Un gioco troppo pericoloso
L'ampia fascia di spazio intergalattico era libera da polveri e detriti,
un vuoto perfetto.
A rompere l'equilibrio di questo scenario monotono, era una macchiolina
dalla bizzarra forma di squalo.
L'astronave della Benson & C. appariva come un placido bestione
arrugginito che vagava alla cieca e fuori rotta, nei pressi di Yakootah, una stella di classe F dal colore
bianco-giallastro.
La vernice della fiancata destra del cosmocargo era ammaccata e piena di
bolle, causate dai colpi incessanti dei cannoni a raggi Beam che ne avevano
surriscaldato le lamiere. Uno sfregio lasciato poco prima dell'abbordaggio da
parte di una nave predatrice randyriana.
La zona MY24 era conosciuta anche come Deserto Nero, nome affibbiato dai quei pochissimi cosmonauti che vi
transitavano.
Sul lato della carlinga danneggiata, erano appena visibili il numero 56
rosso stampigliato vicino al muso, e la stella dello stesso colore marcata
sulla pinna di acciaio.
Dei cavi penzolavano nel vuoto da sotto la pancia, come tentacoli privi
di vita.
I pirati che l'avevano ridotta in quel modo adesso erano lontani milioni
di chilometri, forse in direzione di Lybor V, a smerciare di contrabbando il
platino depredato e sperperare il denaro in compagnia di donne kubyrre e a
trangugiare othos fermentato. Sul cargo avevano lasciato pochi container pieni
di razioni HPL e un centinaio di morti.
Questo successe circa venticinque anni prima.
Ma non tutti perirono in quella carneficina.
* * *
Nel magazzino viveri, una giovane figura femminile se ne stava
accovacciata dietro una porta scorrevole chiusa. Imbracciava un fucile a raggi
Beam LS60.
“Quest’attesa mi fa venire il mal di pancia,” pensò mentre si torturava
con i denti il labbro inferiore. “Dovrei andare al bagno.”
Aveva i capelli castani rasati quasi a zero e due occhi blu che
spiccavano sulla carnagione pallida.
Ogni tanto appoggiava l’orecchio alla fredda paratia di metallo,
trattenendo il respiro. Sentiva i battiti del cuore pulsargli nelle tempie.
Dietro la porta c’era un lungo tunnel che scorreva per circa duecento
metri come un budello nella pancia dell’astronave. Terminava con un incrocio
che portava in vari locali.
Nella semioscurità del deposito, proprio di fronte alla porta dove se ne stava
rannicchiata Alyson 67, c’era un secondo passaggio che portava alla sala
macchine. Ma l’apparato di propulsione dell’astronave era stato messo fuori uso
dai pirati e non funzionava più da anni. La ragazza era sicura che il nemico
non sarebbe passato da lì.
La maglietta bianca e sporca della giovane aveva delle vistose chiazze di
sudore sotto le ascelle, ogni tanto prendeva l’estremità dell’indumento per
asciugarsi il sudore dalla faccia. Anche se i motori non funzionavano il
riscaldamento era assicurato tramite pannelli solari montati sopra la parte
posteriore del cargo.
A volte lei si appoggiava il fucile sui jeans per far riposare le
braccia. Nella stanza si sentiva solo il suo ansimare e lo sfregamento delle
suole di gomma delle scarpe da ginnastica contro il pavimento di linoleun.
“Diavolo, arriva o no?”
Restò ancora in silenzio, con l’orecchio incollato come una ventosa sulla
parete.
“Forse ci siamo... credo.”
Si udivano dei battiti leggeri ma decisi e insistenti, sul pavimento di
ferro grigliato del tunnel.
Alyson trattenne ancora il fiato.
“Non può essere lui.”
Lo strepitio era troppo debole. Lei sapeva che sulla nave c’erano molti
topi, e stava attribuendo quello scalpiccio proprio a qualche roditore in cerca
di cibo.
Seguirono degli incessanti gridi acuti, interrotti da uno scricchiolio
come di piccole ossa rotte.
“Si sta mangiando i topi!” disse con una smorfia di disgusto.
Per un attimo che le sembrò infinito, non sentì più nulla, ma restava con
l'orecchio appiccicato alla porta.
Dalle lamiere metalliche del pavimento salì un rumore crepitante, come se
qualcosa di grosso si stesse avvicinando con calcolata cautela.
“è lui,” pensò. “Stavolta è
lui.”
Nel tunnel la luce tremolante dei neon rifletteva strane e grottesche
ombre su pareti e soffitto.
Sentiva in modo chiaro graffiare sul metallo esterno della porta, come il
rumore delle unghie sulle lastre di ardesia delle vecchie lavagne.
Alyson si turò
un orecchio con un dito, strinse per un attimo gli occhi e serrò i denti.
“Devo rimanere concentrata,” pensò.
La giuntura tra le due porte
scorrevoli sembrò spostarsi in modo millimetrico.
Tolse la sicura all’LS60.
“Vuole forzare la porta con gli
artigli.”
La ragazza si alzò in piedi. Vedeva l’anta di metallo sollecitata da uno
sforzo esterno.
I crampi allo stomaco aumentarono.
Sentiva solo l'odore acre del proprio sudore.
Lo sguardo si fermò sulla pulsantiera di un dispositivo touchscreen,
installato su una colonna alla sinistra dell’entrata.
Sopra il pannello alfanumerico c’era un rettangolo luminoso rosso con una
frase scritta in caratteri bianchi: Digitare il codice di accesso.
Alyson pigiò sullo schermo tattile una serie di numeri e lettere.
- Vieni a prendermi, bestione! – disse a denti stretti, poi si allontanò
di qualche passo dall’ingresso.
Le ante della porta si aprirono con un sibilo.
Entrò una ventata di aria calda, seguita da un odore intenso e
sgradevole, come di cibi andati a male.
La ragazza emise un urlo selvaggio e fece fuoco, ma il raggio azzurrino
non colpì nulla e si smorzò nell'aria. Davanti alla giovane donna non c’era
nessuno, solo un lungo corridoio vuoto.
- è impossibile! – disse –
Era dietro la porta, l’ho sentito.
Il petto le si muoveva in su e in giù.
Doveva avvicinarsi alla colonna per richiudere la porta.
Gocce d'acqua precipitavano dai tubi posti sul soffitto, giù nella
pavimentazione con un irritante blip,
blip, formando un torrente stagnante sotto la grata di acciaio.
Aly avanzava a piccoli passi. Rivoli di sudore le colavano dentro gli
occhi, dandole un fastidioso senso di bruciore.
Teneva l’arma puntata verso l’apertura. Bastava premere un solo pulsante
per chiudere l’entrata.
Il bagliore blu della pulsantiera le illuminava il dito indice, a una
decina di centimetri dal tasto di chiusura.
Il braccio scattò verso il touchscreen ma prima che potesse premere il
pulsante, una creatura verde e squamosa si staccò dal soffitto e atterrò
davanti a lei, colpendola con una zampata.
Zaff!
Alyson fece un volo all’indietro e rotolò sul pavimento per tre o quattro
metri. L’LS60 finì sotto un armadietto di acciaio.
Aveva ancora le gambe per aria quando guardò il gigantesco lucertolone
avanzare verso di lei.
La parte ventrale dell'alieno era un fascio di muscoli tendente al giallo
ocra. L'essere ondeggiava la testa in modo lento, a destra e a sinistra.
La ragazza si toccava la schiena e con una smorfia tentava di rialzarsi.
Il sorriso del mostro era ipnotizzante, estrofletteva la lingua biforcuta
e minacciosa tra i denti simili a migliaia di aghi; in questo modo poteva
raccogliere le molecole olfattive presenti nell'aria e analizzarle, considerato
che la vista non era il suo forte.
Alyson riuscì a mettersi a sedere. Le arrivavano improvvise zaffate di
marcio, come se l'orribile creatura avesse appena fatto colazione con un piatto
di spazzatura.
- Che schifo! - disse, pensando al fiato del rettile.
- Diavolo, Creech! - urlò verso il mostro.
- Troppa veemenza? - chiese il sauropode con una smorfia di
rincrescimento.
Le scappò un’imprecazione.
- Tu che ne dici?
Il mostro si grattò la testa con gli artigli ricurvi.
- Scusami Aly, ti sei fatta molto male?
- No, tranquillo è già passato. – disse alzandosi e dirigendosi verso il
fucile.
- Mi dispiace davvero. – continuò Creech, guardandola raccogliere l’arma.
- Ma l’avevi settata in modalità uno? – chiese poi.
- Certo –
rispose lei – Mi credi così idiota da ucciderti? – disse.
- Con chi giocherei, poi? – continuò dando una pacca con la mano
sull'avambraccio muscoloso di Creech. Lei gli arrivava sì e no poco sotto il
petto.
Le pupille da rettile del suraniano si ridussero a due capocchie di
spillo.
- Lo rifacciamo, Aly? – La fila di denti sottili spiccavano in quella
bocca priva di labbra.
Alyson si stava massaggiando con le mani la zona dei reni.
- Ti eccita, eh? - disse lei con un sorrisetto ironico.
- Dai Aly, prima di cena! - insistè.
- No, Creech – replicò la ragazza. - Basta. Sta diventando un gioco
troppo pericoloso.
La sinuosa linea dell’astronave, sparì inghiottita nel gelido intenso
dello spazio.
Bel racconto di fantascienza! Un cordiale benvenuto ad Antonio Ognibene su LF-Letteratura Fantastica.
RispondiEliminaUn buon racconto, anche se lo vedo più come un prologo a un racconto più lungo o a un romanzo breve. La descrizione ambientale è particolareggiata, così come le sensazioni della protagonista.
RispondiEliminaInizialmente, lo confesso, mi è venuta in mente la Ripley di Alien.
Danilo Concas
Racconto di fantascienza davvero interessante, anche originale. Il mostro alla "Alien" si rivela alla fine qualcosa d'altro, ma non meno inquietante. Bella l'atmosfera spaziale, descritta con efficacia in modo da coinvolgere pienamente il lettore.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Grazie per i vostri commenti. Felice di essere su LF.
RispondiEliminaAntonio Ognibene