Le lacrime cominciarono a cadere sull’asfalto,
chiazzandolo di macchie d’umido irregolari. La donna anziana non si prese la
briga di attivare lo schermo antipioggia. Staccò una mano dal deambulatore e se
la portò alla fronte, per proteggere gli occhi dalla luce che, seppur diffusa
dalle nubi, era piuttosto intensa. Guardò verso il cielo aspettandosi di vedere
lo sciame di facce dai cui occhi sgorgavano le lacrime, ma non c’era alcun
volto, lassù. Solo un velo uniforme di nuvole azzurro chiaro; una foschia
celeste.
Com’era possibile che nessuno piangesse?
La donna riportò lo sguardo di fronte a sé, la
mano sul deambulatore. Una lacrima cadde davvero, scivolando lungo la pelle
rugosa del viso, staccandosi dal mento a ricadere sulla mano, mischiandosi alla
pioggia che l’incorporò in un istante. Anche il volto ormai era coperto dalla
pioggia, e non si poteva dire, ormai, se lei piangesse o fosse stata solo una
lacrima isolata.
La donna era rimasta sola, ma non era stata la
solitudine a innescare il pianto. Lei sapeva di aver vissuto appieno la sua
vita, e niente più la spaventava, quella solitudine momentanea, in un certo
senso era una preparazione a quella più lunga che l’aspettava, quella a cui
nessuno poteva sfuggire. Ma si sentiva pronta perfino alla morte, anche se
certo non era intenzionata a darsela. Non lei che ne capiva il senso profondo.
Non fino a che non ci fosse stata costretta. La morte era la fine. Doveva
esserlo, perché l’uomo è fatto per morire.
Allora la sua mente tornò ai giorni della
gioventù, quando aveva lottato con tutte le sue forze per costruire un mondo
migliore. Un mondo in cui le persone fossero libere e consapevoli.
Ricordò le lotte contro una religione che, con
la promessa di una vita eterna, rendeva schiavi gli uomini in terra. Ripensò
con amarezza a quanto era costato ottenere che le donne potessero mettere al
mondo i figli nel modo che preferivano, invece di sottostare a regole costruite
per controllarle. Alle battaglie per far sì che il suicidio, in ogni sua forma
e motivazione, fosse lasciato alla coscienza individuale, senza ingerenze da
parte della società; una scelta e non un peccato. Perché l’uso di qualunque
droga anziché essere condannato, o incentivato, restasse nell’ambito della
responsabilità di ogni singolo. Così, senza questa linfa a sostenerle, erano
crollate le grandi organizzazioni criminali. Ricordò quando aveva lottato
perché si smettesse, finalmente, di fare scempio della Terra, utilizzandone le
risorse in modo sostenibile. Ricordò… ma perché ricordare, quando faceva tanto
male?
Lei, assieme a tanti altri come lei, aveva vinto
la battaglia per ottenere un governo razionale, forse il primo della storia. E
i libri di storia riportavano la cronaca della loro vittoria. Eppure si
guardava attorno e vedeva la loro sconfitta impressa a fuoco in tutto quel che
la circondava. I muri riportavano scritto, in lettere fiammeggianti; “hai
fallito!”, i segnali stradali la deridevano, i grandi cartelloni pubblicitari
la sbeffeggiavano, perfino le piccole pozze d’acqua, che riuscivano a resistere
per qualche istante all’asfalto auto-drenante, si prendevano gioco di lei, dei
suoi sogni di gioventù, dei suoi compagni di lotta.
Ma com’era possibile? Che stupida domanda; era
inevitabile. Il potere vince, sempre e sa sempre a chi concedere i suoi favori
perché se ne faccia araldo.
E lei era rimasta sola. I suoi amici se n’erano
andati da molto tempo, e oggi lo aveva fatto anche l’ultimo pezzo della sua
famiglia. Elisabetta aveva appena tredici anni. E si era infilata, quasi senza
pensarci, come fosse una decisione da niente, in una delle cabine che portavano
a Paradiso.
Il sistema di gestione dati Paradiso era stato
costruito una ventina di anni prima. E il primo proposito dei suoi creatori non
era stato malvagio. Lo avevano fatto perché anche chi non desiderava più vivere
in questo mondo non andasse del tutto perso. Così, prima che la scarica di
micro-onde gli bruciasse il cervello, un calco elettronico della personalità
veniva prelevato dall’aspirante suicida e inviato al computer centrale del
sistema Paradiso. Lì, avrebbe goduto di un esistenza diversa, profondamente
diversa da quella umana, ma a detta dei suoi programmatori, comunque molto
varia.
Che grande idea! Avevano detto tutti. E lo era
stata davvero. Ma da qualche anno Paradiso aveva lanciato una delle più grandi
campagne pubblicitarie che si fossero mai viste. Aveva stipato le proprie
cabine da viaggio (che bell’eufemismo!) in ogni angolo di ogni città del
pianeta. E la gente aveva incominciato a credere che dentro Paradiso si potesse
vivere una vita migliore che non nel mondo reale. Una vita oltre la morte;
esattamente quel che promettevano le vecchie religioni, quelle che lei aveva
combattuto con tutte le sue forze.
I capelli bagnati le ricadevano lungo il viso in
ciocche argentee che somigliavano vagamente a cavi elettrici. La donna si
fermò, staccò di nuovo la mano dal deambulatore per scostarne una che
sfiorandole le ciglia le faceva vibrare una palpebra quasi avesse un tic
nervoso.
Si guardò
attorno; i passanti, molto più sporadici che nel passato recente, camminavano
indifferenti sotto la pioggia, protetti dagli schermi. Un ologramma
pubblicitario, in forma di uccellino stilizzato, vagava dall’uno all’altro
cinguettando le virtù di una qualche marca di biscotti al burro sintetico. Non
vide nessun proiettore nei paraggi; doveva essere uno di quegli ologrammi
auto-proiettanti di ultima generazione. Riprese la via di casa.
Nel passare di fianco a una cabina Paradiso, si
voltò bruscamente dalla parte opposta.
Paradiso… non esistevano prove che i calchi
mentali fossero fedeli agli originali, e nemmeno che la cosa funzionasse, e
anche in quel caso restava il dubbio che effettivamente i padroni di Paradiso
si prendessero la briga di inserirli nel sistema, eppure in troppi ci avevano
creduto e altri continuavano a crederci. In ogni caso non c’era modo di
saperlo; nessuno tornava da Paradiso. Paradiso= Fede=Religione; la donna
fremette dal disgusto.
Si chiese quali fossero in realtà gli interessi
che muovevano quella rapida espansione del sistema Paradiso. Era ovvio pensare
che ci fossero dietro le classi più ricche, interessate, ora che la manodopera
era completamente automatizzata, a riavere indietro un mondo meno popolato e
più godibile. Qualcuno riteneva che il sistema sfruttasse i calchi per
aumentare la propria capacità di calcolo a favore di chi poteva permettersene i
frutti. Altri azzardavano l’idea che il sistema Paradiso, avendo raggiunto un
grado d’intelligenza (e consapevolezza) superumana, si fosse auto-acquistato e
ora, essendo padrone di se stesso, mirasse allo sterminio completo degli esseri
biologici. Ma anche queste erano dispute senza senso; quel che contava erano i
risultati, e i risultati…
La donna arrivò finalmente all’ingresso del suo
palazzo, entrò nell’ascensore e disse, rivolta al monitor:
- Piano trecento.
I risultati… da un anno a quella parte, Paradiso
aveva rivolto la sua campagna acquisti ai più giovani. E il bersaglio si era
dimostrato persino più reattivo del previsto. Dopotutto si trattava di una
generazione abituata a passare più tempo nella realtà virtuale che non in
quella materiale. Alla promessa di vivere in un videogioco con un numero quasi
infinito di opportunità, con un tempo virtualmente infinito per esplorarle,
come altro avrebbero potuto reagire quei bambini? Dopotutto gli si chiedeva
solo di rinunciare a quei corpi goffi e limitati. E cosi anche Elisabetta lo
aveva fatto; era entrata in una di quelle dannate cabine e non ne era più
venuta fuori.
L’ascensore si fermò. La donna anziana uscì nel
terrazzo del grattacielo e fu quasi inebriata dall’aria rarefatta e dalla
brezza sostenuta, tipici dell’alta quota. Si avvicinò al parapetto e guardare
l’abisso sottostante le diede un brivido di eccitazione. La sua mente si
divincolò dal corpo e si lanciò oltre la ringhiera. L’ebrezza di quel volo
immaginario ‒ ma la sua immaginazione allenata sapeva essere molto efficace ‒
le diede la sensazione più vicina all’orgasmo tra quelle che poteva pretendere
alla sua età, dopo aver visto troppo, vissuto troppo. Eppure, nonostante il
piacere del volo, ciò che vedeva dall’alto era sconfortante quanto visto dal
basso.
Si staccò dalla ringhiera e tornò verso il suo
appartamento. Era davvero avanti con gli anni, e ormai, nonostante la medicina
facesse quasi miracoli, non gliene restavano ancora molti da vivere. Quando la
sua ora fosse stata davvero vicina, allora lo avrebbe fatto, per non rischiare
che a qualcuno saltasse in mente di salvarla ficcandola in Paradiso o in
qualche altra banca dati del genere. Ma era intenzionata a rinviare il più
possibile quel momento.
Eppure nel suo intimo covava il terrore che
davvero esistesse qualche dio, un bastardo di livello superiore, che all’ultimo
momento le avrebbe sottratto l’agognato oblio per spedirla nel suo paradiso
arbitrario, condannandola così a una vita d’ingiustizia eterna.
Bel racconto di fantascienza, quello di Sauro, con chiare implicazioni politico-religiose.
RispondiEliminaDevo fare i miei complimenti a Sauro per aver scritto un racconto davvero intetessante.
RispondiEliminaComplimenti Sauro, il tuo racconto mi è piaciuto molto è molto intrigante e per nulla banale.
RispondiEliminaBravoo Sauro . Nando
RispondiEliminaRacconto intrigante, quasi di fantateologia. Una bella idea narrativa per fornire la visione di una specie di aldilà da incubo. Comunque appare come una riflessione in forma ludica sul mistero della fine di un'esistenza. Scritto bene.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino