Elena
non riusciva ad addormentarsi quella sera. Si sentiva strana, debole,
agitata. Alla fine, dopo un lungo rivoltarsi, era riuscita a prendere
sonno. Ma si era svegliata poco dopo, pur rimanendo in una condizione
particolare, non del tutto sveglia come durante il giorno, ma neppure
del tutto incosciente come nelle ore della notte. Si trovava,
comunque, nella camera da letto, seduta sulla poltrona con indosso un
abito bianco intenta a specchiarsi e a pettinarsi. La giovane donna
aveva un vero e proprio culto della bellezza, della sua bellezza, ma
aveva anche il grande timore che essa non fosse mai come sarebbe
potuta essere, che sarebbe potuta essere più di quello che era.
Elena faceva scorrere, ora con dolcezza ora con vigore, un pettine
d’avorio lungo i suoi folti e bei capelli neri e si guardava,
compiaciuta e insoddisfatta insieme, allo specchio. Provava, ad ogni
movimento della mano, una sensazione di benessere intenso, profondo,
di rilassamento completo, dalla testa ai piedi. Attimo dopo attimo,
iniziò a sentire dentro di sé, più forte, più inarrestabile, il
desiderio di pettinare, di lisciare il più possibile i suoi capelli,
di renderli più luminosi, più belli, più compatti, ineguagliabili.
Iniziò, allora, a maneggiare il pettine d’avorio con sempre più
forza, con un vigore che, poco alla volta, divenne violenza; dentro
di lei crescevano l’affanno e il tormento. I denti del pettine si
colorarono del rosso del sangue, ma Elena, benché provasse dolore,
non si fermava: anzi provava un folle, perverso piacere nel graffiare
con quello strumento di uso quotidiano il suo cuoio capelluto fino al
punto da aprirvi delle ferite, un atroce diletto nel sentire il
sangue che usciva da quelle piccole, terribili lacerazioni ed una
soddisfazione orrida quando vedeva inzuppati di quella linfa vitale i
suoi capelli che diventavano sempre più lisci, più luminosi, più
belli, più compatti, inarrivabili, forse, per qualsiasi altra donna.
Ma Elena non era soddisfatta. Voleva che anche il suo volto, che pure
era di notevole fascino, fosse ancora più levigato, più limpido,
più raffinato, simile ad una superficie di onice. Mescolò cosmetici
vari e vi mise dentro anche un po’ del suo sangue, che tanto
abbondante era sgorgato dalle ferite che lei stessa si era procurata
in testa, creando così una nuova crema, che prese a cospargere
copiosamente sulla fronte, sulla gote, sul mento, lungo il collo. Il
risultato fu immediato e sorprendente: il suo volto divenne liscio,
luminoso, splendente. Ma non era contenta, comunque. Voleva a tutti i
costi che quella levigatezza, quella limpidezza e quella raffinatezza
si fissassero per sempre sul suo viso. Iniziò, allora, a
massaggiarsi il volto con i polpastrelli delle dita dapprima con
lentezza, poi più rapidamente, con più forza, finanche con violenza
per fare in modo che il suo unguento penetrasse in profondità,
diventasse un tutt’uno con la pelle e la carne. Elena soffriva
molto, ma non si fermava un solo istante. Provava un dolore acuto,
lancinante al volto, sentiva che pungeva, bruciava, tirava come se si
deformasse mostruosamente, l’angoscia e lo spasmo erano indicibili.
Ma Elena continuava a praticare il suo orrido massaggio con
brutalità, con godimento malsano, a premere con piacere perverso sul
suo viso, a incidere su di esso con i polpastrelli delle dita,
sentendo dentro di sé una gioia morbosa, vedeva o le sembrava di
vedere che il suo desiderio si avverava…
Era
ormai notte. La bellezza e il desiderio folle di una bellezza più
grande si erano trasformati in orrore. Elena era diventata un mostro.
Il suo volto era coperto da orrende lesioni da cui sgorgava sangue e
da orribili macchie nere mentre i capelli, sfilacciati ed intrisi di
sangue, iniziarono a cadere rapidamente a grandi ciocche lasciandola,
alla fine, quasi del tutto calva. Le vesti bianche erano rosse in più
punti. Elena si alzò dalla poltrona e con un movimento meccanico si
sdraiò sul letto ed iniziò a dormire respirando con affanno,
sibilando sinistramente, sospirando spasmodicamente, rantolando
terribilmente… E in quella stessa notte morì.
Alcuni
giorni dopo una ragazza, che aveva conosciuto Elena e che come lei
aveva un culto smodato per la bellezza, giurò, al colmo dell’orrore,
che l’aveva vista seduta sul proprio letto mentre si accingeva ad
andare a dormire; la stessa cosa era accaduta, poco dopo, ad un’altra
ragazza anche lei infatuata dall’idea della bellezza. Questi due
episodi non destarono, comunque, il benché minimo interesse e si
ritenne che le due ragazze avessero avuto soltanto delle
allucinazioni. La situazione mutò in modo radicale quando cinque
ragazze - tre modelle e due attrici all’inizio della carriera -
furono contemporaneamente trovate uccise nelle loro camere da letto.
Le ragazze avevano i volti deturpati da orrende ferite grondanti
sangue e coperti da orribili macchie nere oltre ad essere quasi del
tutto calve, a parte pochi capelli sfilacciati intrisi di sangue,
anche le loro vesti erano rosse in più punti. Nonostante le indagini
serrate condotte dalla Polizia fino ad oggi la causa della morte,
avvenuta di notte, di queste cinque ragazze è rimasta ignota. Si sa
soltanto che si è trattato di cinque delitti efferati, terrificanti,
mostruosi. Non si sa chi sia stato a commetterli, né con quale arma
essi siano stati consumati. Alla fine è stato interpellato il
professor Carandini, uno dei massimi esperti del paranormale e
dell’occulto. La speranza era quella di rinvenire in ciò che è
irrazionale una spiegazione razionale all’accaduto. Carandini, dopo
un’accurata analisi, ha emesso questo verdetto:
“Non
si tratta di morti dovute ad un assassino umano, ma all’opera
nefasta di una di quelle bestie maledette che io chiamo creature
della notte: esseri mostruosi, perversi, crudeli che appaiono anche
sotto le spoglie di uomini, donne e bambini, che vengono generati
dalla notte, che vivono nella notte e che compiono le loro nefandezze
nella notte: quando cioè le capacità razionali e le sicurezze, pur
labili, che ci sostengono durante il giorno vengono meno, quando la
paura si insinua dentro di noi e ci devasta senza che possiamo
controllarla e fermarla, quando non riusciamo più a distinguere la
realtà dal sogno o meglio dagli incubi. La notte è una dimensione
ignota, una realtà che può solo spaventarci, un luogo dove possiamo
soltanto morire. Ecco il mio verdetto…”.
Racconto avvincente e ben scritto.
RispondiEliminaBel racconto horror, avvincente ed efficace nelle sue descrizioni a tinte forti. Il tema del narcisismo, con evidenti richiami psicoanalitici, viene qui trattato con l'intento di accostare bellezza e orrore in modo direi originale.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Ottimo. In alcuni punti raccapricciante. Mi ha strappato smorfie sgradevoli e brividi di repulsione.
RispondiEliminaDirei che sul sottoscritto ha avuto effetto.
Antonio Ognibene