martedì 2 luglio 2013

DU DU LALA LALA di Giuliana Acanfora


Era un pomeriggio d’agosto e io battevo parole a caso sulla tastiera del computer, in cerca di ispirazione per un racconto, quando un motivetto allegro irruppe dalla finestra aperta dello studio. Mi affacciai. Sul marciapiede di fronte, un uomo suonava l’organetto, incurante del sole che gli batteva sulla testa pelata e irregolare. La poca gente che camminava sfidando la calura, lo oltrepassava senza fermarsi e senza lasciare monete nel cartone ai suoi piedi. Nonostante questo, l’uomo continuava a suonare. Alzò il viso, intercettando il mio sguardo. Aveva gli occhi scuri venati di rosso, circondati da un reticolo di rughe e una barbetta rada gli ornava il mento. Sorrise e mi salutò con un cenno del capo, senza smettere di girare la manovella dell’organetto. Ricambiai il sorriso e tornai al computer. Arrivò l’ispirazione e scrissi una decina di cartelle di word senza interruzione. Quando misi la parola fine al racconto mi alzai soddisfatto, canticchiando «Du du lala lala…»: il ritornello dell’organetto. Dalla strada non proveniva più alcun suono. Mi affacciai: l’uomo se n’era andato. Chissà per quanto tempo quel ritornello aveva accarezzato le mie orecchie. L’avevo escluso dalla percezione, preso dal sacro fuoco della scrittura, ma si era insinuato nel subcosciente. Magari era stato proprio quello a darmi l’ispirazione: prima di sentirlo stentavo a dare forma a un’idea, dopo erano arrivate come un fiume in piena. Su di giri, continuai a canticchiare.
Dopo una cena leggera e un film in tv, andai a letto. Di notte mi svegliai e mentre andavo in bagno iniziai a canticchiare: du du lala lala… Mi venne da ridere pensando a come certi tormentoni si annidano nel cervello, ma quando tornai a letto il buonumore si guastò, perché non riuscivo a scacciare il ritornello dalla mente e a riprendere sonno.
Al mattino era ancora lì. Mi accorsi di canticchiarlo mentre preparavo il caffè e quando zittii, continuò a risuonarmi nella testa. Telefonai a un amico, facemmo una lunga chiacchierata e quando finimmo: du du lala lala... Arrivai a maledire le ferie; al lavoro avrei avuto qualcosa su cui concentrarmi, invece non avevo impegni per tutta la giornata. Uscii a fare una passeggiata. I rumori della strada e il vocio della gente riuscirono a farmi dimenticare il motivetto, ma quando rientrai in casa: du du lala lala... Ascoltai altra musica, a volte un ritornello può scacciarne un altro, ma appena ritornò il silenzio il refrain dell’organetto si riappropriò della mia mente.
Uscii in strada e corsi come un pazzo per la città, in cerca del vecchio con l’organetto: a tratti pensavo di prenderlo a pugni e a tratti di supplicarlo di togliermi quel maleficio. Non lo trovai da nessuna parte. Col fiato corto e la maglietta incollata alla pelle per il sudore, mi sentii uno stupido. Passerà, pensai, devo solo cercare di non dargli importanza e smetterò di essere prigioniero di quel ritornello.
Non fu così. Se all’inizio concentrarmi su qualcos’altro serviva a escludere, almeno per un po’, il motivetto, in seguito nemmeno quello funzionò. Mentre scrivevo, leggevo, controllavo l’estratto conto, il refrain molesto si insinuava nel cervello e mi faceva perdere l’ispirazione, il segno, il conto. Niente più funzionava, neanche parlare con le persone. Il ritornello era sempre lì, un sottofondo continuo e ineluttabile. Guardandomi allo specchio vedevo una faccia stravolta, un’espressione folle e occhiaie profonde, giacché anche il sonno era interrotto dalla musica.
Una notte, al terzo risveglio, mi fu chiara la soluzione. Mi vestii, uscii di casa e camminai fino al ponte. Non c’era nessuno. Senza indugio scavalcai il parapetto e mi gettai nel fiume. Per istinto agitai gambe e braccia al contatto con l’acqua, poi mi arresi al vortice che mi tirava a fondo.
Dopo tanto, l’agognato silenzio!
Ero sulla riva, ma sapevo che il mio corpo giaceva in fondo al fiume. Quella che si godeva il silenzio era la mia anima. Nel buio si materializzò un tunnel di luce, ampio e profondo e mi incamminai fiducioso verso il mio destino. Man mano che avanzavo, la luce assunse una sfumatura rossastra e sul fondo intravidi una figura indistinta, che a poco a poco prese le sembianze del vecchio con l’organetto. Riuscii a distinguere, nell’irregolarità della testa pelata due protuberanze ai lati, come piccole corna. L’uomo sorrise e mi salutò con un cenno del capo. Girò la manovella dell’organetto e in quell’istante delle creature incorporee mi circondarono intonando un canto: du du lala lala…

3 commenti:

  1. L'altra mattina mi sono svegliato con in testa una vecchia canzone dei Rolling Stones (Paint it black). Ma il paragone con ciò che è avvenuto allo sventurato protagonista di questa storia è del tutto risibile. L'ossessione è durata solo un paio di ore e poi... non sono andato all'inferno.
    Qui invece è tutt'altra solfa. Si tratta di una vera chiamata agli inferi, un diabolico agguato che può benissimo stare al posto di qualsiasi malaugurato accidente che ci spedisce nell'aldilà.
    Il racconto si legge tutto d'un fiato, ti cattura fin dalla prima riga e non ti molla più. Con sapienza narrativa, l'autrice descrive tutti i passaggi di un'ossessione che poi si rivela di natura piuttosto soprannaturale. Con finale del tutto a sorpresa. Io speravo che il tizio andasse in Paradiso, o per lo meno in un Ade di tipo pagano, dove le anime si trovano riunite per farsi un lungo scopone che dura tutta l'eternità. Invece... La nostra Giuliana cattivella non gli dà scampo, mette il protagonista nelle mani di un diavolo che tra l'altro si rivela a poco a poco.
    Brava, bel racconto!

    Giuseppe Novellino

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  2. In questo periodo, mia figlia si è fissata con i cartoni animati dei Puffi e più volte al giorno in casa risuona il loro “infernale” ritornello (che fa proprio du du lala lala), al punto che mi ritrovo a canticchiarlo anche quando la tv è spenta. Da lì è nata l’idea del racconto :-D
    Grazie di averlo apprezzato.

    Giuliana Acanfora

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