Ho
scoperto questo manoscritto frugando nei recessi più remoti della
rete, in un vecchio sito polveroso – figuratevi che si trovava
all'ultima pagina della ricerca di Google per "saponificazione"
– che dal 1997 non ha più ricevuto alcuna manutenzione. La sua
sopravvivenza è stata possibile solo perché era stato caricato su
un obsoleto computer pubblico della ASL, di tanto in tanto ancora
collegato a internet. Ovviamente la terribile vicenda in esso narrata
mi ha incuriosito non poco. Ho indagato a fondo, intenzionato a
sapere qualcosa direttamente dalla voce dell'autore, e ho
rintracciato un tale Gavino Giovanni Perria, che appunto negli anni
novanta prestava servizio come inserviente alla ASL di Cagliari. Il
Perria però, pace all'anima sua, è deceduto nel 2005. L'unico
familiare – Gavino Perria non si è mai sposato né ha avuto figli
– ancora in vita, è l'anziano fratello Italo, che purtroppo di
questa faccenda sapeva ben poco. Mi ha però raccontato le
circostanze della sua dipartita; il fatto che sia avvenuta per
complicazioni respiratorie, causate da strane calcificazioni che ne
limitavano da tempo la funzionalità polmonare, getta un’inquietante
luce di veridicità su questo racconto.
Per
ovvi motivi ho preferito eliminare da questa versione il nome
dell'ingrediente incriminato. Gli stessi motivi tra l'altro, mi hanno
indotto, una volta rintracciato il computer su cui era memorizzato il
racconto originale, a formattarlo; non vorrei trovarmi a soffocare un
giorno, in un mondo di candida schiuma.
Sauro
Nieddu
Il
mio nome è Gavino, Gavino Giovanni Perria per essere preciso, ed ero
un uomo curioso. Maledetta la curiosità! Voglio raccontare questa
cosa terribile che mi è capitata nel millenovecentottantanove. Non
so se può servire di lezione alle future generazioni, sicuramente
serve a me che ho bisogno di sfogarmi perché non l'ho mai raccontato
a nessuno.
Cominciò
perché non ne potevo più di fare il dipendente statale, con tutti
quei dottori che ti trattano da scemotto solo perché non hai
studiato. Volevo farglielo vedere io, di cosa era capace Gavino
Perria! Mi era venuta l'idea di fabbricare sapone, perché al giorno
d'oggi la gente si è presa quest'abitudine di lavarsi tutti i giorni
e io, che sarò anche ignorante ma non sono tonto, ho pensato che nei
giorni a venire la gente si doveva lavare ancora di più, e quindi
una fabbrica di sapone non poteva mai fallire.
Però
non avevo idea di come si faceva il sapone: mia mamma me lo aveva
insegnato come lo facevano nell'antichità, con la lisciva
e lo strutto, ma se volevo aprire una fabbrica dovevo imparare il
metodo moderno. Così sono andato alla libreria e mi sono comprato un
libro che si chiamava I
mille metodi della saponificazione moderna,
e poi me lo sono letto tutto.
Allora
mi sono fatto il laboratorio nella stanza degli ospiti, che tanto era
sempre vuota, e di sera, quando tornavo da lavorare, ho iniziato a
provare, per vedere come mi usciva. All'inizio non è andata tanto
bene, ma poi a forza di provare ho imparato. Dopo due mesi facevo
questi saponi meravigliosi che solo a guardarli facevano luccicare
gli occhi, belli bianchi bianchi e quadrati che sembravano fatti a
macchina.
Però
a questo punto mi sono detto:
«Oh
Gavino, a una cosa non ci hai pensato! Se il tuo sapone è uguale
agli altri che ci sono in bottega, perché la gente deve comprare il
tuo?»
E
ho capito che se volevo diventare ricco, il mio sapone doveva essere
meglio degli altri. Ma come potevo fare? Le cose che c'erano scritte
nel libro erano tutte cose che già si sapevano... allora mi sono
messo a pensare cosa potevo fare che gli altri non ci avevano ancora
pensato. Pensando pensando, mi è venuta la curiosità – maledetta
la curiosità! – di provare a metterci un poco di (...), di quello
che usavano da noi alla mutua. Più ci pensavo e più mi sembrava che
l'idea era buona; volevo fare questo sapone così bello che poi tutti
i grandi signori, tutti i dottori, dovevano venire in ginocchio per
chiedermene un panetto. Volevo farglielo vedere io, di cosa era
capace Gavino Perria!
Così
un giorno ho preso un pochino di (...), che tanto i dottori non se ne
accorgevano, e quando sono tornato a casa mi sono messo a fare il
sapone. Quando era quasi pronto, prima di metterlo nello stampo, ho
aggiunto il (...) nel paiolo. Dovevo solo farlo riposare e vedere che
cosa ne usciva. Intanto che aspettavo però, me lo sognavo anche la
notte, questo sapone meraviglioso, che tutti i saponai del mondo
dovevano venire in ginocchio a chiedermi la ricetta. Me lo sognavo
che era bianco come il latte e bastava odorarlo per essere puliti.
Quando
tornavo da lavorare, la prima cosa che facevo era andare a guardare
il sapone, per vedere come stava uscendo. Per essere bianco era
bianco, solo che c'era una cosa che non mi piaceva. L'impasto, invece
di essere liscio e cremoso come deve essere per un sapone da signori,
era tutto pieno di bolle, e queste bolle, più passava il tempo più
diventavano grandi. Sembravano teste di polpo, grandi come le
noccioline. Lo guardavo, lo guardavo, e poi una domenica, sono andato
di nuovo a guardarlo, e le bolle hanno iniziato a muoversi. Piano
piano si sono mosse sempre di più e dall'impasto sono uscite queste
bestie che sembravano davvero polpetti, solo che erano tutti bianchi.
Io
li guardavo e non ci capivo niente, una cosa così non mi era mai
capitato di vederla! Ho pensato che doveva essere colpa del (...) che
ci avevo messo. Poi i polpetti hanno aperto gli occhi e si sono messi
a strisciare verso di me, dovevano essere almeno cento e facevano
tutti pii
pii pii,
come gli uccellini quando escono dall'uovo. Ho pensato che avevano
fame ma non sapevo cosa dargli, poi ho pensato che forse, già che io
mangio la carne, quelli potevano mangiare sapone. Ho tagliato una
saponetta a pezzi piccoli piccoli, gliel'ho data, e quelli se la sono
mangiata tutta. Poi sono andato in cucina a guardare la televisione.
I polpetti mi hanno seguito, sono saliti sulla poltrona dov'ero io e
si sono addormentati. Gli ho messo una copertina sopra, perché anche
se era estate c'era un po' di corrente, e ho continuato a guardare la
televisione.
Anche
se il sapone non mi era uscito bene, ero tutto contento perché avevo
fatto una nuova invenzione, tutto orgoglioso. Mi sentivo come Dio
dopo che aveva creato tutte le bestie.
Era
passata una settimana, e i polpetti erano cresciuti. Ormai erano
grandi come un melone. Stavano crescendo anche abbastanza educati, mi
seguivano per tutta la casa e invece si continuare a fare pii
pii pii
ogni volta che avevano fame, rimanevano in silenzio e aspettavano
l'ora di cena.
Poi
un giorno, che i polpetti erano grandi già come un’anguria, mi è
venuta la curiosità – maledetta la curiosità! – di portarli
fuori per vedere se gli piaceva. E altroché se gli piaceva, erano
tutta una felicità. Correvano da una parte all'altra, guardavano il
cielo, frugavano dappertutto.
Proprio
allora capitò il disastro, si era messo piovere. Una di quelle
passate d'acqua d'estate. Con il cielo che si fa nero in un attimo e
incomincia a lampare
e tuonare.
I
miei polpetti bianchi piangevano disperati pii
pii pii
e correvano verso di me, e l'acqua li squagliava, poveri i miei
saponetti. Li prendevo in mano per portarli al riparo ma scivolavano
via già tutti liquefatti. Poi hanno cominciato a gonfiarsi e a fare
schiuma, hanno smesso di pigolare ma continuavano a seguirmi. Erano
diventati più grandi di me, giganti di schiuma, e io ero tutto in
mezzo alla schiuma e non riuscivo più a respirare, respiravo
schiuma, respiravo sapone. Ho incominciato a tossire e mi sono messo
a correre, correvo e tossivo, correvo e tossivo.
Sono
corso fino alla fontana, ho aperto il rubinetto per sciacquarmi, che
non respiravo più e stavo soffocando. Mi sono sciacquato la bocca ed
il naso, poi mi sono sciacquato gli occhi, poi ho guardato intorno. I
miei bambini di schiuma erano tutti a
giro a giro
a me. Non facevano più
pii pii pii, ma
si vedeva lo stesso che erano disperati, che volevano stare vicini a
babbo. L'acqua che scorreva dal rubinetto non li faceva accostare,
poveretti, erano l'immagine della disperazione. Ma io cosa potevo
fare? Se chiudevo il rubinetto quelli si gettavano addosso come prima
e non potevo più respirare. Aveva smesso di piovere, l'acqua della
fontana li teneva lontani. Figli miei perdonatemi! Ma il babbo non ne
ha voglia di morire soffocato.
Dio
mi perdoni per tutti i peccati! Ho pensato che prima o poi il sole
scioglieva la schiuma ed ero salvo. Non pensavo mica alla vita dei
miei bambini, pensavo solo a salvare la mia, di pelle. Dio mi
perdoni.
Ma
il sole è tornato, e il sole se n'è tornato ad andare, e i miei
polpetti di schiuma erano sempre lì. Allora ho capito cosa stava
capitando. L'acqua non faceva seccare la schiuma, la stessa acqua che
non li lasciava avvicinare a me. Io li stavo facendo soffrire con
quell'acqua, e non potevo privarmene perché se no toccava a me
soffrire. Sono restato lì con la tristezza nel cuore a vedere i miei
bambini che soffrivano, e non ho avuto il coraggio di chiudere il
rubinetto, perché se no toccava a me.
Non
so nemmanco
quanti giorni e quante notti sono rimasto lì, intrappolato
nell'angolino del cortile. So solo che avevo così fame che non stavo
più in piedi. So solo che un giorno, un altro temporale ha buttato
giù tanta di quell'acqua che ha portato via tutta la schiuma. I miei
bambini!
Allora
sono tornato dentro casa, piangendo, e mi sono coricato. Ero mancato
tanti giorni dal lavoro, e se non andavo a spiegarmi, almeno il
giorno che veniva, sono sicuro che mi licenziavano. E il giorno dopo
sono andato al lavoro, e il giorno dopo, e quello dopo ancora, ma a
fare il sapone non ci ho più provato. Mi era passata la voglia di
far vedere a tutti chi è Gavino Perria, mi è passata per sempre.
Bel racconto, carico di suspense, avvincente.
RispondiEliminaBella l'mpostazione alla Lovecraft e interessante il linguaggio del racconto, scorrevole, di registro popolare. Una bella lettura piena di suspense che contiene nascosti significati riguardanti il rapporto con gli altri e con se stesso.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Ho appena terminato un racconto intitolato proprio "Lovecraft"; per scriverlo ho voluto rinfrescarmi la memoria rileggendo il ciclo di Cthulhu, e le influenze si fanno sentire...
EliminaOvviamente mi hai beccato subito!
Sauro