
Colonia
umana di
Meredyn, il più grande pianeta del sistema stellare di Kongiu-Beil.
Anfiteatro
di Kèphalon.
Ora
meridiana.
Il
robot respirava (ne aveva la facoltà essendo il modello più
progredito della serie X-324) a bocca aperta, emettendo un rumore
rauco, ansante.
I
suoi occhi turchesi lampeggiarono vivacemente per pochi istanti. Poi
la sua testa metallica, priva di orecchie e di naso (soltanto piccoli
fori al posto di essi), si piegò in avanti a guardare il ventre, dal
quale sgorgava un liquido verde, gelatinoso.
Cercò
allora di tamponare lo squarcio con la mano, ma il liquido scorse,
inarrestabile, tra le sue dita.
All’improvviso
sentì che le forze lo abbandonavano, soprattutto alle gambe. Fu
costretto, per non cadere, ad appoggiarsi al muro di pietra che
s’innalzava lungo il perimetro dell’arena.
Il
respiro divenne più corto, affannoso; le funzioni del suo organismo
bionico, più limitate.
Il
robot sollevò lo sguardo e rimase a osservare il proprio rivale,
anch’esso un modello X-324, in piedi poco distante, impettito, a
gambe larghe: il tipico atteggiamento del vincitore.
Stringeva
ancora nel pugno un lungo pugnale keronico,
dalla lama
termica incandescente.
Con
esso aveva causato il terribile squarcio all’addome dell’altro,
durante il duello che si era concluso da poco.
Non
c’era motivo, adesso, di accanirsi contro il ferito. Era evidente
che questi ne avesse ancora per poco. Quel tipo di arma, infatti, era
tremendamente micidiale.
Il
robot morente non si mosse, non disse nulla (sapeva e poteva
parlare), i suoi occhi lampeggiarono ancora una volta, poi restarono
immobili, senza espressione. La sua testa, lentamente, reclinò sul
petto.
Non
un grido.
Non
un lamento...
Eppure
il dolore era immenso, insopportabile, ma tutto interiore, fatta
eccezione per una lacrima che, pian piano, gli scivolò su una
guancia, brillando come un diamante.
*
* *
Nell’anfiteatro
era sceso il silenzio.
Sugli
spalti gli spettatori non ridevano, né urlavano, né incitavano i
due combattenti.
Se
ne stavano fermi, quasi col fiato sospeso, aspettando l’epilogo
imminente.
Solo
allora, per il vincitore, si sarebbe levata una lunga ovazione
assordante. Per lo sconfitto, invece, neppure uno sguardo, né un
pensiero, né una parola.
Sarebbe
stato all’istante portato – da altri robot di infima serie: gli
inservienti dell’anfiteatro – alla grande Fornace del Metallo,
per essere fuso, rimodellato e programmato di nuovo: aspetti e
funzioni sempre più simili a quelli dell’uomo.
Pronto,
così, per un altro duello: unico divertimento per i minatori di quel
solitario e aspro pianeta, situato nel settore L-345 del sistema
stellare di Kongiu-Beil.
Bel racconto "fantagladiatorio", già letto sull'antologia "Nuove storie dallo spazio". Avvincente e d'atmosfera.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Davvero un bel racconto di combattimento.
RispondiEliminaNarrazione breve ma efficace nel descrivere i particolari dei due lottatori.
Antonio Ognibene