La platea si azzittì.
C’era ancora del movimento in sala. Alcuni s’affrettarono a
prendere posto sulle poltrone perimetrali, col lungo tavolo del
buffet posizionato di fronte al palcoscenico, a non molta distanza da
esso. Nelle prime file, alcuni si spostavano con le poltrone per dare
posto ai nuovi sopraggiunti. Da una porticina laterale sbucò il
grande Rigor Mortis mascherato. La maschera rendeva il volto
mostruoso: labbra enormi, zigomi brufolosi, il mento deforme e la
capigliatura arruffata da orango. Come un vero attore, Rigor
Mortis si portò al centro della scena. Si spensero le luci,
mentre solo alcuni riflettori agli angoli illuminavano il
personaggio. La voce cavernosa franse il silenzio tenebroso della
sala. Rigor Mortis disse:
“Sono un mostro diverso
dal solito e striscio nei veli dell’esistenza.”
La platea degli
spettatori aveva notato la reale tonalità femminile della voce,
benché contraffatta da una cupa sonorità, ampliata dalle vibrazioni
della bocca mascherata. Si trattava di Galla Placidia, travestitasi
da mostro. Il corpo slanciato e snello. Il padrone della villa dove
c’era il ricevimento serale con tanti ospiti di riguardo, aveva
avuto l’originale idea di far esibire la sua amante mascherata da
mostro sulla pedana da ballo. Il ricco padrone della villa le aveva
raccomandato di non esibire il volto alla gente e di andarsene via
dalla scena da mascherata. Girando lo sguardo qua e là, la bella
donna travestita da mostro continuò l’angosciosa cantilena:
“Sono un mostro che vaga nel buio. Amo restare nell’ombra che è
la parte più vera del mondo. Lavoro soltanto per dissipare. Amo le
feste insensate, il lusso dispendioso ed improduttivo. Io vivo nella
maledizione. Amo il riso, l’ebbrezza, l’efferatezza erotica, il
male ed infine la morte. Io amo tutto ciò che per gli altri è
impossibile.
Vivo nel Labirinto
ch’esiste da sempre. So cosa sono: un’entità di sole parole. So
dove sto e non ignoro il buio luogo da cui vengo. La mia origine è
nei viventi che sono al di là di questo mio mondo. Per quanto
percorra di giorno e di notte tutti gli anfratti che mi girano
attorno, non trovo l’uscita e non esco all’esterno, né raggiungo
la soglia del Labirinto, scavato nei Sogni. In me, la mente umana
spande rami profondi e forma per gemmazione nuove caverne, cunicoli e
anfratti. La mia esistenza è tra la vita e la morte, tra ordine e
caos, tra Essere e Nulla. Ognuno vorrebbe ignorarmi e non guardare il
mio loco. Sembra che nessuno mi veda, o ci faccia caso. Seppure
ignorato, scavo senza dolore nelle altrui caverne e nel momento in
cui lo scavo è completo, espongo il materiale sterrato alla luce del
sole. Si tratta di materia grumosa, informe e caotica che riempie gli
abissi dell’esistenza.
Vedete? Escrescenze e
protuberanze mi coprono il corpo di scaglie, aculei e piaghe. Sono un
mostro di…pura follia e senza specchiarmi da sempre lo so. Mi nutro
di gente nel mio Labirinto per caso caduta. Alcuni vi entrano senza
saperlo; s’aggirano cauti con apprensione, con paura ed angoscia.
Guardano gli anfratti, ascoltano eventuali rumori; a tentoni avanzano
entro le forre crepuscolari. Impauriti per chimeriche ombre, i miei
prigionieri elevano grida ed invocano aiuto. Nessuno sente, nessuno
risponde ai loro forti, continui richiami. La gente comune è
altrove. Altrove c’è gioia e benessere. La vita vera è oltre la
soglia del Labirinto, scavato nei sogni. Le mie vittime vagano senza
riposo in questi anfratti, cupi e profondi.
Tutti cercano con la
fuga l’uscita, la libertà, anelando la vita felice, ma nella trama
sottile e cangiante, cadono esausti ed hanno la morte. Li assalgo
famelico cogli artigli pungenti. Attanagliati dalla mia forza, li
sbrano con le fauci taglienti-sanguinolenti e l’ingoio nelle
viscere putrescenti. La gente lì fuori si ama e si aiuta, ma se cade
per caso in questa rete d’inconsce caverne è per sempre perduta.
Più si dimena contro il destino e più si avvicina alle mie
possenti, fameliche brame. La salvezza è altrove. Nella mia tela
tutta interiore, non c’è speranza. Sono il mostro che come il
ragno aspetta le prede nella sua trappola buia.
Nessuno sforzo aiuta i
perdenti, caduti per sempre nel Labirinto.”
Il cupo soliloquio era
terminato. Si erano accese le luci ed un lungo applauso accompagnò
la snella figura tenebrosa che si avviò verso la porticina da cui
era entrata, quasi di soppiatto. Qualcuno disse che era stato uno
spettacolo di cattivo gusto. Qualcuno disse che strideva con
l’ambiente festoso. Maria Bissettis disse: “Quelle parole mi
mettono i brividi addosso.”
Il padrone della villa
disse: “Il mostro non farà vittime. Ci sono qua io a proteggere
tutti.”
La bella Koschignotis,
occhioni scuri su una pelle diafana, sottolineati dal trucco smoky,
estrinsecò il dubbio: “Secondo me, è una donna mascherata da
mostro.”
Era ripreso il chiacchiericcio tra gli ospiti che consumavano
sciampagna ed altre bibite. Luce soffusa e tenebrosa nella grande
sala. Ripensando alle parole ascoltate dalla persona mascherata da
mostro, qualcuno aveva i brividi addosso.
(Per gentile concessione
dell'Autore)
Come sempre molto bravo il nostro Giuseppe. Racconto avvincente.
RispondiEliminaBella atmosfera, evocata con un linguaggio di eleganza gotica. Mi fa venire in mente "La Maschera della Morte Rossa" del sommo Poe.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino