tempestò di
pugni la porta dell’aula.
- Nanotti Andrea!
Sollevò il capo.
Il professore di
filosofia lo guardava dall’alto.
- A quanto pare non
trovi molto interesse per Eraclito.
Dalla scolaresca
veniva un debole brusio.
- Di Eraclito
l’oscuro non me ne frega un cavolo, professore.
Caro Giuseppe, il tuo Nanotti Andrea ricorda me stesso, studente, durante le lezioni di filosofia. Se non ho avuto incubi, c'è manato poco. Racconto molto bello.
RispondiEliminaBellissimo racconto, chiunque sia stato studente troverà difficile non immedesimarsi nel tuo protagonista. Il sogno poi, ha la potenza di una frofezia sul punto (temo) di avverarsi.
RispondiEliminaSauro Nieddu