L'oggetto volante ruotava su
di un lato, era bombato nella parte superiore e piatto sotto, privo
di giunture, sembrava fosse stato modellato come un vaso di creta.
Nel perimetro attorno al disco arancione c'era una striscia di luci
colorate e intermittenti che emettevano un suono tipo i canti delle
balene.
Duyenoh era solo a bordo, un
esploratore cymruiano alla ricerca di nuovi mondi, una specie di
apripista per i coloni.
Entrò nell'orbita di un
pianeta dalle caratteristiche simili a quelle stabilite dalla
delibera del Gran Consiglio di Espansione e Sviluppo.
Duyenoh aveva già visionato
altri tre pianeti prima, ma erano risultati inadeguati alle
caratteristiche fisiche del suo popolo. Questo invece aveva tutte le
caratteristiche per essere abitato: un'atmosfera adeguata, gravità
alta e forte campo magnetico, proprio come su Cymru.
- Vediamo un po' gli
abitanti. - disse fra sé l'alieno.
Il computer biologico di
bordo rivelò che la razza dominatrice era di fisionomia molto simile
agli abitanti di Cymru, ma di tecnologia molto meno evoluta, quasi
nulla a dire il vero. Il computer rivelò inoltre, che la popolazione
era composta da circa un miliardo e duecentomila individui.
- Non dovrebbero esserci
troppi problemi a sottometterli, sono ancora abbastanza primitivi.
Duyenoh comunicò i dati
alla nave madre in orbita attorno a Stramuss 24.
Con la navicella percorse un
giro attorno alla traiettoria del pianeta, poi scese con l'intenzione
di prelevare dei campioni d'aria.
Poco
dopo l'ingresso nella Termosfera, una vibrazione fece tremare
l'intero cockpit. Il computer emise forti segnali acustici
intermittenti, segnalando sul display un problema al sistema di
propulsione ad antimateria. Il cyber-elmo non rispondeva ai comandi
encefalici, e nemmeno quelli manuali sembravano funzionare. La
gravità del pianeta iniziò ad attirare a sé il veicolo spaziale.
- Per Ylifu! - imprecò.
Il disco volante entrò
nell'atmosfera e per l'attrito con l'aria si surriscaldò,
trascinandosi dietro una scia di fuoco e fumo scuro. Lo pancia dello
scafo arrivò a toccare anche millecinquecento gradi centigradi e
oltre. Il disco aveva preso una traiettoria di discesa molto ripida e
precipitava come un sasso.
Con il dispositivo
anti-accelerazione messo fuori uso, il corpo di Duyenoh fu soggetto a
un terribile aumento di velocità. Anche la tuta anti-G faticava a
impedire alla pressione del sangue di venire spinto dal cervello
verso le parti basse.
L'alieno era schiacciato sul
proprio sedile con la pelle del volto che gli si increspava. Nei
pugni che stringevano le due cloche avvertì delle scosse. Forse
c'era ancora la speranza che i due joystick avessero ripreso a
comandare il sistema manuale.
Aveva
ancora qualche possibilità di poter rallentare il veicolo e portarlo
nel giusto percorso per tentare un atterraggio di fortuna. Uno dei
due propulsori funzionava ancora, anche se a regime limitato.
Sul KY4.4, il tipo di disco
in dotazione ai perlustratori cymruniani, non c'erano vetri, come del
resto in nessun'altra nave cosmica di quarta generazione del pianeta
Cymru. I materiali speciali del disco riproducevano una realtà
virtuale immersiva, per cui il pilota aveva una visione a
trecentosessanta gradi dell'esterno, ed era al tempo stesso protetto
dal solido involucro del mezzo contro i meteoriti.
La sotto tuta di Duyenoh era
umida per la tensione. I muscoli contratti del volto gli provocavano
dolore e affaticamento e stringeva i denti tanto da sentirli
scricchiolare.
Aveva ormai attraversato
quasi tutti gli strati dell'atmosfera del pianeta e adesso poteva
vedere il mare e la costa, sempre più vicini.
L'altimetro era preciso e
inesorabile: 9,8 chilometri all'impatto.
Duyenoh tirò indietro
entrambe le leve. Un fumo rossastro fuoriuscì da delle fessure poste
sotto la pancia del velivolo. Il disco entrò in vite un paio di
volte, poi alzò il muso.
L'alto carico a cui era
stata sottoposta la tuta anti-G ruppe lo strato inferiore dello
speciale indumento, permettendo al liquido di fuoriuscire. Al pilota
gli si oscurò la vista e avvertì uno strano sapore di amaro in
bocca. I muscoli contratti si rilassarono, le mani lasciarono le leve
e caddero sui fianchi del corpo, la testa gli si piegò in avanti con
il mento appoggiato al petto.
* * *
Rattlesnake Town,
Mississippi. 1849.
Il vecchio Morlee Bisset, un
uomo dai lineamenti del viso forti e ben marcati, vide una sfera
infuocata lasciarsi dietro una scia obliqua, che tagliava quasi in
due la notte stellata. L'oggetto precipitò nel bosco dei Pappert,
dietro il Big Black River.
- Dannazione, che il diavolo
ti porti!
Aveva ancora la patta della
ruvida calzamaglia aperta. Mentre osservava quella traccia luminosa
cadere dal cielo, non si era accorto di essersi bagnato di urina la
parte inferiore dell'indumento.
Fece
un gesto di stizza con la mano, prese il vecchio fucile Kentucky
e tornò a dormire nella baracca di legno sulla collina.
* * *
Poco prima di perdere
conoscenza, Duyenoh era riuscito ad attivare il sistema autofrenante
e la schermatura anticollisione che aveva permesso al disco di
“schiantarsi con grazia.” Una speciale bolla aveva protetto
l'abitacolo e il pilota dalle violente scosse causate dall'impatto.
Era un sistema di sicurezza adottato dai caccia incursori e, per
fortuna, da poco installati anche sui veicoli esploratori.
Il disco aveva lasciato un
solco lungo un centinaio di metri, abbattendo parecchi alberi e
finendo la corsa contro un Salice a pochi metri dalla sponda destra
del Big Black River.
Le luci perimetrali erano
spente, la parte anteriore dell'esploratore era coperta di terriccio
e foglie. Una condensa saliva dalla parte superiore del guscio ancora
bollente.
Del vapore bianco sfiatò da
sopra la parte centrale e convessa dell'oggetto venuto dallo spazio.
Le lamelle disposte a raggiera del portellone d'ingresso si
ritirarono, mostrando un'apertura circolare e buia.
Un essere alto e dinoccolato
uscì dall'abitacolo toccandosi la nuca.
- Per Ylifu e Tehutel, che
botta.
Si tastò il fianco destro
ed estrasse un'arma simile a un tirapugno. Lo rimise nella custodia.
- Sono precipitato su un
pianeta abitato dalle caratteristiche di tipo 8. - disse, parlando da
un auricolare trasparente.
- Lascio accesa la
connessione affinché possiate localizzarmi. - Lo sguardo gli cadde
sull'asta curva appoggiata alla guancia sinistra.
- Oh, no!
Il congegno di comunicazione
non era illuminato di azzurro come al solito.
- Si dev'essere danneggiato
durante lo schianto. - mormorò con sgomento.
Si portò le mani sui
capelli a spazzola e fissò il buio davanti a sé.
- E adesso?
La prima cosa da fare che
gli venne in mente era nascondere il disco. Per metà era già
interrato, ma dovette impiegare un paio d'ore per coprire il resto.
Mentre finì di occultare la
parte inferiore con le ultime fronde, udì delle grida in lontananza
mescolate a latrati di cani.
Si avvicinò al Salice e
iniziò ad arrampicarsi. Durante la salita gli cadde l'arma.
- Perfetto!
Il gruppo di persone
emettevano forti grida di eccitazione e passarono a circa una ventina
di metri da lui sparendo poi nella fitta boscaglia senza luce. Erano
sagome scure di esseri piuttosto bassi e con strani copricapi.
- Devono essere proprio in
uno stato tecnologico poco evoluto. - osservò Duyenoh dopo aver
visto che per illuminare il sentiero si servivano di lanterne a olio.
Scese dall'albero facendo
più fatica di quando vi era salito.
Una volta a terra, si mise a
carponi e cercò la sua arma tra l'erba alta.
- Dove diavolo sei? -
ringhiò - Saranno anche primitivi, ma averlo adesso uno di quegli
aggeggi luminosi.
Si arrestò con lo sguardo
fisso su un paio di stivali infangati. Alzò la testa con prudenza.
Man mano che spostava il capo verso l'alto, vide in successione un
paio di calzoni logori color castano chiaro e una camicia giallastra
dalle maniche strappate. Poi distinse solo una fila di denti bianchi
immersi nel buio.
- Aaahhh! - gridò
gettandosi di lato.
Ma anche l'essere di fronte
a lui, quasi più alto dell'alieno, gridò di paura e corse via verso
l'argine.
- Ehi, aspetta. - urlò
Duyenoh.
Si alzò e lo rincorse.
- Anche l'altro gridava, ma
erano frasi incomprensibili per Duyenoh.
L'extraterrestre arrivò a
un metro dall'uomo. Quello si voltò con un lamento, coprendosi il
volto con le braccia.
- Calma, calma. - ripeteva
Duyenoh, ma l'altro sentiva solo dei suoni senza senso: - Auoaee,
Auoaee.
L'uomo indietreggiò con le
spalle rivolte al fiume, e mise un piede in una parte di terreno
friabile che smottò sotto il suo peso.
Duyenoh protese un braccio
in avanti per cercare di afferrarlo, ma quello era già caduto nelle
acque scure. La corrente non era forte ma l'uomo si dimenava, andava
sott'acqua, risaliva sputando e gorgogliando frasi incomprensibili e
finiva ancora sott'acqua, fintanto che i flutti lo inghiottirono.
L'alieno si sedette,
ansimava e sudava. Non aveva mai visto morire nessuno prima d'ora.
Anche se si trattava di un essere di un pianeta diverso dal proprio,
era sempre una vita umana.
Corse verso il disco, deciso
a farlo funzionare, ma poi si fermò.
Aveva la testa abbassata e
la mani sui fianchi.
- Non sono un tecnico, non
ci capisco niente di fissione spontanea, di acceleratori, di... Sono
un esploratore, dannazione!
Raccolse una zolla di
terriccio e la lanciò contro un tronco.
- Voglio andare via da qui!
- gridò.
Il bosco iniziò ad assumere
una tinta arancio-giallo oro.
Duyenoh aveva un piano. Di
fisionomia era uguale a quella dei terrestri, forse era un tantino
più alto ma le eccezioni esistono dappertutto. Perciò avrebbe
dovuto procurarsi degli abiti di quella gente per mescolarsi tra loro
e non destare sospetti. Per ovviare il problema della la lingua, si
sarebbe fatto passare per sordomuto. La sua attuale priorità era
cibarsi per sopravvivere in attesa dei soccorsi. Il disco era
comunque fatto di un metallo inesistente nella natura di questo
pianeta. Prima o poi lo avrebbero localizzato. Sarebbe stata solo
questione di tempo.
Fece quasi un chilometro
nascosto nella boscaglia, ma tenendo sempre d'occhio il fiume. Ne
seguiva la corrente.
Si fermò attratto da
qualcosa che spuntava da un canneto immerso nell'acqua torbida. Si
avvicinò fino a immergere i piedi nella fanghiglia. Con una mano si
reggeva a un arbusto secco per evitare di finire in acqua.
- Per Ylifu! È il tizio di
stanotte.
Impigliato nelle canne,
giaceva il cadavere dell'uomo che Duyenoh aveva visto annegare.
L'alieno strinse la mano
libera al mento per riflettere. Osservava il corpo inerte, metà
sommerso.
Uscì
un paio d'ore dopo dal fitto bosco con indosso i vestiti del morto,
li aveva asciugati al sole prima di indossarli. Adesso sembrava uno
di loro.
Una stradina sterrata
divideva la vegetazione da una piana di terreno incolto. Si deterse
il sudore che gli colava sulla fronte e, non sapendo quale direzione
prendere, andò a destra.
Durante il tragitto incrociò
un calesse con due anziani signori, forse erano marito e moglie.
Duyenoh sorrise e li salutò con la mano.
- Mio Dio, che schifo. -
mormorò la donna.
Il marito frustò il cavallo
in modo che accelerasse la corsa.
L'alieno notò lo sguardo
ostile di quei due nei suoi confronti, e si era pure accorto che
portavano abiti più belli e più puliti dei suoi.
Annusò il colletto della
camicia e fece una smorfia.
- Puzza di pelo bagnato di
Osupabe.
Era un pezzo che camminava,
i piedi gli facevano male dentro quelle scomode calzature. Aveva
marciato su quel percorso sconnesso ormai da due ore. Si passava la
mano sulla fronte madida di sudore e sui capelli fradici.
Arrivò davanti a un
cartello. Si fermò e tentò di leggere. Ma erano solo brutti sgorbi
incomprensibili per lui e lo oltrepassò.
Il cartello diceva:
«Benvenuti nello Stato del Mississippi. Benvenuti a Rattlesnake
Town.» E a un centinaio di metri notò delle abitazioni.
A pochi passi da lui vide
una ragazzina che stava attingendo acqua da una pompa, riempiendo un
secchio di legno.
Duyenoh si avvicinò e le
fece segno di aver sete.
La ragazza si mise a
strillare come se avesse visto il Demonio e fuggì verso la città.
“Non
riesco proprio a capire.” Pensò Duyenoh.
Si specchiò nell'acqua del
secchio e apprese di aver commesso un grave errore.
- I miei capelli. - gridò.
- L'uomo di stanotte li aveva bianchi, quei due su quello strano
mezzo li avevano uno giallo e l'altra neri. Questa femmina li aveva
marroni. Per forza sto dando nell'occhio, i miei sono metà azzurri e
metà verdi.
Su Cymru le mostrine che
contraddistinguono i reparti militari di volo interplanetario sono i
colori dei capelli.
I piloti di caccia li hanno
blu, quelli degli intercettori, rossi con una croce nera e via
dicendo. I piloti esploratori li tingono di azzurro con una ics
verde. E lo stesso discorso valeva per le sopracciglia.
“Devo
esserle sembrato un mostro.” Pensò.
Mentre rimuginava su come
poter rimediare, la ragazzina tornò accompagnata da alcuni uomini
armati e dalle intenzioni poco amichevoli. Non si trattava certo di
un comitato di accoglienza.
Sotto
uno Stetson
nero c'era la fronte ampia dello sceriffo Barret. Dietro di lui
camminavano Joshua Hammer, maniscalco dal fisico massiccio e
sgraziato, Dwayne “Crazy” Murray, l'addetto alla sepoltura dei
morti e Tearley Widman, il proprietario del saloon, che reggeva una
corda col cappio.
La ragazza indicò Duyenoh e
poi cose via verso il paese.
Il gruppo avanzava, l'alieno
sospettò un'azione ostile e cercò la sua arma tastandosi l'anca.
- Dannazione! - ricordò di
averla smarrita nel bosco.
Gli uomini si misero in
cerchio attorno a lui.
- Ne hai di fegato a far
rivedere il tuo sporco muso in paese, sporca carogna.
- Spariamogli adesso,
sceriffo. - disse Murray.
- No - fece Hammer - voglio
vederlo soffocare attaccato a un cappio.
Duyenoh non capiva nulla di
quello che si stavano dicendo quelli, decise di tralasciare l'idea di
fingersi sordomuto e provare a spiegarsi in qualche modo, sia a
parole che a gesti.
- Sentite, possiamo
risolvere la faccenda da persone civili. - disse.
Ma a quegli uomini le sue
parole risultavano incomprensibili frasi tipo: “Auouo, euaoaee.
Ouooa.” Proprio come se gli mancasse davvero la lingua.
- È inutile che cerchi
d'impietosirci, canaglia. - disse Hammer.
Widman sputò un grumo di
tabacco ai piedi dell'alieno. - Impicchiamolo subito, allora.
Il gruppo afferrò Duyenoh e
gli legarono i polsi.
- Toglietemi le mani di
dosso, selvaggi primitivi! - urlò l'alieno.
Gli uomini lo portarono di
fretta giù in paese.
- Devono vederti tutti
appeso a una corda. - disse lo sceriffo.
- Ma perché diavolo si è
tinto i capelli a quel modo? - chiese Murray ad Hammer.
- Non lo so e non
m'interessa saperlo. - rispose.
- A me però non sembra mica
quello di stanotte. - fece notare Murray.
- Che importanza ha? -
rispose brusco Hammer.
Attraversarono la via
principale del paese, tutti imprecavano contro Duyenoh e lo
insultavano.
L'alieno continuava ad
agitarsi e gridare nella sua lingua frasi incomprensibili a quei
terrestri.
- Ti è piaciuto quando ti
hanno tagliato la lingua, eh? - gli disse Hammer mentre camminavano
nella polverosa Main Street. Gli parlava vicino all'orecchio,
alitandogli in faccia tutto il puzzo di whisky.
Duyenoh si guardava intorno
disorientato e sbigottito. Quegli edifici gli sembravano costruzioni
grottesche di un incubo, e quelle persone esseri primordiali e
selvaggi privi di qualsiasi etica.
Rattlesnake Town era stata
edificata in poco tempo lungo i binari della ferrovia da uomini rudi
e senza pretese.
L’Hotel Garraway era
l'edificio principale della città, un fabbricato a due piani
costruito con grosse tavole di legno e dotato di molte finestre. Si
affacciava sulla polverosa strada principale. Sul retro dell'albergo
stavano alcune latrine a cielo aperto.
- Cavategli gli occhi,
prima. - urlò un vecchio sdentato dietro un barile vuoto, brandendo
un coltello.
Accanto all'hotel stava il
saloon con sopra il bordello, e di fronte l'ufficio dello sceriffo e
l'emporio di Frank Goose, con padelle, lardo, pale, picconi, sacchi
di patate, barili di sottaceti e merce di tutti i generi
ammonticchiata alla rinfusa qua e là.
Lo stesso Goose guardava la
scena divertito, tormentandosi il lobo dell'orecchio destro.
Sempre
dal lato dell'albergo stavano l'officina del maniscalco Joshua Hammer
e l'impresa di pompe funebri del vecchio Rufus Cunningham che se la
godeva.
Alcune baracche di legno e
il cimitero affollato di lapidi e croci, completavano il piccolo
agglomerato urbano.
Duyenoh, stremato, venne
meno. Hammer e Murray lo trascinarono a forza mentre lui balbettava
frasi incomprensibili anche per se stesso.
I suoi occhi vagavano tra la
gente e gli edifici con i loro strani, buffi segni dipinti sul legno:
“Goose General Store, Saloon, Cunningham wheelwright &
undertaker, Sheriff's Office...”
- Soneyua... Dumeso...
Ogawaku... dove siete?. - sussurrava tra sé.
Widman prese la corda di
Murray e la lanciò su un robusto ramo di una quercia di fronte alle
pompe funebri.
C'erano anche un paio di
messicani, osservavano la scena contenti di non essere loro a essere
presi di mira quel giorno.
Lo sceriffo aveva lasciato
il gruppo a preparare la forca. Il tutore della legge andò verso una
stalla, slegò uno dei due cavalli e lo portò alla quercia, sotto
l'ombra del fogliame.
Minnie
Carter, una delle lucciole
e ballerine del saloon corse verso lo sceriffo con uno sgabello in
mano e lo appoggiò proprio sotto il ramo dove pendeva il capestro.
Tutto era pronto per
l'esecuzione con la folla che urlava a squarciagola tra indignazione
e divertimento.
Il reverendo Gray si
avvicinò a Duyenoh con una bibbia.
- Lasci perdere, questa
sporca carogna non ne ha bisogno. - disse Hammer, allontanando il
sacerdote con una mano.
Gli occhi dell'alieno
frugarono in quelli del reverendo metodista.
- Auoaa, aaauo... - esalò
in un grido soffocato Duyenoh.
- Mi dispiace figliolo. - Si
passò l'indice su un occhio, cercando di reprimere una lacrima. O
forse gli era solo entrato un moscerino.
La parte di corda vicina al
cappio venne unta di grasso, l'altra estremità venne legata alla
sella del cavallo.
Duyenoh aveva abbandonato
ogni tipo di resistenza. Guardava in alto, sperando di vedere
arrivare i suoi compagni a liberarlo. Il cielo era lucente, il sole
alto e giallo.
Venne fatto salire senza
mezzi termini sullo sgabello, lo sceriffo tirò il cavallo per la
briglia e la corda si tese. Duyenoh vomitò qualcosa di giallo. Si
reggeva a stento sulle punte degli stivali.
“Per
colpa del colore dei miei capelli.” fu il suo ultimo pensiero.
Hammer diede un paio di
calci allo sgabello.
Il
corpo dell'alieno rimase sospeso a contorcersi a quasi un metro e
mezzo da terra.
La folla gridò entusiasta.
L'uomo venuto dallo spazio,
l'esploratore cymruiano, l'apripista per i coloni del suo pianeta,
penzolava con gli occhi barrati appeso a una corda scricchiolante.
La vetrata del negozio di
Rufus Cunningham rifletteva il lento moto ondulatorio dell'alieno dai
capelli azzurri e verdi e dalla pelle nera.
Brutta avventura di un alieno capitato in un selvaggio paese del Farwest.
RispondiEliminaBel racconto quello di Antonio: avvincente, scritto bene.
Ricco di atmosfera e interessante. Azzeccata la commistione fantascienza-western. E', infatti, tempo di contaminazioni di generi e questo mi sembra un ottimo esempio. Scritto bene e avvincente.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Grazie Paolo e Giuseppe.
RispondiEliminaAntonio Ognibene
ciao macedonia ottimo .....bravo d'avvero mi hai appassionato che dire senza sbavature come quando suonavi la batteria.... mandami il tuo cell
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RispondiEliminaerrata correge monchimarco770@gmail.com
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