Faccio
il tassista da anni e ne ho viste di tutti i colori.
Ho
scelto di lavorare di notte perché il traffico di giorno mi fa
impazzire. E poi, così, riesco ad avere diverse ore libere durante
la giornata che posso dedicare alle mie cose.
Mi
è capitato di portare a casa ubriachi, prostitute, donne che
piangevano e vecchi che si erano perduti nella grande città.
Ma
quello che mi è successo la settimana scorsa, non lo dimenticherò
mai più.
Non
sono riuscito a raccontare a nessuno questa storia e ho fatto fatica
a decidermi di scriverla sul blog.
Alla
fine mi sono convinto perché qui non mi conosce nessuno, se non per
nome, e difficilmente qualcuno potrà associare il mio nome al taxi
che guido.
Forse
è un atteggiamento un po' vigliacco, ma non voglio che la gente mi
indichi quando mi vede dicendo:
«Ecco
il visionario».
Non
sono un visionario, lo giuro, e non bevo mai quando guido.
Sono
un tassista serio, io.
Beh,
martedì scorso, la centrale passa una chiamata.
«Corso
Lodi 52, corso Lodi 52».
Mi
trovo in viale Umbria, così decido di prenderla io.
«Rosso
32 per corso Lodi 52».
«Avanti
rosso 32».
«Cinque
minuti e sono lì. Chiudo».
Imposto
il tassametro e mi avvio verso la mia destinazione.
Ricordo
benissimo l’ora: le tre e zero tre del mattino.
Arrivo
a destinazione e vedo, accanto al bar Re
Artù
una coppia che aspetta.
Lui
un tipo sulla trentina, maglietta e jeans, lei, invece, una
bellissima donna, che sembrava più vecchia di lui, forse sui
quaranta, ma decisamente affascinante.
Bruna,
con uno chignon tenuto fermo da una rosa bianca e dei pendenti che
brillavano nella notte. Aveva un lungo vestito da sera, con un
generoso spacco che lasciava intravedere lunghe gambe bianche e
affusolate, rese ancora più lunghe dai sandali con tacco a spillo.
Aveva
delle movenze che non riesco a definire in modo diverso da donna
nobile.
Rimasi
affascinato a osservarla mentre si avvicinava con il suo compagno
alla macchina.
Di
notte, a meno che i clienti non abbiano delle valige da sistemare nel
bagagliaio, preferisco restare in macchina ad aspettare che salgano.
Mi sento più protetto.
Come
ho già detto, ne ho viste di tutti i colori.
Insomma,
lui si avvicina allo sportello, lo apre e lei si accomoda. Richiude,
fa il giro della macchina e sale dall’altra parte.
«Buona
sera. Ci porti in corso XXII marzo,» mi dice lei.
«Benissimo,»
mi limito a rispondere. Sono cinque minuti di strada, ma a quest’ora
meglio di niente.
Inserisco
la marcia e parto.
In
tanti anni di lavoro ho imparato che a volte i passeggeri hanno
voglia di parlare, soprattutto se sono soli. Quando invece sale una
coppia, raramente vogliono essere disturbati. Si mettono a parlare
sottovoce e ti escludono completamente dalla loro vita.
Così
ho messo della musica in sottofondo, giusto per rendere più
confortevole il loro e il mio viaggio.
Lui
doveva aver bevuto parecchio. Li riconosco al volo quelli come lui.
Pieni come otri, un po' instabili nel camminare, ma che cercano di
darsi contegno. Molto diversi da quelli che cominciano a fare casino
in mezzo alla strada fermando le auto che passano.
«Dove
mi porti?» chiede lui mentre giro a sinistra per andare verso il
centro città.
«Andiamo
a prendere la mia auto e poi ti porto a casa mia,» dice lei.
«Wow,
che bello! E dove abiti, principessa?»
«Fuori
città, poi vedrai.»
«Sei
davvero bellissima,» gli dice lui.
Lei
non dice nulla.
«Che
ci facevi sola soletta al bar?” chiede lui dopo qualche istante di
silenzio. Non so se l’alcol sta salendo o se si sta lasciando
andare perdendo quel minimo di contegno che ha cercato di mantenere,
ma le ultime parole sono quasi biascicate.
«Ti
stavo aspettando,» dice lei.
Lui
fa una risatina che ha una nota stridula.
Decisamente,
l’alcol sta salendo.
Svolto
a sinistra e sono arrivato a destinazione. Accosto sulla destra e
blocco il tassametro a quindici e cinquanta.
«Tieni
pure il resto,» mi dice il tizio porgendomi una banconota da venti.
«Questa
è la mia serata fortunata. Ho una principessa tutta per me,»
aggiunge.
Lo
sento armeggiare con la maniglia e, dopo qualche tentativo andato
male, riesce ad aprire lo sportello.
La
tentazione è forte e non riesco a resistere, così sposto
leggermente lo specchietto retrovisore per vedere la donna che sta
aspettando che lui le apra lo sportello.
Un
singhiozzo mi blocca il respiro.
Quella
che vedo nello specchietto non è la ragazza con lo chignon e la rosa
bianca, ma una vecchia canuta e spelacchiata.
La
pelle del viso è coperta di piaghe e rughe e i denti sono neri e
appuntiti.
Ha
uno sguardo malvagio che, quando incontra il mio, mi fa letteralmente
trasalire.
«Oddio!»
vorrei dire, ma un nodo alla gola mi impedisce di articolare
qualsiasi suono.
Lo
sportello si apre e lei scende.
Li
vedo dirigersi a braccetto verso una macchina dall’altra parte
della strada.
Lui
è malfermo sulle gambe, lei è di nuovo bellissima con lo chignon e
la rosa bianca.
«Forse
ho avuto un’allucinazione,» penso.
E
continuo a pensarlo fino a giovedì, quando nella cronaca leggo di un
tizio che è stato trovato morto in mezzo a un campo. Hanno scritto
che probabilmente qualche animale gli ha mangiato la faccia. Io credo
di sapere com’è andata veramente.
Ma
a chi posso raccontare questa storia?
Racconto avvincente e pieno di suspense. Piacevole scrittura.
RispondiEliminaUn altro classico tema orror, ben sviluppato, con una scrittura lineare e asciutta che lascia intravvedere, tra le righe, il carattere dei personaggi. La situazione è tipica, mi pare di aver assistito anch'io a una scena come questa, una o due volte... Per fortuna non leggo spesso i giornali locali.
RispondiEliminaSauro Nieddu
Scorrevole, ben scritto e pieno di attesa. Un racconto che mette addosso una certa inquietudine.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino