La
sciagura e l’ossessione
Yosseph
Barouch non era certo una persona dal cuore leggero. Per lungo
tempo aveva covato un odio soffocato nei riguardi dei suoi simili, e
le ragioni di questo rancore erano ormai perdute nei meandri della
sua infanzia.
I
capelli di Yosseph erano precocemente incanutiti ed ognuno di essi
pareva andare un po’ per conto suo, dando alla sua testa l’aspetto
irto e spinoso di un roveto. Le sue mani erano lunghe e ben curate,
anche se non potevano nascondere un tremito, che però lui preferiva
imputare ai troppi caffè piuttosto che all’età avanzata.
Con
lui c’era il suo amico Avraham, un ometto pingue e calvo. Essendo
piccolo, Yosseph lo sovrastava di tutta la testa.
La
stanza in cui erano rivelava, in ogni suo particolare, le origini
ebraiche del proprietario. Simboli arcaici appesi alle pareti, un
grandissimo candelabro d’oro a sei braccia sul caminetto. E sulla
parete di fronte una libreria malinconica, ricolma di tomi polverosi,
dai colori sbiaditi, sicuramente molto antichi e dai titoli
inquietanti come Talmud,
Sefer yetzirà
o Zohar.
I
due uomini erano seduti su due poltrone, sicuramente vecchie e logore
quanto loro.
Avraham
si guardava intorno nervoso. Da sempre impressionato dall’aspetto
tetro di quella stanza e di quella casa, rigirava tra le mani un
bicchiere ormai vuoto.
«Quello
che vuoi fare è orribile, Yosseph,» trovò finalmente il coraggio
di dire. «In tutti questi anni ho sempre cercato di esserti amico,
anche se ora comincio a sospettare che da parte tua ci fosse solo
dell’interesse… Tu mi stavi vicino solo perché volevi che ti
cedessi il pezzo più raro della mia collezione di pergamene. Non
l’avrei mai fatto e lo sai, perché anche tu hai un poco lo spirito
del collezionista. Ma ora mi trovo in cattive acque…
«Me
ne dispiace…» disse freddamente Yosseph.
«Non
essere ipocrita…» lo fermò Avraham, che si stava infervorando.
«Non posso provarlo, ma ora credo che dietro le mie attuali
difficoltà economiche ci fossi proprio tu…»
L’altro
non mosse un ciglio e Avraham continuò: «Prima di venire qui, ero
anche rassegnato a cederti. Con la somma che mi offri potrei
ripianare i miei bilanci e rimettere in sesto i miei affari… Ma
ora, ora vedo cose che prima mi sfuggivano. Questi libri che prima
consideravo solo una sorta di palcoscenico sullo sfondo del quale tu
ti muovevi, ora mi parlano. E tutti insieme bisbigliano una sola
cosa, un nome perduto che non dovrebbe mai più essere pronunciato:
Golem!»
Detto
questo Avraham si accasciò, come sfinito, sulla sua poltrona.
Yosseph,
invece, con calma, si alzò dalla sua e si diresse alla libreria per
estrarne un volume, che non doveva essere molto antico, al massimo
dei primi dell’ottocento. Con pacatezza tornò al suo posto e glie
ne mostrò la copertina che riportava un titolo inequivocabile:
Golem.
«Una
bella edizione, ormai introvabile,» disse sfogliandone qualche
pagina. Poi ammise: «Hai ragione. Quella che ti chiedo di darmi non
è solo il capriccio di un collezionista, un manoscritto ingiallito
dal tempo… Come ora avrai certamente capito, su di essa è segnato
uno dei nomi di Dio. Il segreto dimenticato da secoli e che serve a
far vivere un golem… Pensa, Avraham, tu ed io… Insieme potremmo
dare la vita ad un pezzo di argilla, come fece Dio con il primo
uomo.»
«Ma
perché? Perché una cosa simile…?» chiese Avraham, quasi
accorato. «Che bisogno ne hai?»
Barouch
si alzò e fece qualche passo nella stanza, con gli occhi vitrei di
chi ricorda.
«Fin
dalla giovinezza, ho sempre sentito pesare su di me la meschinità di
questa vita. Tutti gli attimi che sprechiamo, occupati in atti
inutili e vili. Cibarci, dormire… riprodurci. Infinite incombenze
ricavate nel nulla di una vita senza scopo. Ma questo...
Questo
è sbirciare nello scrigno segreto riservato solo agli dèi. Questo
è realizzare ciò che ad ogni uomo fino ad ora è stato precluso.
Qualcosa che dà un senso, un brivido infinito…»
«Sei
pazzo! Ecco quello che sei,» si adirò nuovamente Avraham. «Non
pensi a Myriam, tua figlia? Lei si che meriterebbe tutte le tue
attenzioni.»
«Oh!
Quella…» rispose freddamente il suo interlocutore. «La
dimostrazione vivente di quanto ti ho detto. Volevo generare la vita,
ma ho sbagliato il sistema. Del resto cosa attendersi da un gesto
così… animalesco. Una bambina sorda e cieca. Cosa vuoi che
m’importi di lei…»
«Capisco,»
fece Avraham stravolto da questa rivelazione. «Sì, adesso capisco
che sei pazzo davvero. E piuttosto che dare in mano a te un potere
così grande, preferisco distruggerlo…»
Dicendo
questo, Avraham estrasse qualcosa dalla tasca e si diresse verso il
fuoco acceso. Era la famosa pergamena e le sue intenzioni erano più
che evidenti.
Nessuno
avrebbe potuto sospettare che Yosseph fosse ancora tanto forte e
veloce. In un istante aveva afferrato il polso di Avraham, per
impedirgli di distruggere l’oggetto che egli tanto desiderava. Con
l’altra mano invece lo colpì dietro la testa, con tanta forza che
questi cadde esanime.
Subito
fu sulla pergamena, antica ma ancora resistente. Per un attimo restò
a guardarla, incantato. I colori erano ancora vivi e una Stella di
Davide, di un sibillino color indaco, vi appariva in tutta la sua
gloria. Vicino ad ognuna delle sei punte si vedeva un simbolo nero,
mentre al centro, in rosso e nero, un’iscrizione che Barouch non
tentò neanche di tradurre. Sapeva che era l’agognato e segreto
nome di Dio.
A
quel punto mise l’oggetto sacro in un tascapane che si mise a
tracolla, per essere sicuro di tenerlo con sé.
Solo
a quel punto si interessò nuovamente di Avraham. Costui era
immobile, con la faccia a terra.
Yosseph
lo girò e con raccapriccio si accorse che la sua vittima aveva una
profonda spaccatura sulla fronte. Nella caduta, doveva aver battuto
la testa sul rialzo del caminetto, che, ad una più approfondita
immagine, si rivelò macchiato di sangue.
Fu
allora che nella mente di Barouch scattò qualcosa che covava da
molto tempo. Forse da quando era morta la moglie, in un brutto
incidente, o da prima, quando era nata Myriam, chiusa in quel suo
mondo impenetrabile. Un trauma comunque alimentato da quel sordo
odio, quel profondo disprezzo per l’umanità, antico come lui
stesso.
Afferrò
dunque il cadavere del suo conoscente, per trascinarlo nelle cantine
della casa. Un luogo nel quale mai nessuno sarebbe venuto a cercarlo.
Fatto questo tornò di sopra, nella cucina, ove fece una discreta
raccolta di strumenti da taglio. Alcuni coltelli, una vecchia
mannaia.
Tornando
in cantina, si fermò un momento davanti a una porta e l’aprì. La
piccola Myriam dondolava ossessivamente sul suo letto, in cerca di un
affetto che non aveva mai avuto. Per un attimo, Yosseph sentì quanto
la odiava, fu tentato di usare tutto quel metallo su di lei e por
fine a quella vita miserabile.
Poi
fu preso dall’ansia di occultare ciò che aveva fatto di Avraham.
Chiuse la porta e scese in cantina per svolgere il suo lugubre
compito.
Maledetto
grassone, pensava mentre lo
riduceva in pezzi sempre più piccoli.
Divina creazione
Nei
giorni seguenti fu disturbato solo una volta dalla polizia che era
venuta a chiedergli se aveva visto Avraham. Lui scosse le spalle.
Parlò dell’amico come di una conoscenza insignificante e
superficiale. Disse di averlo conosciuto ad una mostra di
antiquariato, il che era vero, e che i loro rapporti erano solo stati
dettati da quella comune passione.
Il
poliziotto non sospettava nulla.
Si
sapeva che i due si conoscevano, ma Avraham lo frequentava comunque
molto poco, perché stare con Barouch non era affatto piacevole.
Quella sera poi, l’ometto non aveva detto ad alcuno dove andava.
Forse perché si vergognava di essere sull’orlo della bancarotta.
Nessuno
poteva sospettare Yosseph di omicidio, anche perché nessuno mai
avrebbe potuto ritrovare il cadavere. Nessun cadavere, nessun
omicidio. Andava da sé. Solo un tizio scomparso. Ogni tanto
succedeva.
Liberato
così da ogni angoscia, Yosseph si dedicò alla fabbricazione del suo
amato golem, nello studio che aveva attrezzato, ormai da tempo, con
tutto il necessario. Aveva studiato a lungo scultura, per poter dare
alla sua creazione la forma più perfetta possibile. Così per giorni
si dedicò a modellare l’argilla secondo le proporzioni del corpo,
ricavando i pieni e i vuoti, i turgori dei muscoli, le spigolosità
delle nervature.
Ogni
giorno portava una ciotola di cibo alla figliola e la lasciava lì,
come si farebbe con un cane. Poi correva alla sua opera ossessiva.
Finalmente
gli parve che il suo Adamo fosse pronto. Lo aveva fatto grande, alto
quasi due metri, con le fattezze di una sorta di Apollo, anche se il
viso risentiva di alcune approssimazioni, dovute al fatto che Yosseph
era pur sempre un autodidatta.
Finalmente
è tutto pronto, pensò. I
secoli guardano dentro questa mia casa e vedono un gigante costruito
da un altro gigante.
Solennemente andò a
prendere la pergamena che avrebbe creato la vita.
Con
essa tra le mani si chinò sul suo capolavoro, nel cui petto aveva
lasciato una nicchia. Con cautela vi inserì la pergamena e poi la
cementò in quel torace, con nuova quantità di argilla.
Era
il momento del rito.
Candele
resinose bruciavano tutt’intorno. Lui si sedette su una sedia, che
aveva sistemato ai piedi del golem sdraiato. Sulle ginocchia aveva un
libro antico, dal quale lesse per ore le antiche formule rituali.
Alla
fine, stanco, si appisolò.
Prima
c’era il buio. Poi apparve una stella a sei punte. Infine c’era
il Golem. Il Golem chi era? Il Golem cos’era? Il Golem era solo?
Due
occhi scuri si aprirono.
Yosseph
ebbe un fremito di paura. La sua creazione era in preda ad improvvisi
sussulti e scuotimenti. La vita entrava nel colosso con violenza e lo
faceva sobbalzare. Un fenomeno che presto si chetò.
Fu
quando il petto del golem iniziò a sollevarsi lentamente. Un respiro
affannoso riempi la stanza e, in un certo senso, spezzo la tensione
che vi si era accumulata.
Il
golem era vivo! E Yosseph era un Dio.
«Alzati!»
gli ingiunse per saggiarne l’ubbidienza.
Il
golem, con sua soddisfazione, si alzò. Con lentezza, faticosamente,
ma si alzò.
Il
sentimento di onnipotenza che si era accumulato in Yosseph da quando
aveva messo le mani sulla pergamena, ora era centuplicato. Si sentiva
il padrone del mondo. Ora che conosceva il segreto della vita, che
conosceva, avendolo imparato a memoria, il segno che dava la vita, la
vibrazione del rito che poteva far questo, ora poteva fabbricare un
esercito di golem. Che lo avrebbe servito, che gli avrebbe ciecamente
ubbidito. Un manipolo che avrebbe fatto di lui un dominatore,
E
quella meraviglia d’argilla poteva essere un arma inesorabile,
micidiale.
Dove
provarla e gli diede il più ferale degli ordini, come un grido che
Yosseph tratteneva nella sua gola da tutta una vita, la
manifestazione dell’odio che ribolliva nelle sue vene.
«Vai!
Vai, mio degno figlio, mia creazione assoluta. Vai e distruggi tutta
l’umanità!»
Il
golem però esitava.
Yosseph
non si preoccupò. Un golem doveva ubbidire al suo padrone, così
come solo la morte del suo padrone poteva impedirgli di portare a
termine ciò che gli era stato ordinato. Era una macchina
inarrestabile.
Yosseph
ripeté l’ordine con maggiore enfasi: «Avanti,
mostro! Vai e uccidi!»
Un
comando che fece breccia nella semplice mentre di una creatura che
non era poi così sofisticata. Barouch gli avevano dato un ordine ed
il golem ubbidì.
Ubbidì
a modo suo. Afferrò la testa di Yosseph tra le mani e strinse,
strinse finché le sue potenti dita d’argilla vivente non vi
penetrarono. Iniziò allora a roteare il corpo di Yosseph per aria,
come fosse una frombola. E poi lo abbatté, più volte, seminando il
caos nello studio ordinato.
Alla
fine lo lasciò andare contro una parete, ormai privo di vita.
L’ordine
dato al golem era stato eseguito. Una “umanità” era stata
distrutta. Ora però che il padrone era morto, anche l’ordine era
stato revocato.
Un
certo equilibrio era stato ripristinato. Una vita era nata senza il
consenso divino. Una vita era stata tolta senza il consenso divino.
Non
parlo e non sento
Il
golem, dopo alcuni minuti in cui parve non potersi più muovere, uscì
dallo studio alla scoperta del mondo. Non conosceva le cose, non
conosceva se stesso.
Non
sapendo aprire una porta si limitò ad abbattere quelle che
incontrava.
Però
ad ogni passo, mentre il pavimento scricchiolava sotto il suo
notevole peso, lui si sentiva più sicuro. Desiderava solo una cosa,
uscire da quell’orribile casa.
Fu
allora che sentì un rumore provenire da una delle stanze. Un’altra
porta.
Provò
ad aprirla più gentilmente e questa volta spaccò solamente la
maniglia. Dietro vide un esserino piccolo piccolo.
Aveva
dei capelli lunghi e biondi e con i suoi occhi quasi totalmente
albini osservava un punto qualsiasi dietro di lui.
La
bambina allungò le mani, per toccare e capire da dove venivano le
vibrazioni che percepiva nella stanza. Sotto le sue dita passò il
viso del gigante. Duro come la pietra, liscio come la ceramica.
Lui
ricambiò il gesto e le toccò il viso. Non potevano comunicare più
di così. Lei cieca e sorda. Lui praticamente muto e privo di ogni
esperienza precedente. Che desolazione… Eppure.
La
mattina dopo una strana coppia uscì a piedi dal paese.
Lui
era molto alto e robusto. Nonostante la stagione già mite era molto
imbacuccato, con un pesante cappotto e una sciarpa che non lasciava
intravvedere quasi la maggior parte del suo viso.
Lei
era una bambina con un buffo cappellino messo di traverso.
Si
tenevano per mano, una piccola mano in un enorme mano guantata, e
camminavano lentamente verso la campagna.
Dove
stavano andando? Dove mai avrebbero potuto andare?
Quella
notte aveva piovuto e le strade luccicavano già, sotto i raggi del
sole che spuntava dall’orizzonte.
Racconto avvincente, quello di Giorgio (cui diamo un caloroso benvenuto su Pegasus Sf), racconto indubbiamente fantascientifico con qualche venatura horror. Si legge piacevolmente grazie a uno stile piano, asciutto, lineare.
RispondiEliminaBel racconto fanta-horror sull'antico tema del Golem. La narrazione riesce a dare un buon respiro alla materia e spinge il lettore a meditare sul tema della vita e sul grande sogno di poterla dominare e creare. Molto ben delieata la personalità del protagonista. Davvero inquietante.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Davvero un bel racconto ricco di suspense.
RispondiEliminaG.S.
Un tema che mi affascina fortemente. Ottima e appassionante narrazione.
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