
Guardò
la polvere rossiccia che i suoi sandali strascicati alzavano… si sentiva
stanco, non ricordava quando aveva iniziato ad andare. Sapeva
solo che lo aveva deciso quando sotto quel cielo rosso ed esangue aveva scorto
un bagliore lungo l’orizzonte: non si era chiesto cosa fosse, gli pareva un
miracolo il semplice fatto che al centro del suo sguardo si delineasse un punto
di luce appena più chiaro di quel totale crepuscolo che avvolgeva il pianeta.
Almeno così gli sembrava… quella notte senza stelle gli appariva come l’estremo
lascito di un universo morente. E non si chiedeva se fosse vero o se tutto
questo fosse uno dei suoi pensieri da
animale impaurito.
Talvolta,
quando era molto più stanco di ora, si diceva che se avesse appena intuito la lunghezza del viaggio non sarebbe
mai partito… non gli pareva che esistesse ancora un dove, o un ciglio per
riposare, o qualunque altra cosa promettesse sollievo. D’altronde,
aveva persino dimenticato da quanto tempo camminava: la luce era sempre lì,
misteriosa e promettente, e lontana… come sempre. Tanto lontana da sembrargli
un miraggio, eppure tanto sicura da poterla credere l’estremo dono dell’ultimo
dio rimasto a far compagnia agli uomini.
Sorrise
dentro di sé con un sarcasmo amaro che gli bruciava la gola…gli uomini…! E
quanti erano rimasti? E dove? Da quando era in viaggio aveva incontrato solo lo
struscio esangue della sua ombra… e la solitudine impaurita del suo cuore nelle
notti senza stelle. Ricordò un’antica leggenda che parlava di un disco chiaro
che invadeva la notte stellata, quando il mondo era di luce… sorrise ancora a
quella favola per bambini raccontata ad adulti che volevano sperare.
Si fermò
un attimo, poggiandosi al bastone.
Era
davvero stanco, aveva sete. Si accasciò senza volerlo e restò a guardarsi le
mani immerse nella polvere: lentamente fece il gesto strano ed inutile di
ripulire la destra sul mantello, guardò davanti a sé…
Quel
punto chiaro spezzava la linea del suo sguardo come un richiamo…sospirò mentre
si rialzava poggiandosi al bastone. Doveva andare, doveva sapere…
Gli
sembrava atroce ed assurdo essere l’ultimo uomo; non accettava, non voleva accettare questa
condizione che gli appariva come una cattiveria non richiesta né meritata:
c’erano altri, laggiù, che erano sopravvissuti e lo avrebbero accolto con la
stessa gioia che lui sentiva al solo pensare a quell’incontro…!... altri che
sapevano il motivo del cielo senza stelle e della catastrofe, altri che non
avrebbero raccontato storie per bambini: finalmente avrebbe saputo, finalmente
si sarebbe svestito della sua solitudine…
Il bastone non faceva rumore affondando in
quella polvere rossiccia che ricadeva subito nel solco dei suoi sandali…non
voleva vedere la traccia del suo cammino, come non aveva mai voluto chiedersi
da quanto tempo camminava: forse per non chiedersi della sua età che gli pareva
infinita e insopportabile, come l’andare. Chissà,
rifletté, per quale motivo non si era
mai chiesto della sua età, ma si sentiva vecchio, talvolta aveva espresso il
desiderio sottile di non risvegliarsi in quel mondo di continuo tramonto.
Ma
adesso c’era quel chiarore, era lì, reale e un giorno l’avrebbe raggiunto...
ora, però, doveva riposare, era troppo stanco.
Si
fermò, si accucciò nel suo mantello, si addormentò.
Forse lo
risvegliò un battito più forte del suo cuore, forse un colpo di
tosse…lentamente aprì il suo mantello, si scosse da dosso la polvere, si guardò
intorno.
Il cielo
aveva il tono rossastro di sempre, una
linea appena velata divideva l’orizzonte spaccando il buio in due parti
ugualmente esangui…
Si
stropicciò gli occhi, girò intorno lo sguardo cercandola: non c’era. Preso da
una crescente frenesia provò a guardare a fondo, girandosi intorno… forse si
era rivoltato nel sonno… era lì quella luce, non poteva essere scomparsa… non
era possibile !
Era
talmente sorpreso che non gli riuscì neppure di chiedersi il motivo della
scomparsa.
Guardò a
lungo, con studiata lentezza, fino a farsi dolere gli occhi…non c’era… quella
luce che lo aveva spinto ad andare, che lo aveva sorretto nel viaggio era
sparita! No, non poteva essere, certamente era lui che aveva smarrito… che
cosa, gli rivelò un pensiero trafiggente ed amaro, se l’unico riferimento
nell’orizzonte piatto era quel chiarore?!
Guardò
ancora, corse attorno come ad afferrare qualcosa, mentre un urlo gli saliva dal
ventre senza poterlo gridare… il
chiarore era scomparso; dovunque guardasse, tutto l’orizzonte mostrava il suo
volto piatto e serale.
Si
fermò, imponendosi la calma… sarebbe andato dritto davanti a lui, avrebbe
ritrovato quella luce… e qual era il davanti?, si chiese sconfortato… dove
poteva andare, se ogni direzione gli appariva uguale?
Perso…
senza quel chiarore era perso… questa la verità. Come una torma di lupi i suoi
pensieri lo aggredirono urlando le paure più nascoste, gridando le bestemmie
più oscene, rinfacciandogli le illusioni più coccolate.
Perso… perso in quel mondo senza promesse di
salvezza, uomo moribondo in un mondo in agonia…
Respirò
a fondo, chiuse gli occhi… lì riaprì, sperando e disperando di sognare.
Respirò
quel vuoto.
Soltanto
allora si rese conto della verità: non si era perso, era solo.
Solo, e
quel mondo che agonizzava era la sua anima.
Un cordiale benvenuto all’amico Peppe.
RispondiEliminaSpero che, lavoro permettendo, possa inviare altri interessanti racconti di science-fiction o, comunque, fantastici.
Belle descrizioni per un racconto di fantascienza teso, dal finale sorprendente e simbolico. Riesce a catturare l'attenzione del lettore e non la molla fino all'ultima tiga.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino