Adesso
ho paura
Vorrei
telefonare a casa, ma temo che al mio numero risponda un estraneo. E
non so se riuscirei ad affrontare un altro shock.
Che
cosa mi è capitato?
Non
sono in grado di fornire una spiegazione. Tutto è derivato da
quell’amplificatore per chitarra basso.
Scrivendo
queste righe, riuscirò almeno a mitigare l’angoscia che mi
attanaglia? Ho i miei dubbi.
Mi
trovo in un bar, a cento metri dal teatro. Fino a ieri si chiamava
“Il tulipano”; oggi, sopra l’ingresso c’è l’insegna “Beat
generation”. Mi sembrava uno di quei locali dove si gioca la
schedina e si parla di calcio, ma ora mi appare come un luogo un po’
eccentrico, frequentato soprattutto da ragazzi beat con i capelli
lunghi.
Sono
un tecnico al seguito dei Rokes. Mi occupo dell’impianto voci e
dell’amplificazione.
Questo
pomeriggio ero con loro, nel teatro dove facevano le ultime prove.
Domani sera li aspetta il grande debutto all’Ariston. Eseguiranno
la loro ultima canzone: “Bisogna saper perdere”.
Uso
il futuro, ma dovrei esprimermi con il condizionale. Non sono più
tanto sicuro che ciò avverrà, almeno non come è stato programmato.
Shel,
Bobby, Johnny e Mike erano piuttosto nervosi, questo pomeriggio. Era
sorta una discussione tra loro se dovessero eseguire un colpo di
tacco sincronizzato durante il ritornello. Era di grande effetto,
anche a me piaceva, ma Johnny non era d’accordo. Poi si è messo di
mezzo il rappresentante della casa discografica e tutto è stato
appianato.
Stavano
cominciando a suonare quando si è verificato un inconveniente
all’amplificatore a cui era inserito il basso di Bobby.
- Non
è niente – ho detto. – Ci deve essere qualche contatto.
- Dài
Arturo, tu sei un mago dell’elettricità – mi ha incoraggiato il
bassista dei Rokes.
Stavo
procedendo nel mio lavoro, quando sono stato investito dalla scarica.
E
così mi sono trovato su un logoro divanetto, dietro le quinte.
Shel
era chino su di me.
-
Tutto bene? – mi ha chiesto.
Ciò
che subito mi ha colpito è stato il maglione che indossava: bianco,
sopra un paio di calzoni a quadrettoni. Prima del mio svenimento era
vestito in tutt’altro modo.
Feci
un gesto con la mano per comunicare che mi sentivo meglio.
- Non
c’è bisogno di chiamare l’autoambulanza – ha detto un mio
collega, fiducioso.
Stavo
meglio, infatti. Si era trattato di uno shock che sembrava non avere
lasciato alcuna conseguenza.
Qualcosa
invece non andava nella realtà che mi stava intorno.
Quando
mi sono alzato dal divano e sono tornato sul palco, i Rokes stavano
iniziando un’altra esecuzione di prova.
Il
mio collega aveva messo a posto tutto.
- È
stata una scarica anomala, forse per questa spina un po’ allentata.
L’ho cambiata, adesso tutto andrà bene.
Ho
visto i quattro musicisti prendere posizione.
-
Quello chi è? – ho chiesto al mio compagno di lavoro, indicando il
ragazzo con la zazzera bionda seduto alla batteria.
-
Brian… Brian Rendell, il batterista dei Rokes.
No,
quello non era il percussionista del celebre quartetto.
- E
Mike? – ho chiesto, stralunato.
Il
collega mi ha guardato con espressione strana.
-
Mike Shepstone è morto l’estate scorsa, in un incidente stradale.
Ho
avuto una specie di capogiro e mi hanno riportato sul divano.
Sono
riuscito ad ascoltare la canzone con la quale i Rokes parteciperanno
al Festival di San Remo, domani sera. Non la conosco. Si intitola
“Lascia che ti veda un’altra volta”.
Per
evitare di essere portato in ospedale, ho fatto finta di nulla e ho
terminato il mio lavoro senza altre domande.
Adesso sono qui, seduto a questo tavolo del bar “Beat generation”,
con un block-notes e una penna.
Ho
paura.
Davanti a me, c’è la cabina telefonica. Vorrei telefonare a casa,
ma non ho la forza di muovermi.
Poco
fa mi si è avvicinato il cameriere e mi ha chiesto:
-
Vuole un “beat-waterfull”, come le altre sere?
L’ho
guardato dal basso in alto. Non ho mai sentito quel termine.
-
Che cos’è?
- La
nostra specialità in fatto di aperitivi.
Di nuovo i Rokes, di nuovo un bel racconto.
RispondiEliminaQuello delle dimensioni parallele è un argomento che da sempre mi ha affascinato.
RispondiEliminaL'unico "problema" del tuo racconto è... che si tratta di un racconto.
Perché arrivando in fondo vorresti continuare a leggere per altre duecento pagine come va a finire.
Ma è anche il fascino del racconto, che lascia spazio alla fantasia di portare a termine la storia.
Grazie per questo bel racconto.
Massimo Licari
Ho inserito il mio commento e il sistema mi ha chiesto: dimostra di non essere un robot, invitandomi a digitare un codice di cinque caratteri.
RispondiEliminaA questo punto sono andato in loop e sono rimasto fermo davanti alla richiesta per tre ore, non sapendo come comportarmi.
Dovevo continuare digitando il codice o lasciar perdere?
Perché io sono un robot serie Quantum prodotto dalla Future Inc.
Perché questa discriminazione nei confronti dei robot?
Electro Joe
Caro Max, tutto questo accade nel mondo del fantastico, e, guarda caso, siamo, appropriatamente, nel blog di Letteratura Fantastica: luogo di mostri, zombie e di... robot.
RispondiEliminaForse un po' lo siamo per davvero: robot, intendo. (Chi potrebbe negarlo?)
Molto bello il tuo commento, come bello, ovviamente, il racconto dell'amico Giuseppe. Come vorrei che Shel (Shapiro) sapesse della sua enfatica ammirazione per i Rokes e la loro musica!
Ma forse lo sa!
Certo che lo sa, Paolo! Ha già avuto modo, l'anno scorso, di inviarmi su FB dei suoi apprezzamenti. Sì, perché pibblicai su FB alcuni brevi raccontini (non del genere fantastico) che potrebbero essere raccolti con il titolo: "Cantavamo e ballavamo con i Rokes". Ma feci leggere, in quel contesto, anche i due del genere fantastico che ormai conosci e che sono presenti sul blog. Ma c'è di più. Nel gennaio 2012 intervistai Shel per telefono in quanto avevo pubblicato su Strepitesti (blog oggi chiuso)la recensione del suo libro "Io sono immortale". E' una persona squisita,aperto agli altri, impegnato in campo culturale e politico in senso lato.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Un ammiratore di Shel lo sono anch'io, come lo ero (e lo sono tuttora) dei Rokes e delle loro canzoni. Che bel colpo sarebbe se ti riuscisse, Giuseppe, di avere, per LETTERATURA FANTASTICA, un raccontino o un qualsiasi scritto di Shel (ormai anche scrittore e intellettuale): sarebbe, a dir poco, magnifico. Ma, sicuramente, è impossibile.
RispondiEliminaDi impossibile c'è solo che l'uomo partorisca. Il racconto così pubblicato su LF l'ho spedito anche a lui. Se mi risponde con un commento, lo invio subito.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Posso ormai dire di essere un estimatore dei racconti di Giuseppe.
RispondiEliminaMi piacciono poi le storie di salti nel tempo o in altre dimensioni.
Un racconto molto bello dall'ormai inconfondibile stile di Giuseppe Novellino.
Antonio Ognibene
Grazie a tutti per i vostri stimolanti commenti!
RispondiEliminaGiuseppe Novellino