giovedì 25 luglio 2013

GIUSEPPE NOVELLINO INTERVISTA SHEL SHAPIRO

(È con grande piacere che riproponiamo un’intervista – già apparsa in STREPITESTI nel 2012 – del nostro collaboratore Giuseppe Novellino a un grande personaggio della musica leggera italiana degli anni Sessanta, Shel Shapiro, cantante e chitarrista dei Rokes; attualmente attore, scrittore, musicista, produttore discografico.)

Cominciamo con una domanda un po’ frivola: ti senti più inglese o più italiano?
Sicuramente è una domanda frivola. Non mi pongo il problema. Dopo più di quarant’anni che sto in Italia, mi sembra logico che mi senta più italiano che non inglese. Comunque non vivo nell’incertezza. Mi sento libero di agire come voglio.
Ti sentiresti di esprimere un breve giudizio sull’Italia del 2012?
Io ho un passaporto inglese e un passaporto italiano, quindi sostanzialmente posso parlare come cittadino di questo paese. Anzi sono a tutti gli effetti cittadino italiano.
Sicuramente una volta, quando sono arrivato agli inizi degli anni ’60, l’Italia era un paese più affascinante, con più spazio e possibilità di azione. Questo vale per l’Italia come per gli altri paesi, diciamo così, provinciali. Nel frattempo le cose sono cambiate. Trovo che abbiamo passato diciassette anni di disastro culturale. Penso che la recente affermazione di questi governi cosiddetti liberali, di centrodestra, sia stata dannosa per la crescita morale, mentale, culturale, etica dei cittadini di questo paese.
Che cosa pensi dei giovani d’oggi?
Che non hanno vita facile, e noi non contribuiamo a rendergliela agevole. Risolvendo per loro i problemi e riempiendoli di comodità, pensiamo di dare a loro un vantaggio. Invece, proprio a causa di questo nostro comportamento, rendiamo difficile la loro esistenza.
Quali motivazioni ti hanno spinto a scrivere l’autobiografia?
Edmondo Berselli, che pubblicava i suoi libri con la casa editrice Il Mulino, dove era direttore editoriale, e successivamente con la Mondadori, sosteneva che ero uno di quei personaggi degli anni ’60 che avevano diritto di parola. Edmondo mi ha spinto a raccontare la mia esperienza. Io non sono uno di quelli che amano guardare indietro, nella vita trascorsa, con l’intento magari di celebrarsi; ma penso che certe volte faccia bene gettare uno sguardo alle spalle per rendersi conto degli errori che si sono commessi, ma anche delle cose giuste e buone. Quindi ho agito soprattutto perché la Mondadori ha insistito perché scrivessi un libro sulla mia vita. Mi hanno un po’ spinto, devo dire.
Sono stato assistito da Marco Cavani, scrittore bolognese, amico e conoscente. Mi dispiace che la Casa Editrice non abbia messo il suo nome sulla copertina. Nel mio sito, però, il nome compare e il danno, mi sembra, è stato riparato.
La motivazione, dunque, è stata quella di cercare di guardare con spirito critico quello che abbiamo fatto e questa eredità che abbiamo lasciato. L’idea di autocelebrarsi, di esaltare quegli anni è decisamente fuori luogo. Chi ha vissuto i ’60 può andare giustamente fiero perché erano anni belli. Chi non li ha vissuti pensa di avere perso una grande occasione. Ma io ritengo sia un giudizio non del tutto giusto, in fondo.
Se un tuo figlio diciottenne ti dicesse: “Papà, voglio andarmene in America a vivere di musica, come commenteresti questa sua decisione?
Non glielo impedirei, alla fine, ma cercherei di convincerlo a non andarci. Proverei a fargli capire che sarebbe meglio fare qualcosa di più solido. Però, se lui è convinto e decide di provare, di affrontare tutte le difficoltà per vedere realizzato un suo sogno, allora ritengo che sia una cosa positiva. La convinzione e la fiducia in se stessi sono sintomi di maturità. Io penso, infatti, che occorra agire con senso di autocritica, per evitare di vivere delle tragedie più avanti.
Io non ricordo cosa pensassero i miei genitori, quando decisi di andare all’estero (prima ad Amburgo e poi in Italia) per mettere a profitto i miei talenti musicali e artistici.
Che cosa trovi nella professione dell’attore, sia di teatro che di cinema?
Soprattutto questa possibilità di perdersi e di essere qualcun altro, per un momento. Tutti sanno che Shel canta e suona la chitarra. Lo danno per scontato. Ma se lui potesse, per un giorno, essere, che so, un imperatore romano o un serial killer, gli piacerebbe. Ho avuto delle esperienze in merito e trovo che sia una cosa molto esaltante entrare nella psiche di un’altra persona. Non essere più se stesso per un po’. I grandi attori, infatti, cambiano addirittura la faccia, non sembrano più loro stessi. Vedi, per esempio, Pacino e De Niro. Questa però è una caratteristica, diciamo così, anglo-americana di fare l’attore. In Italia è diverso. Nella professione di attore si richiede che tu rimanga te stesso. Non c’è film di Gasman dove non si capisce che è lui. Rimane sempre se stesso. Forse Marcello Mastroianni è l’unico che sia riuscito veramente a uscire da se stesso, movendosi nella scia degli attori anglosassoni.
Nel libro e nel tuo ultimo spettacolo sull’America della beat-generation, si nota un bisogno di impegno anche di carattere politico (in senso lato). Hai dei progetti in tal senso?
L’idea di poter fare il politico di professione, se l’ho avuta, l’ho lasciata ormai dietro le spalle. Oggi cerco di dare un senso a quello che dico e a quello che faccio, insomma.
Mi va di provare a combattere questa voglia di metterti dentro una scatola e comportarti secondo delle regole che ti detta qualcun altro. Poco prima di questa nostra chiacchierata, ho parlato al telefono con Mario Capanna, una persona che mi ha sempre capito e mi ha sempre sostenuto nel mio impegno di uomo e di artista.
Credo che noi abbiamo vissuto una quindicina di anni veramente brutti. Tutte le volte che ho fatto uno spettacolo, ho sempre cercato di spingere la gente a reagire, a indignarsi. Io sto usando questa parola, “indignazione”, da almeno dodici anni, da quando ho rilasciato un’intervista a L’Unità, dove mi dichiaravo indignato e denunciavo Blair e Berlusconi.
Insomma cerco di dire quello che penso, e se il mio pensiero aiuta ad aprire gli occhi di qualcun altro, ne sono felicissimo.
Quali sono i programmi di Shel artista?
In questo periodo mi è tornata un po’ la voglia di suonare, alla grande. Per questo farò una serie di concerti in alcuni clubs, con un gruppo che ho battezzato Hamburg ‘63. Come tu sai, nel 1963 suonavo ad Amburgo. Lì mi sono fatto le ossa, come musicista, in un locale che un po’ di tempo prima aveva visto passare i Beatles.
Nello stesso tempo continuerò con lo spettacolo “Beatnix”, un recital sulla musica, la letteratura, la società dell’America dalla Grande Depressione agli anni ’60.
Concludo con una leggera (e forse ingenua) curiosità, più che una domanda. Quale rapporto c’è, oggi, tra Shel e gli altri tre ex-Rokes (Bob, Mike e Johnny)?
Io non parlo di loro. Se vuoi sapere qualcosa dei Rokes, sono a disposizione, ma non mi piace parlare delle singole persone e dei miei rapporti con esse.
Comunque Johnny lo sento spesso. Vive a Roma e fa il pittore. Bob e Mike, invece, sono in Inghilterra.

3 commenti:

  1. Indubbiamente un personaggio di grandi qualità umane e sociali.

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  2. Personaggio brillante.
    A volte ci vorrebbe la macchina del tempo per rivivere certi periodi. Degli anni sessanta non ricordo nulla, avendone vissuto solo gli ultimi tre anni, ma immagino davvero che sia stato un decennio fantastico.
    Intereressante l'opinione di Shel sugli attori anglo-americani e sulla loro capacità di cambiare espressione, a differenza di quelli italiani. Però non si deve dimenticare che i vari Pacino, De Niro e c. sono di origine italiana. Addirittura anche Jack Nicholson ha sangue italico (il padre era un certo Donald Furcillo, con cui la madre sedicenne ha avuto un piccolo "flirt"). Sicuramente la scuola cinematografica americana è molto diversa dalla nostra. Io personalmente apprezzo molto di più quella anglosassone. Poi, de gustibus...
    Complimenti a Giuseppe per aver realizzato questa ottima intervista.

    Antonio Ognibene

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  3. Bella intervista. Bei ricordi. Belle speranze. Da elogiare!!
    Vittorio

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