Al riparo
dietro i sacchetti di sabbia della trincea, il sergente guardava verso le linee
nemiche, distanti all’incirca trecento metri. Anche i soldati, con i fucili tra
le mani, guardavano in quella direzione.
Silenziosi e
immobili, avevano un’espressione preoccupata. Ognuno di loro, infatti, si
aspettava l’assalto decisivo – per lo meno il più spaventoso – di quella
terribile guerra che ormai durava da più di un anno.
«Maledetta
attesa!» ringhiò d’un tratto il sergente e sputò oltre il parapetto della
trincea. «Non c’è nulla di più snervante.»
«Forse… è il
caso di rompere gli indugi,» osservò, timidamente, un soldato, «e andare
all’assalto per primi.»
«Sarebbe
inutile, come lo è stato finora,» rispose il sergente. «Quei bastardi trovano
sempre il modo di rimettersi in piedi e attaccarci di nuovo, ogni volta più
baldanzosi di prima.»
«E allora?...
Che facciamo?»
«Allora
niente. Aspettiamo. Prima o poi dovranno decidersi…»
All’improvviso
un cupo frastuono giunse dalle linee nemiche.
«Eccoli!»
esclamò il sergente volgendo la testa di lato. Poi, alzando la voce in modo che
tutti sentissero: «Tenetevi pronti. Che nessuno abbandoni il suo posto.»
«Ho una…
paura dannata!» mormorò un soldato che era al suo fianco.
«Anch’io!» gli
rispose il sergente. «Ciò nonostante sparerò, senza esitare, su quei luridi
figli di Satana. Per la tua e nostra salvezza consiglio anche a te di farlo.»
«Lo farò… lo
farò…» disse il soldato, ma senza convinzione.
«Molto bene!»
Da lontano,
intanto, un biancore ondeggiante avanzava velocemente come sospinto da urla
inumane.
«Non
lasciatevi intimorire!» gridò il sergente, la cui voce, per un momento,
sovrastò il fragore dei nemici. «Mirate in mezzo alla fronte, dietro cui si
annida il loro cervello schifoso. Mirate e sparate. Abbattetele tutte quelle
carogne!»
«Signorsì!»
risposero insieme i soldati che, a quelle parole, parvero rincuorarsi.
Non appena i
nemici furono vicini:
«Fuoco!»
gridò di nuovo il sergente. «Non lasciateli avvicinare.»
I fucili
crepitarono all’istante, riempiendo l’aria di fumo e odore di polvere da sparo.
Le teste di
molti nemici esplosero letteralmente, spargendo all’intorno spruzzi di sangue,
frammenti di ossa e cervello. Non per questo gli assaltatori che venivano
dietro arrestarono la corsa. Urlando più forte, scavalcarono il corpo dei
compagni caduti, mostrando chiaramente, alla vivida luce del sole, le orbite
vuote e i ghigni crudeli dei loro orribili teschi, solo in parte coperti di
carne o brandelli di pelle.
«Dannati
zombie!» latrò il sergente. «Fatevi sotto! C’è piombo per tutti.»
Fulminante... e bello! Con la tecnica di Brown, si scivola dalla prima guerra mondiale all'invasione zombie. Idea arguta per un racconto davvero divertente.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino