- Allora?
- No.
- Nemmeno posso venire io, da te?
- No.
- Domani?
- Domani è sicuro, non ci vediamo.
- Bel ferragosto!
- A me lo dici? Noi donne siamo le più
sacrificate.
Il suo rapporto con Michela era ormai arrivato
al capolinea. Il fatto che lei dovesse accudire la nonna semiparalizzata gli
sembrava solo un pretesto. Michela aveva una sorella più piccola, che stava
ancora in casa.
- Non ti possono lasciare in pace, almeno
a ferragosto?
- Nonna Marina, a ferragosto, è sola più
che mai. Ha bisogno di me. Sono la sua nipote preferita.
Alla fine Marco si arrese.
- Va bene, se le cose stanno così…
- Sarà per dopodomani. Ciao.
- Ciao – disse lui con un filo di voce.
Gli dispiaceva che la relazione stesse
finendo. Ma la rottura dipendeva più da lei che da lui. Marco non era disposto
a mendicare la sua compagnia. Aveva una dignità, dopotutto.
Abbassò il ricevitore e annusò con
disgusto l’aria stantia, afosa, del salotto tappezzato, ancora odorante di
frittura.
Viveva da solo. Michela non aveva mai
condiviso l’appartamento per più di sette od otto ore di seguito. Il più delle
volte Marco si ingozzava del cibo che andava per la maggiore fra quelle mura:
surgelati “Findus”. Ne aveva una bella scorta. Quando i giorni erano
feriali, la sua condizione di solitario gli risultava passabile, ma in quelli
festivi…
Bel ferragosto! Solo come un cane.
A cosa attaccarsi, allora? Inevitabile:
vodka gelata al limone e musica jazz. E poi, magari, una dormitina.
Desiderava ascoltare la chitarra. Cercò un
disco con vecchie incisioni di Charlie Christian. Ma l’occhio gli cadde sulla
copertina bisunta e sbiadita di Che mondo strano. Da adolescente era un
fan dei Rokes. Chissà da quanto non ascoltava quel vinile a trentatré giri.
Un bicchierino, due, tre. Un piacevole
torpore lo invase.
Poi, mentre Shel Shapiro inseguiva con la
voce ricami elettrici e una soffice percussione, Marco fu scosso dallo squillo
del campanello.
Forse era Michela. Possibile che avesse
cambiato idea?
Barcollando, con la testa annebbiata, andò
ad aprire.
La musica, accompagnata dalla vodka, gli
aveva fatto uno strano effetto, doveva ammetterlo. Ma non si sentiva male,
anzi.
- Con chi ho il piacere… - cercò di
chiedere all’uomo che era apparso nel riquadro della porta.
- David Norman Mellito, suonatore a domicilio.
Il tizio non era più giovane, aveva i
capelli lunghi, grigi, raccolti in una coda. Indossava uno spolverino come
quelli che si vedono nei film western, aperto sul petto nudo e villoso. In
testa, una tuba nera.
- S’accomodi. Gradisce un bicchiere di
vodka? – lo invitò Marco, per niente turbato dalla stranezza dell’uomo e dal
suo improbabile abbigliamento.
-
Potrei suonarle qualcosa, dal vivo… – propose il tizio.
- È
quello che mi ci vuole! – approvò Marco. Si sentiva stranamente
euforico.
L’uomo materializzò una chitarra a
freccia, come quella dei Rokes, posò l’insolito copricapo sul tavolino e prese
a suonare, riempiendo la stanza di calde note vibranti.
L’effetto fu tutto interiore. Il cuore di
Marco si mise a danzare all’impazzata e la sua anima a fare capriole.
Una specie di nebbia cominciò a prodursi
dalle dita nervose del suonatore e avvolse ogni cosa. Solo quando divenne
fittissima, la musica si affievolì, come perdendosi in lontananza.
Marco si trovò davanti Michela.
Era uscita dalla nebbia.
- Tu… qui?
- Sì. Nonna Marina, all’ultimo momento, mi
ha lasciata libera. Tutto il pomeriggio. Ti va?
Di certo era venuta a trovarlo così, tanto
per dargli un contentino.
- E me lo chiedi? - disse Marco,
sospettoso. Poi, guardandosi intorno: -
David Norman Mellito, il suonatore di chitarra, dov’è?
La ragazza scosse il capo in segno di
rimprovero. – Tu, piuttosto, in pieno
ferragosto, dormi con la porta spalancata?
- Io… vedi, un momento fa… c’era lui…
David…
Michela tolse la mano da dietro la
schiena: teneva qualcosa di nero e di cilindrico.
- E poi – disse la ragazza, - che ci stava
a fare qui, sul tavolino, una vecchia tuba? Non siamo a carnevale.
Molto bello il racconto, Giuseppe. Pieno di suspense... e quanta nostalgia dei Rokes!
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