- Imaac Arinov non può riceverla. Mi dispiace.
Se non fosse stato per quel “mi dispiace” Pio Devanna
si sarebbe incazzato come un turco. La segretaria aveva accompagnato la frase
con un sorriso che aveva cercato di addolcire il rifiuto.
- Ma... ma l’aveva promesso.
- Compatibilmente alle sue esigenze di lavoro. Lo
scrittore ha bisogno di concentrarsi. Da ieri si è rinchiuso nella sua villa e
non ne uscirà prima di un mese. Tutti conoscono questa sua abitudine e sanno
che un nuovo capolavoro di fantascienza sta nascendo. Le prometto che sarà il
primo giornalista a essere ricevuto. Dopo. - E ancora il bellissimo sorriso.
Pio grugnì qualcosa d’intraducibile nel suo dialetto.
Poi baciò sulla bocca la ragazza e uscì, lasciandola con gli occhi spalancati
per la sorpresa. Almeno qualcosa aveva ricavato.
Il cellulare finì contro il muro, il computer nel
bagno e le buone maniere nel dimenticatoio. Si versò un brandy chiedendosi cosa
avrebbe fatto. L’intervista allo scrittore era la sua ultima possibilità per
conservare il posto al giornale. Che fare? E tutto cominciò ad apparirgli
chiaro. Invece di buttarlo fuori a calci senza un valido motivo, magari per far
posto a qualche figlio di papà, avevano finto di dargli una grande occasione, l’intervista
al massimo scrittore di fantascienza Imaac Arinov. Portala, e avrai un
ufficio tutto tuo. In caso contrario... Ancora però non ne capiva il
perché. Non aveva commesso alcun errore e i suoi articoli avevano avuto sempre
un largo seguito di lettori. Perché? Maledizione! E poi tutti conoscevano la
strana abitudine dello scrittore. Una volta rinchiuso nella sua villa per
creare un nuovo capolavoro non avrebbe ricevuto neanche la madre. Ripose il
bicchiere sul tavolo, delicatamente, al contrario di quello che aveva voglia di
fare, e si alzò. Aveva preso una decisione.
Doveva avere quell’intervista a tutti i costi.
* * *
La villa era completamente buia a parte una finestra
illuminata fiocamente. Scavalcare il muro di cinta era stato un giochetto da
ragazzi. Aveva preso però uno spavento tremendo quando, nell’oscurità della
notte senza luna, un ringhio l’aveva fatto rabbrividire. E quel bastardo d’un
cagnaccio spelacchiato gli aveva fatto venire in mente dobermann e alani
addestrati a uccidere. Con un calcione se ne era liberato mandandolo a guaire
tra i cespugli, e ora avanzava furtivo verso la costruzione. C’erano tre
entrate. Due chiuse ermeticamente, la terza aperta ma con, a guardia, un
energumeno in divisa con tanto di berretto e pistola. Pensò di giungergli alle
spalle e stordirlo con un colpo di karatè. Poi si diede dell’imbecille, quelle
cose avvenivano nei film, non nella realtà, e cercò un altro modo per entrare.
Così si fermò sotto la finestra illuminata. C’era un grosso albero molto vicino
e un lungo ramo che si protendeva verso la finestra. Si arrampicò. Era deciso a
entrare e a estorcere l’intervista anche usando la forza. Si era appena
appostato quando udì aprirsi la porta. Sgranò gli occhi per guardare attraverso
le tendine. E vide Arimov che cominciava a spogliarsi. Pio arrossì e borbottò
tra sé e sé che la prossima volta avrebbe spiato una scrittrice. Cercò di
guardare sottecchi, terribilmente imbarazzato. Forse sarebbe stato meglio
lasciar perdere. No, maledizione, no! Fu allora che lo scrittore si tolse la
maglietta intima. Aveva due ombelichi e otto capezzoli. Poi si tolse la
parrucca e sotto apparvero decine di piccole antennine che vibravano. Infine,
sdraiatosi su una cassapanca di duro legno, prese un bicchiere e... cominciò a
mangiarlo con gusto.
Fu il rumore di rami rotti a interrompere il suo pasto
serale.
*
* *
- Così, giovanotto, ha scoperto tutto.
Imaac Arinov stava fissando la fasciatura che la
guardia del corpo aveva fatto alla gamba del giornalista. Aveva indossato una
camicia e rimesso la parrucca. Con un breve cenno del capo licenziò l’uomo e,
sedutosi su una ingombrante poltrona, senza attendere una risposta continuò: - Certo
vorrà una spiegazione. - Strinse le labbra: - Sì, credo che gliela devo. Lei è
un grande estimatore della fantascienza, i suoi articoli hanno aperto la mente
a migliaia di persone che non avevano mai capito questo genere letterario. È
per questo che mi crederà. L’Universo brulica di razze intelligenti, buone,
cattive, apatiche. Quella a cui appartengo non ha cattive intenzioni. E presto
scenderà sulla Terra.
Il giornalista aveva gli occhi sgranati: - Fantastico!
- con sarcasmo.
- Già, giovanotto, fantastico. Ma come pensa che
reagireste voi terrestri? Probabilmente vi lascereste prendere dal panico e scoppierebbe
il caos. Usereste le armi, senza darci neanche il tempo di mostrare le nostre
pacifiche intenzioni. Com’è già successo.
- Già... successo...??!!
- Per ben tre volte abbiamo cercato di instaurare
pacifici rapporti col genere umano, ma tutte le volte siamo stati costretti a
lasciar perdere. O avremmo dovuto combattere. Così abbiamo deciso di preparare
gli uomini. Con i miei romanzi, con i racconti e i film. Stiamo abituando la
gente all’idea dell’alieno buono. Ora siamo quasi certi di farcela.
Pio non l’ascoltava più. Si era alzato con una forte
smania in corpo: - E’ incredibile... impossibile...
- No, è tutto vero, posso provarlo. Vorrei soltanto
che non lo scrivesse. Rovinerebbe tutto.
- Certo... certo... ma ora devo assolutamente andare. -
E senza neanche salutare, zoppicando uscì precipitosamente dalla stanza.
*
* *
- E’ andato?
Due uomini entrarono. - Sì, aveva fretta. Certo
spiattellerà tutto in giro, tramite il suo giornale.
- Magnifico! - esclamò uno dei due. - Siamo d’accordo
col direttore, pubblicherà l’articolo di quell’imbecille. Sarà un grandioso
lancio pubblicitario per il tuo prossimo romanzo ALIENI TRA NOI.
- Quel giornalista cadrà nel ridicolo. - mormorò Imaac
un po’ dispiaciuto.
- Non ce ne frega nulla. - E scoppiò in una sguaiata
risata.
*
* *
Pio era furibondo. Entrò in casa come un ciclone
sbattendo la porta alle spalle. - Maledizione! Stramaledizione! - Aprì un grosso
armadio a muro che non conteneva abiti ma un apparecchio metallico tutto
levette e pulsanti. Imprecando l’accese: - Volete rispondermi, malnati? - Poi
si diede dello stupido. Come potevano sentirlo con quel maledetto naso
posticcio? Se lo tolse estoflettendo il suo vero organo dell’udito, che inserì
nell’apposito captatore imbutiforme.
- Cosa c’è, Kratplurdt?
- Cosa c’è? Bastardi - in gergo tutto terrestre, -
potevate dirmelo che avevate intenzione di sostituirmi.
E senza attendere inserì il Transfer e tornò su
Antares.
Personalmente ho un debole per i racconti dai risvolti ironico-umoristici , e questo racconto fantascientifico di Donato penso possegga le caratteristiche essenziali per piacere a tutti.
RispondiEliminaConcordo con Paolo. Eccellente racconto, mi è piaciuto moltissimo.
RispondiEliminaBravo Donato.
Concordo con i giudizi precedenti. Un bravo all'autore.
RispondiEliminaG.S.
Un bel racconto con una chiusura a sorpresa. Bravo l'autore.
RispondiEliminaBravo Donato! Nonostante avessi già letto parecchi racconti strutturati in questo modo, sei riuscito a fregarmi lo stesso con quella boutade finale.
RispondiEliminaComplimenti!
Gustosissimo! Una lettura che mi ha suscitato un vero piacere, come tanti piccoli classici indimenticabili. La struttura è solida e limpida nel suo gioco di soprese. E quella finale è assicurata, anche se ci si apspetta qualcosa di sensazionale. E l'idea di avere messo di mezzo il grande Asimov la trovo assai divertente. Decisamente un bel racconto.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
Un grazie di cuore. Adoro la fantascienza umoristica e l'antologia della Delos 'E la padella disse...' credo sia unica nel suo genere, tant'è che è esaurita da lungo tempo. Ogni tanto mi piace tornare a scrivere racconti del genere, ma per alleggerire le tensioni quotidiane, anche se quello che avete letto è alquanto vecchiotto. Grazie ancora a tutti.
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