Non
mi piace essere svegliato alle cinque del mattino da qualcuno che
suona alla porta. E mi piace ancor meno se il campanello, invece del
solito “Driiiin”, si mette a fare “Miao! Miao! "
- Ma
che cavolo… Arrivo!
Guardo
dallo spioncino. Nessuno. Esito ad aprire la porta, sia perché sono
in mutande, sia perché potrebbe essere un ladro. Non mi andrebbe di
essere derubato senza vestiti addosso.
Mi
accerto meglio. Non c’è proprio nessuno. Ma ecco che il campanello
riprende: “Miao! Miao!”
Apro
di scatto la porta e mi trovo davanti un nano in salopette rosa con
il dito allungato verso il campanello.
“Dio
com’è brutto” è il primo pensiero che mi salta in mente. Se si
fosse trovato nella storia di Biancaneve, la ragazza avrebbe
preferito farsi strappare il cuore dal cacciatore piuttosto di averci
a che fare. Il nano però non mi dà il tempo di riordinare le idee
che m’incalza:
- Su,
si sbrighi. Siamo già molto in ritardo. Voi Tuttigiorni ve la
prendete sempre comoda. Ma vedrà! Vedrà! – e così dicendo il
nano agita il suo ridicolo ditino nell’aria.
Vorrei
dirgliene quattro a questo sgorbio barbuto (non vi avevo detto che
era barbuto? Beh, ve lo dico ora: ha una barba fitta che gli nasconde
il pisello. Infatti è tutto nudo, una versione maschile e ridotta di
Lady Godiva, E la salopette? Quella non c’è, infatti mi accorgo
adesso che la salopette rosa è solo dipinta).
Ma
torniamo al dirgliene quattro. Comincio con:
- Ma
perché cavolo il mio campanello s’è messo a far miao?
- Oh,
che domande… Il 31 aprile tutti i campanelli fanno “miao”. Non
vi basta averli costretti a fare “drin” tutto il resto dell’anno?
Forza, si spogli che andiamo.
- Si
spogli?
-
Certo, non vorrà uscire in mutande, spero.
- Io
non esco nudo!
- E
allora s’infili la mia salopette. Tenga.
Il
nano si stacca la salopette (dipinta, ricordate?) e me la porge.
Adesso è una salopette vera e anche della mia misura. Vorrei
chiedere al nano come è possibile che ne abbia ancora una dipinta
sul corpo dopo avermela data, ma ci sono altre cose più urgenti da
appurare. Purtroppo non ne ho il tempo.
-
Forza, andiamo! Vuole che vengano a prenderla? – mi sollecita
ancora il nano.
-
Andiamo dove? Chi deve venire a prendermi? Come può essere che oggi
sia il 31 aprile? - sparo queste domande a raffica, ma il nano,
sempre più agitato mi prende per la salopette e mi strattona fuori
di casa esclamando:
- Non
c’è tempo, non c’è tempo! Andiamo!
Non
sono certo il tipo da farsi trattare in questo modo e, alzando il
mento in un gesto di orgoglio, annuncio:
- Io
non esco di casa senza aver bevuto il mio caffè!
Il
nano si fa tutto rosso, poi cede.
- E
va bene, ma si sbrighi.
Prendo
la caffettiera sui fornelli, una moka italiana autentica. Dovrebbe
essere rimasto del caffè e controllo alzando il coperchio. Dentro la
caffettiera un grosso occhio mi guarda e ammicca. Chiudo la
caffettiera.
-
Andiamo, sono pronto – dico al nano.
Scendiamo
le scale e ci troviamo in strada. Quattro tizi in divisa e dalla
faccia cattiva mi puntano addosso fucili del ’18 con tanto di
baionetta.
- È
lui – dice l’unico dei quattro che porta un berretto da capitano.
- È
lui – ripetono gli altri tre con la faccia ancora più cattiva.
-
Sono io – balbetto con un filo di voce.
Il
nano è proprio arrabbiato:
-
L’avevo detto che sarebbero arrivati. Adesso sono guai, caro mio
Tuttigiorni!
Il
capitano si pone a gambe larghe davanti a me con un’aria da
tiraschiaffi. Con un calcio potrei farne una frittata delle sue uova,
ma probabilmente sarebbe l’ultimo gesto della mia vita.
- Mi
dia subito il suo codice a barre. È meglio per lei.
Vorrei
informarmi meglio su quello che succede se uno non dà il suo codice
a barre, ma il cipiglio del capitano mi scoraggia. Così rispondo
esitante:
- Mi
chiamo Ern… - non riesco a finire la frase. Il capitano strilla!
- Che
cazzate sono queste? Le ho forse chiesto di dirmi il suo nome? Vuol
prendermi in giro?
Guardo
smarrito il nano, che pone una mano a lato della bocca e mi sussurra:
- Il
suo nome da Tuttigiorni qui non frega niente a nessuno. Il capitano
vuole il codice a barre
che
le hanno assegnato quelli della ditta Mangimi & figli.
- Ma
io non ce l’ho.
- Un
brutto guaio, vediamo se riesco a convincere il capitano.
Il
nano s'allontana di qualche passo con il poliziotto e i due discutono
animatamente per un po’. Mi tremano le gambe dalla paura perché
sono ancora sotto tiro dei ’18. Quando il nano ritorna appare
abbastanza soddisfatto.
-
Bene, abbiamo tre ore per procurarci un codice dalla Mangimi e figli.
Speriamo di fare in tempo, altrimenti la pratica passa alla Corone
funerarie s.p.a.
Non
credo che il passaggio alla Corone funerarie s.p.a rappresenti per me
un miglioramento, pertanto m’informo presso il nano:
-
Dove si trova la Mangimi e figli?
- E
chi lo sa – risponde tranquillo il nano. – Se le piace possiamo
prendere il viale qui a destra.
Sto
per replicare con una parolaccia, ma mi trattengo. Preferisco
indagare su altro. C’incamminiamo lungo il viale di destra e dopo
qualche passo pongo la domanda che mi sta a cuore.
- Ma
lei chi è e perché è venuto a casa mia?
Il
nano si stringe nelle spalle.
- Che
domanda strana. Sono un nano. C’è sempre un nano che suona alla
porta il 31 aprile. Qualche volta alle cinque del mattino, qualche
volta alle sette di sera. Non c’è una regola fissa.
- Ti
pareva – borbotto tra me, ma il nano ha udito.
- Ma
insomma! La sto aiutando, potrebbe essere più gentile, no? –
esclama furibondo.
Questa
volta sbotto:
-
Porca ciminiera! Basta prendermi per i fondelli! Lo sanno tutti che
il 31 aprile non esiste!
-
Certo che non esiste! – grida a sua volta il nano fuori di sé. –
Nemmeno io esisto, se è per questo. Ma lei, lei… vuole toglierci
anche il diritto di provarci?
-
Provarci a far che?
- A
esistere, naturalmente. Noi viviamo nel 31 aprile, ma voi Tuttigiorni
vi siete presi l’intero calendario e così ci avete spediti nel non
essere.
-
Santo cielo! Ma che siete, una specie di sogno? Ah, ecco. Ho capito!
Sto sognando. Menomale, temevo già il peggio.
Il
nano mi guarda con aria afflitta.
-
Magari fossimo un sogno. Almeno ai sogni avete concesso un po’ di
esistenza, ma a noi… - Poi guarda il cielo e aggiunge: - Nemmeno
lassù ci vogliono bene. Bastava che stabilissero l’anno di 366
giorni ed era tutto a posto. Anche noi creature quasi esistenti
avremmo avuto un nostro tempo. E invece no. Il
trecentosessantaseiesimo giorno è stato concesso solo agli anni
bisestili e per di più alla fine di febbraio. Non siamo stati
trattati troppo bene.
-
Già, è vero – concordo. Il nano mi fa un po’ pena.
- Ma
non deve credere che ce ne stiamo con le mani in mano noi del 31
aprile – riprende infervorandosi. – Noi ci sforziamo in
continuazione di esistere, sa? E che lavoro! Che impegno! E a volte
ci riusciamo.
Cammino
con la testa china e piena di pensieri confusi. Il nano tace e
anch’io. A un tratto alzo la testa e l’insegna mi si para
davanti, grande e luminosa: MANGIMI & FIGLI.
- Che
fortuna, siamo già arrivati! – esclamo.
- Non
c’è da stupirsi – replica il nano. – Il 31 aprile tutte le
strade conducono alla Mangimi & figli.
Mi
avvicino al grande portone d’ingresso che un portiere spalanca con
sussiego.
-
Prego, entri. La stanno aspettando. Però è meglio che non passi di
qui. Entri dalla porta alla sua destra.
Guardo
la porta, c’è l’etichetta W.C. Sono i gabinetti pubblici e non
ho voglia d’infilarmi là dentro, così me ne infischio del
portiere e proseguo dritto lungo il corridoio principale. C’è
un’altra porta, l’apro. E mi trovo in strada, esattamente davanti
al portone d’ingresso.
-
Gliel’avevo detto – mi redarguisce il portiere. – Perché non
mi dà retta?
Io e
il nano oltrepassiamo la porta del WC e ci troviamo davanti altre due
porticine, una a destra con la targhetta recante la scritta “uomini”,
e l’altra a sinistra con scritto “nani”.
Ci
dividiamo, il nano entra a sinistra e io a destra, ma ci troviamo in
uno stesso corridoio al quinto piano.
-
Deve cercare l’Ufficio Codici e Parenti – dice il nano. – Vada
lei, io l’aspetto qui.
Lungo
il corridoio ci sono tante porte che conducono ad altrettanti uffici.
È tutto molto ordinato e le targhette molto chiare: “Ufficio per
Azioni di testa”, “Ufficio Deleteri”, “Ufficio Quindici”…
Sto
girando da circa un’ora e continuo a incontrare uffici con nomi
sempre diversi: “Ufficio Giaculatorie”, “Ufficio Va”,
“Ufficio”… Finalmente vedo una porta recante la scritta
“Ufficio Informazioni”. L’apro. Ci sono tre grossi bruchi
seduti a un tavolo che giocano a carte. Richiudo la porta. Nelle
successive tre porte incontro: il bidello di quando andavo alle
elementari che, come allora, non sa nulla, un acquario con i pesci e
infine un giovanotto del 30 febbraio che ha sbagliato giorno.
Proseguo
ancora e la mia costanza è premiata. Finalmente trovo la porta con
la scritta: Ufficio Codici e Parenti.
Busso.
-
Avanti! E si sbrighi.
Entro
e vedo il nano alla scrivania. Indossa un paio di occhiali e consulta
un grande schedario che occupa tutto il ripiano.
-
Dovevo immaginarlo – sospiro. Poi ho due alternative: arrabbiarmi
di brutto o parlare gentilmente. Preferisco la prima possibilità.
Avanzo fino alla scrivania con la mia irresistibile cavalcata
dell’incazzato. Stringo i pugni e li sbatto con forza sullo
schedario, gridando:
- Ma
che piffero ci fai qui? Nano della malora!
Il
nano non si scompone. Sputacchia sulle mani e si lava la faccia.
-
Ovviamente fornisco i codici a barre, come c’è scritto sulla
porta. Lei è un Parente?
Mi
siedo per terra, prendo la testa tra le mani e mi metto a piangere.
Il nano s'impietosisce, non è malvagio. Mi s’avvicina e mi asciuga
le lacrime con un fazzoletto.
- Su,
non faccia così – sussurra con voce soave – tutti prima o poi
ricevono un codice a barre, no? Però mi par di capire che lei non è
un Parente e la cosa si complica.
Tra i
singhiozzi balbetto:
-
Già… pe-perché adesso è tutto troppo semplice...
- Sa
che facciamo? – prosegue il nano. – Andiamo giù al bar e ci
facciamo un cappuccino. Quando la pancia è piena tutto appare più
roseo.
Si
alza e si dirige alla porta. Lo seguo come un automa. In strada non
ci sono bar, ma questo me l’aspettavo.
-
Accidenti! – esclama il nano con evidente disappunto. – Cesare
non ce l’ha fatta a esistere.
- Chi
è Cesare? Domando con un filo di voce.
- È
il padrone del bar, ovviamente. - Poi si guarda il polso come se
avesse un orologio e aggiunge: - Ah, s’è fatto tardi, devo proprio
andare. Ci vediamo la prossima volta. Intanto lei si procuri un
codice a barre. Addio!
Così
dicendo mi gira la schiena e vedo il suo culetto allontanarsi veloce
lungo la via.
- Ma
… ma io che faccio qui? – protesto.
Il
nano s'arresta, si volta e mi guarda con aria stranita:
- E
come faccio a saperlo io? Per quanto mi riguarda la storia finisce
qui.
-
Finisce qui? – poiché la scrittura dei punti interrogativi
accompagnati da punti esclamativi non sono ben visti da queste parti,
devo specificare che la domanda la urlai con due punti interrogativi
e otto esclamativi. Poi metto le mani a coppa davanti alle labbra e
grido: – Ma che diavolo! La storia sarebbe finita qui? Che finale
è?
Il
nano s’infuria a sua volta.
- Che
finale è, che finale è... Oh, la fate facile voi Tuttigiorni! Voi
che vi siete accaparrati l'intera esistenza! Accidenti! Con tutta la
fatica che abbiamo fatto per esistere volete anche che la
storia
abbia un finale? Prepotenti ed egoisti!
Detto
ciò prese a correre lungo la via con le sue gambette storte e presto
scomparve alla vista, lasciandomi tutto solo, nel mezzo del 31 aprile
e con una storia scritta a metà. Vi pare bello?
Bel racconto. Piacevole lettura.
RispondiEliminaDivertente e scritto molto bene. Complimenti! Mi è piaciuto anche il tono da metaracconto che rende assai viva e coinvolgente la narrazione.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Bello e ironico. Dal timbro astratto. Scritto da un'ottima penna.
RispondiEliminaAntonio Ognibene