domenica 7 aprile 2013

POKER IN QUATTRO di Max Dave




 Ci trovavamo ogni sera attorno al tavolo illu­minato, al centro, dalla luce lattea della lampada. Essi entravano quasi senza salutarmi, né rivolgermi frasi cortesi. Effettivamente non ce n'era bisogno.
Ci vedevamo soltanto per giocare a poker ogni notte, fino all'alba.
Non ho mai saputo i nomi dei miei compagni, tranne i piccoli nomignoli che nascono intorno ai tavoli da gioco: Mano d'oro, Cip, Piatto Doppio.
Se devo dire il vero non conoscevo nemmeno bene le loro fisionomie perché, quando entravano, la stanza era già nella penombra con l'unica macchia abbaci­nante al centro, diretta sul tavolo verde, e quando se­devano la banda d'ombra del paralume nascondeva i loro volti sino al mento.
Era consuetudine di mesi, ormai.
Essi giungevano, picchiavano con moderazione alla porta ed entravano in silenzio in fila indiana: prima Piatto Doppio, grosso e tarchiato, poi lo scheletrico Cip e quindi il gobbetto Mano d'Oro.
L'unico a dire qualcosa, e ciò non accadeva mai tanto spesso, era Piatto Doppio che brontolava:
       Sera! – e si metteva a sedere al suo solito posto.
Gli altri lo imitavano e solo una volta Cip disse:
– Giochiamo anche la notte di Natale. Bella roba!
Mano d'Oro sogghignò.
Poi si cominciava a distribuire le carte e il gioco prendeva man mano il suo ritmo e la sua tensione.
Era ormai tanto tempo che giocavamo insieme che si può dire nessuno vincesse né perdesse. Le forze erano equilibrate; ognuno sfoggiava il suo carattere di giuoco.
II fumo delle sigarette, perchè tutti fumavamo molto, si addensava sotto il paralume e, dopo po­chi minuti, ci vedevamo attraverso una nebbia azzur­rina come se fossimo immersi in un acquario.
Poi all'alba Mano D'Oro diceva:
– Giro fisso.
Facevamo le ultime puntate rischiose, quindi i conti; ognuno pagava e i tre, in fila indiana, così co­me erano entrati, se ne andavano.
Piatto Doppio, dalla soglia, brontolava, senza vol­tarsi:  
– Giorno!
La porta si chiudeva con garbo alle loro spalle.
Ma una sera non vennero. Il fatto che ciò fosse accaduto dopo tanto tempo mi mise in subbuglio. Sa­pevo che erano di una puntualità cronometrica e già un ritardo di dieci minuti  mi doveva convincere che non sarebbero più venuti. Invece attesi tutta la notte.
Prima camminai avanti e indietro nervosamente. Poi sedetti al tavolo iniziando un interminabile soli­tario.
Ogni tanto tendevo l'orecchio a spiare i rumori per le scale. Il fruscio di un gatto o il picchiare lieve del vento contro le imposte mi faceva sobbalzare e spin­gere, ancora con maggiore tensione, i miei nervi fuori della stanza.
II vento fresco dell'alba, che agitava le tende della finestra, mi spinse verso la camera da letto. Mi gettai così vestito, abbattuto da un'amarezza senza confini, sul materasso e dormii.
Solo più tardi compresi perché essi non erano venuti.
Il giorno prima un Pastore Battista aveva preso in affitto l’appartamento sotto al mio e, prima di entrare in casa, aveva asperso davanti al portoncino, con una breve preghiera, dell’acqua benedetta.
Essi non sarebbero più venuti.
I loro spiriti maledetti avrebbero vagato in altri luoghi, meno santi, alla ricerca di un tavolo da poker dove ci fosse solamente il quarto.

(Per gentile concessione dello scrittore Sergio Bissoli)

3 commenti:

  1. Bellissimo, grazie per aver trasmesso questo racconto alle generazioni future

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  2. Veramente un bel racconto. Storia interessante, stile perfetto

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  3. Anime maledette tornano al gioco, ma poi non vengono più perchè sono state esorcizzate. Bel racconto sul gioco che in poche righe propone una profonda riflessione sul senso della perdizione e nello stesso tempo intrattiene con l'argomento fantastico dei fantasmi. Mi sono piaciuti l'atmosfera e il simbolismo.
    Decisamente piacevole da leggere anche perchè scritto con uno stile impeccabile.

    Giuseppe Novellino

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