
Per
gli appassionati di fantascienza non hai bisogno di presentazioni. Ma
puoi dirci lo stesso qualcosa della tua carriera di scrittore?
Anzitutto
ti ringrazio per questa intervista, che mi consente di raccontare
qualcosa circa quegli strani ET che si dice siano gli scrittori di
fantascienza. La “carriera” di cui mi chiedi, parte… a mia
insaputa (espressione di moda) dalla tenera età di circa dieci anni.
Insomma c’era quel bel giornalino formato tabloid: “Topolino”,
che pubblicava anche un fumetto a puntate di fantascienza (parola che
a quei tempi, seconda metà degli anni ’40, ancora non esisteva).
Il fumetto, a colori, si chiamava “Satana dell’Universo” e
narrava del (classico) scienziato pazzo, che voleva distruggere la
Terra, e per farlo riusciva a scaraventare il pianeta Marte contro di
noi. Incidenti che succedono, nella fantascienza. E c’erano anche i
Marziani, che venivano a trovarci: gente dall’aspetto distinto,
alta due metri, con addosso palandrane vivacissime e con la pelle
verde, una cresta gallinacea sul cranio e le grandi orecchie
appuntite (chissà che Spock non abbia copiato da loro…) Questa
storia fu per me come un film tridimensionale a colori: mi suscitò
sensazioni inedite. Mai visto prima nulla di simile. Mi faceva
pensare allo spazio interstellare e a profondità abissali, viaggi
tra mondi lontanissimi attraverso un cielo rigurgitante di stelle,
comete, galassie, macchine meravigliose mai immaginate, storie
sgargianti e avvincenti che ti prendevano alla gola: era il subdolo
virus. E mi aveva contaminato. Pochi anni dopo, nel 1952, nelle
edicole apparve la collana mondadoriana “Urania”. Pubblicava
romanzi di autori statunitensi sconosciuti (Asimov, Clarke, Heinlein
e altri), ma erano storie davvero straordinarie, del tutto fuori dai
canoni narrativi cui ero stato abituato. La fantascienza faceva il
suo ingresso in Italia. Ne fui tanto coinvolto che due o tre anni
dopo mi venne voglia di scrivere qualcosa che imitasse le opere di
quegli scrittori, che io immaginavo divinità inavvicinabili. Scrissi
il primo raccontino, e anche un tentativo di romanzo. Una cosa creata
solo per me stesso. Un secondo raccontino. E così via. Alcuni anni
dopo, era il 1962, riuscii a pubblicare un racconto. Apparve su
“Galaxy”, una rivista americana (versione italiana). Fui
retribuito con 15.000 lire. Non male, per quei tempi. Poi ho sempre
proseguito su questa strada. Ma molto lentamente, perché a 18 anni
trovai lavoro nella ex Banca Commerciale Italiana, che ora è Banco
di Napoli. Il mio primo libro vide la luce nel 1972, un tascabile
della collana piacentina “Galassia”: conteneva un romanzo breve e
tre racconti. Sono sempre stato un autore di racconti, ne ho scritti
moltissimi, sui temi più svariati. Il romanzo mi attirava poco, ma
soprattutto mi è sempre piaciuto cambiare temi e scenari. Non
scriverei mai un “seguito” di una mia storia: mi sembrerebbe di
copiarmi.
Come sei arrivato al primo Premio Urania?
Come sei arrivato al primo Premio Urania?
Al
Premio Urania sono arrivato per puro caso. Era il 1989. Avevo scritto
il mio primo romanzo, “Gli universi di Moras”, impiegando una
diecina d’anni. Il lavoro in banca mi occupava dalle 8 di mattina
fino quasi alle 8 di sera, e quindi potevo scrivere solo durante i
sabati, le domeniche, nelle festività, nelle ferie, di notte, nelle
convalescenze. Il che, tra l’altro, non entusiasmava affatto la mia
ex consorte, e quindi spesso avrei voluto scrivere ma non potevo.
Comunque alla fine mi ritrovai con 230 cartelle dattiloscritte senza
sapere che farne. La fantascienza non è stata mai, in Italia, merce
molto commerciabile. Anche la casa editrice Nord, che accettava ogni
tanto scrittori italiani, aveva abbassato la saracinesca. Ma un amico
mi segnalò una novità: il Premio Urania, per il quale stavano
scadendo i termini. Telefonai alla Mondadori accertandomi che
avrebbero accettato l’opera anche se fosse arrivato qualche giorno
dopo la scadenza. Fotocopiai il testo, lo spedii e me ne dimenticai.
Alcuni mesi dopo ricevetti una telefonata da Lino Aldani (uno dei
cinque giurati del Premio) che mi diede l’inattesa (quindi ancora
più gradita) notizia. Aldani è stato uno dei padri fondatori della
fantascienza scritta in Italia nonché – a mio parere – il
miglior scrittore. Il mio romanzo riprendeva uno dei temi più
affascinanti della fantascienza, gli universi paralleli. Il
protagonista, Antonio Moras, era un “viaggiatore”, ovvero uno di
quei pochi che, per finalità di studio e di esplorazione, (una
iniziativa tecnologico-scientifica promossa da un ente statale)
visitavano altri universi, per poi rientrare e fare rapporto di
quanto scoperto. Aver vinto quel premio ebbe notevoli ricadute
positive, prima fra le quali la mia collaborazione alla pagina
culturale del quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
Una domanda un po’ frivola. Puoi dirci in che modo il luminoso ambiente pugliese ti ha ispirato a scrivere fantascienza?
Una domanda un po’ frivola. Puoi dirci in che modo il luminoso ambiente pugliese ti ha ispirato a scrivere fantascienza?
Il
“luminoso ambiente” mi ha ispirato moltissimo. Qualcuno si
chiederà cosa c’entri la Puglia con la fantascienza. C’entra,
eccome. Diversamente da quanto si può credere, la “sf” (science
fiction è il nome anglosassone di questa narrativa) nasce dal mondo
reale. L’autore focalizza un aspetto particolare della realtà e si
pone la classica domanda: “Cosa accadrebbe se…?” Cosa sarebbe
accaduto se il Terzo Reich avesse vinto la guerra. Cosa accadrebbe se
si inventasse qualcosa che cancella nella mente i brutti ricordi. Se
l’uomo potesse costruire una piccola protesi cerebrale che gli
permettesse di “parlare” mentalmente con il possessore di
un’altra protesi. E via dicendo. Il bellissimo scenario pugliese,
ingigantito e amplificato (o impoverito) in qualcuna delle sue
componenti, si ritrova nello scenario di molti miei racconti, a volte
trasfigurato in foreste di altri pianeti. Non sono un ecologista di
professione, ma sostengo molto la difesa dell’ambiente. Anche
scrivendo storie di sf “ecologica”. Ritengo che l’ecologia sia
un elemento primario nelle storie di fantascienza.
Veniamo
a “Il Quinto Principio”. Che genesi ha avuto?
Anche
qui ho impiegato un decennio per scrivere e veder pubblicato questo
mio secondo romanzo. Nel 2000, incoraggiato sia dalla mia compagna
Elisa – che benignamente mi rimproverava di dedicarmi solo ai
racconti – sia dal fatto che ormai ero in pensione e quindi con
maggior tempo disponibile, decisi di riprovare. All’inizio non
avevo un’idea precisa, sapevo solo che volevo uno scenario a più
ampio respiro, con molti personaggi, e una trama che portasse a
situazioni estreme in un prossimo futuro alcune storture del
presente, specie in campo sociale e politico (è questo il tipo di sf
che mi interessa maggiormente). Era l’epoca in cui imperversava la
“finanza creativa” di Tremonti, il quale tirava fuori dal suo
cappello magico operazioni allucinanti, quali lo “spargere”
debiti sulle generazioni future. Non era nelle mie intenzioni tirar
fuori 550 pagine, non avrei mai creduto che ne fossi capace, ma
scrivendo mi accorgevo che la storia aveva bisogno di ulteriori
supporti e personaggi, o automaticamente si ramificava verso altri
eventi. Alla fine (era il 2005), anche qui mi ritrovai con un lavoro
improponibile, stavolta per le dimensioni. Mondadori me lo rifiutò
senza leggerlo: Urania aveva un numero di pagine standard e quindi
insufficienti per ospitarlo. Lo inviai a due o tre case editrici non
specializzate in sf: non ebbi alcuna risposta. Dopo tre anni tornai
alla Mondadori. Stavolta riuscii a piazzarlo, perché piacque molto
al Direttore delle testate da edicola, che all’epoca era Sergio
Altieri. Il romanzo uscì dopo un paio di anni (2009) su un Urania
“speciale”.
Mi ha colpito il fatto che lo scenario si basa su realtà minacciose e disgregatrici attualmente in corso. Hai voluto inviarci un monito su quello che potrebbe accadere?
Mi ha colpito il fatto che lo scenario si basa su realtà minacciose e disgregatrici attualmente in corso. Hai voluto inviarci un monito su quello che potrebbe accadere?
La
parola “monito” ricorre spesso quando si parla di un certo tipo
di sf, ma personalmente preferirei un vocabolo meno serio. In fondo
l’autore scrive soprattutto per coinvolgere piacevolmente (se ci
riesce) il lettore. Insomma scrive per “divertire”, nel senso più
ampio del termine; per “far riflettere”. Era questo lo scopo del
mio romanzo. E certamente, un romanzo così lungo avrà momenti ben
riusciti e altri meno. Comunque ne esco soddisfatto. Ho ricevuto
moltissimi commenti e recensioni positivi, talora entusiastici, ma
anche qualche stroncatura. Accadde anche con il primo.
Non ti sembra che quello scenario possa essere un po’ prematuro, nel 2043?
Non ti sembra che quello scenario possa essere un po’ prematuro, nel 2043?
Mah…
Tutto sommato direi di no. Ci corre un trentennio. Se si pensa com’è
mutata la nostra vita dai primi anni Ottanta, quando eravamo senza
computer e cellulari e coronarografie etc, e se si pensa alle
innumerevoli piccole (ma importanti) scoperte di questi ultimi anni,
specie nei settori tecnologico e biologico, lo scenario del romanzo
mi sembra abbastanza congruo.
Nel tuo romanzo hai voluto fare qualche allusione alle profezie del 2012?
Nel tuo romanzo hai voluto fare qualche allusione alle profezie del 2012?
Rispondo
con la massima decisione: no. I Maya mi affascinano enormemente, ma
la scienza è un’altra cosa.
Dove sta andando, secondo te, la fantascienza italiana?
Dove sta andando, secondo te, la fantascienza italiana?
Anche
qui risposta rapida: da nessuna parte. In 60 anni di esistenza, la sf
nostrana non ha saputo tirar fuori un qualcosa di concreto, come è
invece accaduto in altri Paesi che non siano gli Usa: Francia,
Germania, Spagna, Inghilterra… per non dire dell’Est Europa. Fin
dall’inizio, il lettore ha nutrito un rigetto per la sf italiana,
tranne casi rarissimi. Il fatto è che la nostra sf è
inevitabilmente diversa da quella “standard” (leggi:
statunitense), perché diversa è la nostra cultura europea. Come è
differente quella francese, o tedesca. E i nostri editori
(diversamente che in Francia o in Germania) non hanno mai preso
davvero a cuore la questione, e quando l’hanno presa non hanno
saputo gestirla, pretendendo da autori italiani romanzi
all’americana. Il discorso è troppo lungo e controverso, non vado
oltre. Dico solo che certamente ci sono e ci sono stati autori
validissimi, ma sono molto “personali”, diversi tra loro, che
pertanto non fanno scuola. E al di fuori dell’ambiente specifico
non li conosce nessuno. Alcuni nomi tra i maggiori (oltre Lino
Aldani, già citato): Vittorio Curtoni, Renato Pestriniero, Paolo
Aresi, Remo Guerrini, Franco Ricciardiello, Sandro Sandrelli, Laura
Serra, Nicoletta Vallorani, Dario Tonani, Lanfranco Fabriani,
Giovanni De Matteo. Anche grossi nomi della nostra cultura hanno
scritto occasionalmente fantascienza. Fra questi Luce d’Eramo, Dino
Buzzati, Ennio Flaiano, Primo Levi, Italo Calvino, Gianni Arpino,
Paolo Volponi, Corrado Alvaro, Giorgio Scerbanenco.
Puoi dirci quali sono i tuoi progetti futuri?
Puoi dirci quali sono i tuoi progetti futuri?
Al
momento non ho programmi particolari, a parte raccogliere in volume
alcune mie storie che hanno tematiche in comune. Da alcuni anni
esiste una rivista online di ecologia, Villaggio Clobale, che è
trimestrale; ogni uscita tratta un tema, e per ciascuno di questi
temi, volta per volta, io invio un mio racconto che tratta
l’argomento. È un po’ anche una sfida a me stesso. Finora ne ho
scritti una cinquantina. Inoltre prosegue la collaborazione con la
“Gazzetta del Mezzogiorno” con articoli che “sfiorano” la
fantascienza (caso forse unico in Italia). Questo è tutto. In realtà
– ci penso solo ora – io non ho mai avuto un programma ben
determinato in questa mia attività, se non quello di scrivere ciò
che mi passa per la mente. D’altronde, con una editoria così
rachitica e una platea di lettori non sempre ben disposti, è davvero
difficile progettare…
Da
qualche tempo sei ospite di Letteratura Fantastica. Che cosa pensi di
questa esperienza?
Dico che ne sono lietissimo, per vari motivi. È bello ritrovarsi in rete, circondato da materiale valido e da nomi noti, e anche ignoti ma promettenti. In Italia il genere narrativo “fantastico”, con le sue diramazioni (fantasy, sf, horror eccetera) non è mai stato davvero valorizzato. Eppure la storia della nostra letteratura sia dell’Ottocento sia del Novecento è costellata da opere palesemente fantastiche, di ottima fattura, praticamente dimenticate: potrei elencarne pagine. Oggi la rete diventa una enorme vetrina. Non sono il solo a pensare che l’editoria tradizionale, che già sta subendo scosse, dovrà in qualche modo aggiornarsi. Il web rigurgita di scrittori e poeti, ovviamente non sempre all’altezza, ma è bene che tutti possano partecipare: il popolo della rete saprà scegliere.
Dico che ne sono lietissimo, per vari motivi. È bello ritrovarsi in rete, circondato da materiale valido e da nomi noti, e anche ignoti ma promettenti. In Italia il genere narrativo “fantastico”, con le sue diramazioni (fantasy, sf, horror eccetera) non è mai stato davvero valorizzato. Eppure la storia della nostra letteratura sia dell’Ottocento sia del Novecento è costellata da opere palesemente fantastiche, di ottima fattura, praticamente dimenticate: potrei elencarne pagine. Oggi la rete diventa una enorme vetrina. Non sono il solo a pensare che l’editoria tradizionale, che già sta subendo scosse, dovrà in qualche modo aggiornarsi. Il web rigurgita di scrittori e poeti, ovviamente non sempre all’altezza, ma è bene che tutti possano partecipare: il popolo della rete saprà scegliere.
Un cordiale saluto a Vittorio, la cui presenza su LF è sempre gradita.
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