Perché l’Inquisitore Eymerich ha avuto, e
continua ad avere, tanto successo?
Verrebbe subito da rispondere:
perché è un personaggio assolutamente intrigante, che ci introduce in un mondo
tenebroso ed avvincente, denso di mistero, e ci porta con mano a vivere
avventure in qualche modo compromesse con l’affascinante storia medioevale. E
noi, figli di questo tempo postmoderno, stressati, preoccupati, spesso privi di
gioia, ci sentiamo attirati dall’arcano, ci lasciamo facilmente sollecitare
dall’horror e dalle meraviglie fantascientifiche. Dopotutto, la paura fittizia
distrae dall’angoscia reale. Fuga l’ansia, in qualche modo, divertendo.
È dunque un personaggio di puro
intrattenimento, questo Eymerich?
Con un superficiale e istintivo giudizio
si potrebbe rispondere affermativamente. Eppure mi sembra riduttivo giungere
alla conclusione che il ciclo dell’Inquisitore Eymerich sia l’ennesimo caso di
una fortunata formula di letteratura passatempo. Questo lo affermo con
convinzione, soprattutto dopo la mia ultima lettura nel campo: Il castello
di Eymerich. Dove la solita erudizione storica, appunto, si accompagna
all’osservazione della società ebraica medioevale e della Cabbalah.
Non dobbiamo dimenticare che Valerio
Evangelisti è uno storico. Ha scritto saggi e volumi di storia. Solo in seguito
si è dedicato alla narrativa, senza abbandonare il suo interesse primario,
anzi, facendo di esso il custode del suo mondo immaginario. Infatti, un inquisitore
di nome Eymerich è veramente esistito. Si dice che un domenicano con questo
nome bazzicasse effettivamente le contrade spagnole e francesi nel XIV
secolo. Certo, non viveva le avventure
del personaggio di Evangelisti, probabilmente non aveva lo stesso carattere.
Insomma di lui sappiamo poco o niente.
Ma veniamo al nostro. In un mondo
assolutamente riconoscibile, nell’atmosfera di quel XIV secolo (la storiografia
ci dice che fu un periodo inquieto, terribile, e davvero, per certi versi,
tenebroso), sul transitare del medioevo verso l’età moderna, si muove un
arcigno, deciso e dotto domenicano, il quale si definisce nemico giurato del
maligno e paladino di Santa Romana Chiesa. E fa bene il suo mestiere. Combatte
le forze demoniache sotto qualsiasi forma (o assenza di forma) appaiano.
Frequenta le corti (anche quella papale di Avignone), si misura con ottusi
colleghi, incontra gente di ogni specie. Insomma appare là dove la sua presenza
è richiesta. E allora agisce con prontezza, non esita a punire nel nome di
quella Verità di cui si sente umile e solerte servitore. Manda al rogo, senza
pietà, tutti coloro che hanno fatto mercimonio con Satana.
Eppure Eymerich esercita su di noi un
indubbio fascino, riscuote anche una certa simpatia. E qui, a mio modesto
avviso, sta il vero indizio del suo successo. Eymerich si muove, come dicevamo,
in un mondo storicamente ben delineato; è spietato ma intelligente,
inflessibile contro il male in nome di quell’ordine che i medioevali
vagheggiavano nella Città di Dio. E si dimostra altresì furioso contro la
menzogna e la corruzione, contro la meschina insidia del malvagio. Alla fine si
trova ad aiutare i più deboli che sono le vere vittime del sopruso. Ma lo fa
senza sentimentalismo, in modo assai ruvido, rimanendo sempre,
incrollabilmente, attaccato alle sue arcaiche convinzioni (che per i tempi
ancora arcaiche non erano, pur profilandosi l’alba dell’umanesimo).
C’è in Eymerich un’inestinguibile sete di
ordine. Ed è una sete che in fin dei conti abbiamo anche noi contemporanei, che
ci muoviamo nel labirinto di una realtà che non riusciamo più a controllare.
Vogliamo che qualcuno metta un po’ d’ordine, appunto, e lo faccia soprattutto
in nome della giustizia e della ragione. Vorremmo un mondo aggiustato, insomma.
Ma poi ci accorgiamo che questa è un’illusione, che il mistero comunque ci
assedia. E mi sia consentito: siamo assetati di verità, in un mondo che si è
del tutto votato al relativismo.
Ecco perché Eymerich ci piace. E bravo
Evangelisti che ce lo ha regalato. Come ci ha regalato altri indimenticabili
personaggi che emergono da altre nicchie della storia: dal Middle West un po’
cupo di Antracite, al Messico inquieto de’ Il collare di fuoco.
Nell’apprestarci a leggere la sua ultima
avventura, sentiamo quali sono le parole con cui ne chiude una precedente.
“Du Guesclin sembrò riflettere, quindi
disse, semiserio: - Siete davvero un uomo terribile. Eppure Leonor, che ormai
si crede un angelo, non faceva che invocarvi… Ditemi, cosa si prova ad amare un
angelo? – Eymerich fece una smorfia. – Non lo so e non lo voglio sapere. Ho
molta più familiarità col diavolo.- “
Caro Giuseppe, come te sono un grande ammiratore e appassionato delle storie fantastiche di Eymerich, per quanto l'inquisitore sia un tantino intransigente, per non dire crudele in certe suoi modi di essere. Da appassionato di racconti e romanzi western ho letto anche Antracite e Il collare di fuoco, ma, sinceramnente, mi sono piaciuti un po' meno: poco avvincenti.
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