domenica 11 agosto 2013

BELLEZZA E MOSTRUOSITÀ di Giancarlo Ferraris



Elena non riusciva ad addormentarsi quella sera. Si sentiva strana, debole, agitata. Alla fine, dopo un lungo rivoltarsi, era riuscita a prendere sonno. Ma si era svegliata poco dopo, pur rimanendo in una condizione particolare, non del tutto sveglia come durante il giorno, ma neppure del tutto incosciente come nelle ore della notte. Si trovava, comunque, nella camera da letto, seduta sulla poltrona con indosso un abito bianco intenta a specchiarsi e a pettinarsi. La giovane donna aveva un vero e proprio culto della bellezza, della sua bellezza, ma aveva anche il grande timore che essa non fosse mai come sarebbe potuta essere, che sarebbe potuta essere più di quello che era. Elena faceva scorrere, ora con dolcezza ora con vigore, un pettine d’avorio lungo i suoi folti e bei capelli neri e si guardava, compiaciuta e insoddisfatta insieme, allo specchio. Provava, ad ogni movimento della mano, una sensazione di benessere intenso, profondo, di rilassamento completo, dalla testa ai piedi. Attimo dopo attimo, iniziò a sentire dentro di sé, più forte, più inarrestabile, il desiderio di pettinare, di lisciare il più possibile i suoi capelli, di renderli più luminosi, più belli, più compatti, ineguagliabili. Iniziò, allora, a maneggiare il pettine d’avorio con sempre più forza, con un vigore che, poco alla volta, divenne violenza; dentro di lei crescevano l’affanno e il tormento. I denti del pettine si colorarono del rosso del sangue, ma Elena, benché provasse dolore, non si fermava: anzi provava un folle, perverso piacere nel graffiare con quello strumento di uso quotidiano il suo cuoio capelluto fino al punto da aprirvi delle ferite, un atroce diletto nel sentire il sangue che usciva da quelle piccole, terribili lacerazioni ed una soddisfazione orrida quando vedeva inzuppati di quella linfa vitale i suoi capelli che diventavano sempre più lisci, più luminosi, più belli, più compatti, inarrivabili, forse, per qualsiasi altra donna. Ma Elena non era soddisfatta. Voleva che anche il suo volto, che pure era di notevole fascino, fosse ancora più levigato, più limpido, più raffinato, simile ad una superficie di onice. Mescolò cosmetici vari e vi mise dentro anche un po’ del suo sangue, che tanto abbondante era sgorgato dalle ferite che lei stessa si era procurata in testa, creando così una nuova crema, che prese a cospargere copiosamente sulla fronte, sulla gote, sul mento, lungo il collo. Il risultato fu immediato e sorprendente: il suo volto divenne liscio, luminoso, splendente. Ma non era contenta, comunque. Voleva a tutti i costi che quella levigatezza, quella limpidezza e quella raffinatezza si fissassero per sempre sul suo viso. Iniziò, allora, a massaggiarsi il volto con i polpastrelli delle dita dapprima con lentezza, poi più rapidamente, con più forza, finanche con violenza per fare in modo che il suo unguento penetrasse in profondità, diventasse un tutt’uno con la pelle e la carne. Elena soffriva molto, ma non si fermava un solo istante. Provava un dolore acuto, lancinante al volto, sentiva che pungeva, bruciava, tirava come se si deformasse mostruosamente, l’angoscia e lo spasmo erano indicibili. Ma Elena continuava a praticare il suo orrido massaggio con brutalità, con godimento malsano, a premere con piacere perverso sul suo viso, a incidere su di esso con i polpastrelli delle dita, sentendo dentro di sé una gioia morbosa, vedeva o le sembrava di vedere che il suo desiderio si avverava…
Era ormai notte. La bellezza e il desiderio folle di una bellezza più grande si erano trasformati in orrore. Elena era diventata un mostro. Il suo volto era coperto da orrende lesioni da cui sgorgava sangue e da orribili macchie nere mentre i capelli, sfilacciati ed intrisi di sangue, iniziarono a cadere rapidamente a grandi ciocche lasciandola, alla fine, quasi del tutto calva. Le vesti bianche erano rosse in più punti. Elena si alzò dalla poltrona e con un movimento meccanico si sdraiò sul letto ed iniziò a dormire respirando con affanno, sibilando sinistramente, sospirando spasmodicamente, rantolando terribilmente… E in quella stessa notte morì.


Alcuni giorni dopo una ragazza, che aveva conosciuto Elena e che come lei aveva un culto smodato per la bellezza, giurò, al colmo dell’orrore, che l’aveva vista seduta sul proprio letto mentre si accingeva ad andare a dormire; la stessa cosa era accaduta, poco dopo, ad un’altra ragazza anche lei infatuata dall’idea della bellezza. Questi due episodi non destarono, comunque, il benché minimo interesse e si ritenne che le due ragazze avessero avuto soltanto delle allucinazioni. La situazione mutò in modo radicale quando cinque ragazze - tre modelle e due attrici all’inizio della carriera - furono contemporaneamente trovate uccise nelle loro camere da letto. Le ragazze avevano i volti deturpati da orrende ferite grondanti sangue e coperti da orribili macchie nere oltre ad essere quasi del tutto calve, a parte pochi capelli sfilacciati intrisi di sangue, anche le loro vesti erano rosse in più punti. Nonostante le indagini serrate condotte dalla Polizia fino ad oggi la causa della morte, avvenuta di notte, di queste cinque ragazze è rimasta ignota. Si sa soltanto che si è trattato di cinque delitti efferati, terrificanti, mostruosi. Non si sa chi sia stato a commetterli, né con quale arma essi siano stati consumati. Alla fine è stato interpellato il professor Carandini, uno dei massimi esperti del paranormale e dell’occulto. La speranza era quella di rinvenire in ciò che è irrazionale una spiegazione razionale all’accaduto. Carandini, dopo un’accurata analisi, ha emesso questo verdetto:
“Non si tratta di morti dovute ad un assassino umano, ma all’opera nefasta di una di quelle bestie maledette che io chiamo creature della notte: esseri mostruosi, perversi, crudeli che appaiono anche sotto le spoglie di uomini, donne e bambini, che vengono generati dalla notte, che vivono nella notte e che compiono le loro nefandezze nella notte: quando cioè le capacità razionali e le sicurezze, pur labili, che ci sostengono durante il giorno vengono meno, quando la paura si insinua dentro di noi e ci devasta senza che possiamo controllarla e fermarla, quando non riusciamo più a distinguere la realtà dal sogno o meglio dagli incubi. La notte è una dimensione ignota, una realtà che può solo spaventarci, un luogo dove possiamo soltanto morire. Ecco il mio verdetto…”.


3 commenti:

  1. Bel racconto horror, avvincente ed efficace nelle sue descrizioni a tinte forti. Il tema del narcisismo, con evidenti richiami psicoanalitici, viene qui trattato con l'intento di accostare bellezza e orrore in modo direi originale.

    Giuseppe Novellino

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  2. Ottimo. In alcuni punti raccapricciante. Mi ha strappato smorfie sgradevoli e brividi di repulsione.
    Direi che sul sottoscritto ha avuto effetto.

    Antonio Ognibene

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