giovedì 1 agosto 2013

GIUSEPPE NOVELLINO INTERVISTA VITTORIO CATANI


Per gli appassionati di fantascienza non hai bisogno di presentazioni. Ma puoi dirci lo stesso qualcosa della tua carriera di scrittore?
Anzitutto ti ringrazio per questa intervista, che mi consente di raccontare qualcosa circa quegli strani ET che si dice siano gli scrittori di fantascienza. La “carriera” di cui mi chiedi, parte… a mia insaputa (espressione di moda) dalla tenera età di circa dieci anni. Insomma c’era quel bel giornalino formato tabloid: “Topolino”, che pubblicava anche un fumetto a puntate di fantascienza (parola che a quei tempi, seconda metà degli anni ’40, ancora non esisteva). Il fumetto, a colori, si chiamava “Satana dell’Universo” e narrava del (classico) scienziato pazzo, che voleva distruggere la Terra, e per farlo riusciva a scaraventare il pianeta Marte contro di noi. Incidenti che succedono, nella fantascienza. E c’erano anche i Marziani, che venivano a trovarci: gente dall’aspetto distinto, alta due metri, con addosso palandrane vivacissime e con la pelle verde, una cresta gallinacea sul cranio e le grandi orecchie appuntite (chissà che Spock non abbia copiato da loro…) Questa storia fu per me come un film tridimensionale a colori: mi suscitò sensazioni inedite. Mai visto prima nulla di simile. Mi faceva pensare allo spazio interstellare e a profondità abissali, viaggi tra mondi lontanissimi attraverso un cielo rigurgitante di stelle, comete, galassie, macchine meravigliose mai immaginate, storie sgargianti e avvincenti che ti prendevano alla gola: era il subdolo virus. E mi aveva contaminato. Pochi anni dopo, nel 1952, nelle edicole apparve la collana mondadoriana “Urania”. Pubblicava romanzi di autori statunitensi sconosciuti (Asimov, Clarke, Heinlein e altri), ma erano storie davvero straordinarie, del tutto fuori dai canoni narrativi cui ero stato abituato. La fantascienza faceva il suo ingresso in Italia. Ne fui tanto coinvolto che due o tre anni dopo mi venne voglia di scrivere qualcosa che imitasse le opere di quegli scrittori, che io immaginavo divinità inavvicinabili. Scrissi il primo raccontino, e anche un tentativo di romanzo. Una cosa creata solo per me stesso. Un secondo raccontino. E così via. Alcuni anni dopo, era il 1962, riuscii a pubblicare un racconto. Apparve su “Galaxy”, una rivista americana (versione italiana). Fui retribuito con 15.000 lire. Non male, per quei tempi. Poi ho sempre proseguito su questa strada. Ma molto lentamente, perché a 18 anni trovai lavoro nella ex Banca Commerciale Italiana, che ora è Banco di Napoli. Il mio primo libro vide la luce nel 1972, un tascabile della collana piacentina “Galassia”: conteneva un romanzo breve e tre racconti. Sono sempre stato un autore di racconti, ne ho scritti moltissimi, sui temi più svariati. Il romanzo mi attirava poco, ma soprattutto mi è sempre piaciuto cambiare temi e scenari. Non scriverei mai un “seguito” di una mia storia: mi sembrerebbe di copiarmi. 
Come sei arrivato al primo Premio Urania?
Al Premio Urania sono arrivato per puro caso. Era il 1989. Avevo scritto il mio primo romanzo, “Gli universi di Moras”, impiegando una diecina d’anni. Il lavoro in banca mi occupava dalle 8 di mattina fino quasi alle 8 di sera, e quindi potevo scrivere solo durante i sabati, le domeniche, nelle festività, nelle ferie, di notte, nelle convalescenze. Il che, tra l’altro, non entusiasmava affatto la mia ex consorte, e quindi spesso avrei voluto scrivere ma non potevo. Comunque alla fine mi ritrovai con 230 cartelle dattiloscritte senza sapere che farne. La fantascienza non è stata mai, in Italia, merce molto commerciabile. Anche la casa editrice Nord, che accettava ogni tanto scrittori italiani, aveva abbassato la saracinesca. Ma un amico mi segnalò una novità: il Premio Urania, per il quale stavano scadendo i termini. Telefonai alla Mondadori accertandomi che avrebbero accettato l’opera anche se fosse arrivato qualche giorno dopo la scadenza. Fotocopiai il testo, lo spedii e me ne dimenticai. Alcuni mesi dopo ricevetti una telefonata da Lino Aldani (uno dei cinque giurati del Premio) che mi diede l’inattesa (quindi ancora più gradita) notizia. Aldani è stato uno dei padri fondatori della fantascienza scritta in Italia nonché – a mio parere – il miglior scrittore. Il mio romanzo riprendeva uno dei temi più affascinanti della fantascienza, gli universi paralleli. Il protagonista, Antonio Moras, era un “viaggiatore”, ovvero uno di quei pochi che, per finalità di studio e di esplorazione, (una iniziativa tecnologico-scientifica promossa da un ente statale) visitavano altri universi, per poi rientrare e fare rapporto di quanto scoperto. Aver vinto quel premio ebbe notevoli ricadute positive, prima fra le quali la mia collaborazione alla pagina culturale del quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno”. 
Una domanda un po’ frivola. Puoi dirci in che modo il luminoso ambiente pugliese ti ha ispirato a scrivere fantascienza?
Il “luminoso ambiente” mi ha ispirato moltissimo. Qualcuno si chiederà cosa c’entri la Puglia con la fantascienza. C’entra, eccome. Diversamente da quanto si può credere, la “sf” (science fiction è il nome anglosassone di questa narrativa) nasce dal mondo reale. L’autore focalizza un aspetto particolare della realtà e si pone la classica domanda: “Cosa accadrebbe se…?” Cosa sarebbe accaduto se il Terzo Reich avesse vinto la guerra. Cosa accadrebbe se si inventasse qualcosa che cancella nella mente i brutti ricordi. Se l’uomo potesse costruire una piccola protesi cerebrale che gli permettesse di “parlare” mentalmente con il possessore di un’altra protesi. E via dicendo. Il bellissimo scenario pugliese, ingigantito e amplificato (o impoverito) in qualcuna delle sue componenti, si ritrova nello scenario di molti miei racconti, a volte trasfigurato in foreste di altri pianeti. Non sono un ecologista di professione, ma sostengo molto la difesa dell’ambiente. Anche scrivendo storie di sf “ecologica”. Ritengo che l’ecologia sia un elemento primario nelle storie di fantascienza.
Veniamo a “Il Quinto Principio”. Che genesi ha avuto?
Anche qui ho impiegato un decennio per scrivere e veder pubblicato questo mio secondo romanzo. Nel 2000, incoraggiato sia dalla mia compagna Elisa – che benignamente mi rimproverava di dedicarmi solo ai racconti – sia dal fatto che ormai ero in pensione e quindi con maggior tempo disponibile, decisi di riprovare. All’inizio non avevo un’idea precisa, sapevo solo che volevo uno scenario a più ampio respiro, con molti personaggi, e una trama che portasse a situazioni estreme in un prossimo futuro alcune storture del presente, specie in campo sociale e politico (è questo il tipo di sf che mi interessa maggiormente). Era l’epoca in cui imperversava la “finanza creativa” di Tremonti, il quale tirava fuori dal suo cappello magico operazioni allucinanti, quali lo “spargere” debiti sulle generazioni future. Non era nelle mie intenzioni tirar fuori 550 pagine, non avrei mai creduto che ne fossi capace, ma scrivendo mi accorgevo che la storia aveva bisogno di ulteriori supporti e personaggi, o automaticamente si ramificava verso altri eventi. Alla fine (era il 2005), anche qui mi ritrovai con un lavoro improponibile, stavolta per le dimensioni. Mondadori me lo rifiutò senza leggerlo: Urania aveva un numero di pagine standard e quindi insufficienti per ospitarlo. Lo inviai a due o tre case editrici non specializzate in sf: non ebbi alcuna risposta. Dopo tre anni tornai alla Mondadori. Stavolta riuscii a piazzarlo, perché piacque molto al Direttore delle testate da edicola, che all’epoca era Sergio Altieri. Il romanzo uscì dopo un paio di anni (2009) su un Urania “speciale”.  
Mi ha colpito il fatto che lo scenario si basa su realtà minacciose e disgregatrici attualmente in corso. Hai voluto inviarci un monito su quello che potrebbe accadere?
La parola “monito” ricorre spesso quando si parla di un certo tipo di sf, ma personalmente preferirei un vocabolo meno serio. In fondo l’autore scrive soprattutto per coinvolgere piacevolmente (se ci riesce) il lettore. Insomma scrive per “divertire”, nel senso più ampio del termine; per “far riflettere”. Era questo lo scopo del mio romanzo. E certamente, un romanzo così lungo avrà momenti ben riusciti e altri meno. Comunque ne esco soddisfatto. Ho ricevuto moltissimi commenti e recensioni positivi, talora entusiastici, ma anche qualche stroncatura. Accadde anche con il primo. 
Non ti sembra che quello scenario possa essere un po’ prematuro, nel 2043?
Mah… Tutto sommato direi di no. Ci corre un trentennio. Se si pensa com’è mutata la nostra vita dai primi anni Ottanta, quando eravamo senza computer e cellulari e coronarografie etc, e se si pensa alle innumerevoli piccole (ma importanti) scoperte di questi ultimi anni, specie nei settori tecnologico e biologico, lo scenario del romanzo mi sembra abbastanza congruo. 
Nel tuo romanzo hai voluto fare qualche allusione alle profezie del 2012?
Rispondo con la massima decisione: no. I Maya mi affascinano enormemente, ma la scienza è un’altra cosa. 
Dove sta andando, secondo te, la fantascienza italiana?
Anche qui risposta rapida: da nessuna parte. In 60 anni di esistenza, la sf nostrana non ha saputo tirar fuori un qualcosa di concreto, come è invece accaduto in altri Paesi che non siano gli Usa: Francia, Germania, Spagna, Inghilterra… per non dire dell’Est Europa. Fin dall’inizio, il lettore ha nutrito un rigetto per la sf italiana, tranne casi rarissimi. Il fatto è che la nostra sf è inevitabilmente diversa da quella “standard” (leggi: statunitense), perché diversa è la nostra cultura europea. Come è differente quella francese, o tedesca. E i nostri editori (diversamente che in Francia o in Germania) non hanno mai preso davvero a cuore la questione, e quando l’hanno presa non hanno saputo gestirla, pretendendo da autori italiani romanzi all’americana. Il discorso è troppo lungo e controverso, non vado oltre. Dico solo che certamente ci sono e ci sono stati autori validissimi, ma sono molto “personali”, diversi tra loro, che pertanto non fanno scuola. E al di fuori dell’ambiente specifico non li conosce nessuno. Alcuni nomi tra i maggiori (oltre Lino Aldani, già citato): Vittorio Curtoni, Renato Pestriniero, Paolo Aresi, Remo Guerrini, Franco Ricciardiello, Sandro Sandrelli, Laura Serra, Nicoletta Vallorani, Dario Tonani, Lanfranco Fabriani, Giovanni De Matteo. Anche grossi nomi della nostra cultura hanno scritto occasionalmente fantascienza. Fra questi Luce d’Eramo, Dino Buzzati, Ennio Flaiano, Primo Levi, Italo Calvino, Gianni Arpino, Paolo Volponi, Corrado Alvaro, Giorgio Scerbanenco. 
Puoi dirci quali sono i tuoi progetti futuri?
Al momento non ho programmi particolari, a parte raccogliere in volume alcune mie storie che hanno tematiche in comune. Da alcuni anni esiste una rivista online di ecologia, Villaggio Clobale, che è trimestrale; ogni uscita tratta un tema, e per ciascuno di questi temi, volta per volta, io invio un mio racconto che tratta l’argomento. È un po’ anche una sfida a me stesso. Finora ne ho scritti una cinquantina. Inoltre prosegue la collaborazione con la “Gazzetta del Mezzogiorno” con articoli che “sfiorano” la fantascienza (caso forse unico in Italia). Questo è tutto. In realtà – ci penso solo ora – io non ho mai avuto un programma ben determinato in questa mia attività, se non quello di scrivere ciò che mi passa per la mente. D’altronde, con una editoria così rachitica e una platea di lettori non sempre ben disposti, è davvero difficile progettare…
Da qualche tempo sei ospite di Letteratura Fantastica. Che cosa pensi di questa esperienza?
Dico che ne sono lietissimo, per vari motivi. È bello ritrovarsi in rete, circondato da materiale valido e da nomi noti, e anche ignoti ma promettenti. In Italia il genere narrativo “fantastico”, con le sue diramazioni (fantasy, sf, horror eccetera) non è mai stato davvero valorizzato. Eppure la storia della nostra letteratura sia dell’Ottocento sia del Novecento è costellata da opere palesemente fantastiche, di ottima fattura, praticamente dimenticate: potrei elencarne pagine. Oggi la rete diventa una enorme vetrina. Non sono il solo a pensare che l’editoria tradizionale, che già sta subendo scosse, dovrà in qualche modo aggiornarsi. Il web rigurgita di scrittori e poeti, ovviamente non sempre all’altezza, ma è bene che tutti possano partecipare: il popolo della rete saprà scegliere.

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