mercoledì 12 giugno 2013

UNA STORIA VERA di Massimo Licari


«La guerra è davvero uno schifo» mormorò tra sé e sé il sergente.
Qualche giorno prima il Ministero della guerra aveva disposto con un telegramma il suo trasferimento dalla caserma Mameli a Milano alla caserma Ruffo a Roma.
Era la prassi seguita normalmente quando affidavano una missione al Sergente Gaetano. Solitamente si trattava di portare ordini e disposizioni del ministero ai comandanti militari che guidavano le truppe sui diversi fronti di guerra.
Così, almeno una volta al mese, il sergente veniva catapultato in prima linea.
Africa, Grecia, Spagna, ce n’era per tutti i gusti.
Gli venivano affidate alcune veline con i comandi del ministero e lui doveva consegnarli direttamente al fronte a chi di dovere.
La sua missione terminava con la consegna degli ordini, ma tornare indietro non era sempre così facile e scevro di pericoli.
Quella volta era stato inviato in Eritrea, o, come veniva chiamata a quel tempo, nell’Africa Orientale Italiana.
Nella zona di Cheren la battaglia contro le forze britanniche infuriava da giorni.
Gli eserciti italiani difendevano come meglio potevano le posizioni, ma la superiorità e la determinazione dei britannici lasciavano poche speranze.
L’artiglieria continuava a martellare il fronte italiano giorno e notte, privando i soldati del sonno e costringendoli a uno stato di costante tensione.
Il sergente, subito dopo il suo arrivo, era stato a rapporto direttamente dal generale Lorenzini, al quale aveva consegnato gli ordini di Roma.
Il generale aveva letto le veline e aveva scosso la testa, probabilmente contrariato per quanto gli era stato ordinato.
Dopo qualche minuto di attesa, aveva congedato il sergente.
«Grazie sergente. Il capitano Lanzi la aiuterà a sistemarsi. Appena possibile la faremo rientrare.»
«Comandi» aveva detto il sergente scattando sull’attenti.
Aveva cenato con un pezzo di pane e uno di formaggio. Al fronte non si poteva avere di più.
Si era sistemato come meglio poteva per superare la notte.
Sperava di poter prendere la via del ritorno il mattino successivo.
Gli era già successo di dover rimanere al fronte per diversi giorni, prendendo parte alle azioni di attacco o di difesa con i battaglioni in prima linea. Non era un eroe e soprattutto non era fiero di quello che era stato costretto a vedere in combattimento.
I nemici erano uomini come lui e non ci si può mai vantare di aver ucciso un tuo simile, anche se di lingua e nazionalità diversa dalla tua.
Nell’esercito era approdato fuggendo dal seminario nel quale l’aveva mandato sua madre. Era il secondogenito e per lui era stata scelta la carriera clericale.
Il suo spirito libero e ribelle, però, l’aveva messo in grande difficoltà negli anni di seminario, al punto di decidere di mollare tutto.
L’unica possibilità che gli avevano offerto era stata quella di arruolarsi come volontario, cosa che aveva fatto senza pensarci molto.
Era entrato nei bersaglieri e aveva frequentato il corso sottufficiali.
Poi era scoppiata la guerra e sentiva di essere caduto dalla padella alla brace.
E ora si trovava per l’ennesima volta in prima linea.
Quando il primo colpo di artiglieria era esploso non molto lontano dal campo, era saltato in piedi con il cuore in gola. Si era guardato intorno e aveva visto gli altri ragazzi della IV° divisione Coloniali che lo fissavano quasi stupiti della sua reazione.
Non c’era ironia nei loro sguardi, solo muta rassegnazione. Erano ormai abituati a convivere con quei tuoni che scuotevano la notte e a vivere minuto per minuto con l’idea che prima o poi il nemico avrebbe fatto centro.
La notte passò lentamente. Con gli occhi sgranati il sergente aveva visto gli altri addormentarsi, ed era rimasto solo a contare i colpi che ritmicamente rompevano il silenzio.
Con i nervi a pezzi, salutò il sole che si affacciava lentamente.
«La guerra è davvero uno schifo» mormorò tra sé mentre il campo riprendeva vita.
Voleva andar via il prima possibile.
Si avvicinò alla tenda degli ufficiali per parlare con il capitano Lanzi.
Mentre era in attesa, vide arrivare di corsa un caporale.
Si stupì un po' quando lo vide fermarsi accanto a lui. Pensava che dovesse conferire con qualche ufficiale e invece sembrava essere arrivato proprio per lui.
«Sergente, deve venire immediatamente con me» disse affannato per la corsa che aveva fatto.
«Che succede?» chiese lui di rimando.
«Venga con me, presto!» disse l’altro.
Anche se era un po' perplesso, decise di seguirlo. Forse c’era qualcosa per lui.
«Dove andiamo, caporale…»
«Caporale Lazzari, sergente. Mi segua.»
Si allontanarono di corsa dalla tenda ufficiali, superarono una piccola collina lì accanto e si fermarono.
Non fece in tempo a dire nulla, perché un enorme boato lo colse del tutto di sorpresa.
La collina l’aveva riparato dallo spostamento d’aria e forse anche dalle schegge che erano volate in tutte le direzioni.
Si spostò di qualche metro per vedere il punto in cui c’era stata l’esplosione e vide la tenda ufficiali completamente distrutta. Una carica di artiglieria aveva centrato il campo, nel punto esatto dov’era stato lui fino a qualche istante prima.
Quel caporale gli aveva salvato la vita.
Si girò verso di lui per ringraziarlo e per chiedergli come aveva potuto immaginare quello che sarebbe successo, ma non vide nessuno.
Cercò lì intorno dove fosse finito, ma di lui non vide traccia.
Tornò al campo e aiutò gli altri a soccorrere i feriti.
Dopo qualche ora, chiese di conferire con il capitano Lanzi.
Il capitano dispose per il suo rientro immediato in Italia.
«Capitano, vorrei ringraziare il caporale Lazzari prima di lasciare il campo» disse il sergente prima di congedarsi.
«Non abbiamo nessun Lazzari qui» rispose laconicamente il capitano.
Il sergente Gaetano rientrò in Italia dopo qualche giorno.
Conservò il ricordo di quel caporale per il resto della sua vita.
Non tentò mai di dare una spiegazione razionale a quello che era successo.
Ma ogni volta che raccontava ai suoi figli quella storia, un velo di commossa gratitudine traspariva nell’espressione del suo viso.

1 commento:

  1. Che sfilza di ghost-storie! |2)
    Racconto che come quello di Giuliana, tratta di un salvataggio misterioso; il genere di fatto inesplicabile che quasi tutti hanno sperimentato direttamente o sentito da qualche conoscente . Tipica storia da raccontare in una sera invernale accanto al fuoco. Ben scritto e ben strutturato.

    Sauro Nieddu

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