Terry Brunetti si avviò mollemente per la strada
camminando con un’andatura flessuosa che faceva oscillare le rotondità dei
glutei in un altalenare ritmico. Tra l’orlo della minigonna, a due spanne dal
peritoneo ed i piedi infilati in due zatteroni dalla zeppa altissima, c’era un
paio di gambe vertiginose e statuarie inguainate in un collant fumé. La
minigonna e la camicetta di pizzo nero, anch’essa corta ed aderente che
sfiorava appena l’ombelico, mettevano in evidenza i fianchi larghi e la vita
sottile. I seni, ai quali pure il passo imponeva una lieve danza ritmica, erano
due provocanti emisferi ben torniti che sporgevano dalla cassa toracica come un
perentorio richiamo, guardando con un po’ di attenzione, neppure troppa, si
potevano scorgere sotto il pizzo della camicetta i grossi capezzoli che
sporgevano da essi con decisione. Sopra un collo sottile ed allungato che
avrebbe fatto l’invidia delle modelle di
Modigliani, il viso rivelava una bocca dalle labbra carnose che sporgevano
sensualmente, ed un paio di occhi grandi e neri sottolineati da ciglia la cui
lunghezza poteva misurarsi in unità astronomiche.
Incontrando Terry,
chiunque appartenesse sia pure vagamente al sesso maschile, non poteva fare a
meno di voltarsi, e chiunque non fosse del tutto digiuno di cultura
cinematografica avrebbe notato la somiglianza con Jessica Rabbit, tranne che
per i capelli che scendevano fin quasi alla vita e che invece di essere rossi e
solo lievemente ondulati, erano neri e ricciuti.
Terry, giunta alla fine
di un viottolo, estrasse un bigliettino dalla borsa a sacco che portava a tracolla,
e lo confrontò con l’iscrizione della targa sul cancello che chiudeva la via e
delimitava l’accesso ad un’elegante villa a due piani immersa nel verde e nella
tranquillità di un giardino all’inglese che si estendeva subito al di là di
esso. Sì, era quella la clinica del dottor Gilez per cui era stata caldamente
raccomandata. Suonò con decisione il campanello.
“Chi è?”, chiese al
citofono una voce maschile lievemente assonnata.
“Porca miseria che
sventola!”, sentì aggiungere poco dopo in tono lievemente più basso, e le venne
aperto prima ancora che si presentasse, era chiaro che la portineria disponeva
di una telecamera a circuito chiuso.
Percorse rapidamente il
vialetto che separava il cancello dall’ingresso della clinica, aprì la porta e
si trovò davanti al banco dell’accettazione. Dall’altra parte era seduto un
giovanotto in camice. Terry lo valutò rapidamente, era un tipo abbastanza
comune anche se non brutto, con l’aria da dottorino fresco di laurea.
“Buon, buon
gi...giorno”, balbettò lui senza staccarle un secondo gli occhi di dosso. “Io
sono Angeli, il me...medico di guardia, con chi ho il piacere?”
Terry gli mise sotto il
naso le sue referenze, ma lui non le degnò di un’occhiata, il suo sguardo era
perso nella scollatura di lei.
“Sono la nuova infermiera”,
disse. “Brunetti, Maria Teresa Brunetti, però per piacere mi chiami Terry, lo
fanno tutti!”
“Co...come preferisce”,
farfugliò lui, poi parve ritrovare un minimo di lucidità ed aggiunse: “Un
momento, avviso subito il dottor Gilez”. Schiacciò il pulsante del citofono e
disse qualcosa, poi aggiunse: “Si accomodi, il dottore l’aspetta”.
Terry entrò
nell’anticamera dello studio, l’ambiente elegantemente ammobiliato non mancava
di una certa pretenziosità. Si soffermò ad osservare la libreria alla parete, i
titoli dei volumi che vi erano esposti erano tutti classici della psicanalisi: Psicopatologia
della vita quotidiana e L’interpretazione dei sogni di Sigmund
Freud, Psicopatologia dei sogni e L’interpretazione della vita
quotidiana di Leonard Gilez, Il caso di Leonard Zelig, il camaleonte
umano di W. Allen, Moby Dick di Hermann Melville, Moby Dick
di Michele Santoro.
“Afanti!”, disse una
voce leggermente nasale da oltre la porta interna dello studio.
“Si accomodi, sig.norina
(con la “g” dura) ”, disse il dottor Gilez a Terry che era entrata, indicandole
la poltrona davanti alla sua scrivania, parlava l’italiano con l’accento
tedesco fasullo di un ebreo moravo.
Terry vide che il dottor
Gilez era un uomo attempato ma non vecchio, con i capelli grigi, una
semicalvizie, un paio di occhiali dalle lenti spesse, i baffi ed il pizzetto,
somigliava moltissimo alle foto che aveva visto di Sigmund Freud. Non le
piacque però il suo sguardo freddo: non che il dottore non avesse un
atteggiamento cordiale, ma non vi si coglievano segni d’interesse sessuale.
Terry sapeva di piacere agli uomini, e piacere agli uomini le piaceva. Il solo
maschio di età inferiore agli ottant’anni che non la degnasse di considerazione
sotto questo punto di vista, per quanto ne sapeva, era un giovanotto che aveva
avuto come vicino di casa, ma certamente c’entrava il fatto che questo ragazzo
si guadagnasse da vivere passeggiando la sera lungo i viali in minigonna,
tacchi alti e parrucca platinata, e si facesse chiamare Vanda.
“Molto pene, sig.norina
Brunetti”, disse il dottor Gilez, “Fedo che ha un curriculum eccellente. Posso
chiedere perché ha lasciato la casa di cura dove lavorava prima per fenire in
una clinica per malattie nerfose?”
“Pare”, rispose Terry,
“che la mia presenza fosse controindicata per i cardiopatici”.
“Cià, cià, io capisce”.
Il lavoro non era troppo
difficile, bastava distribuire in giro tranquillanti, antidepressivi e sonniferi,
occorreva solo ricordarsi di non dare antidepressivi ai pazienti in fase
maniacale. Quella sera, Terry aveva il turno di guardia notturno assieme al
dottor Angeli. Per sicurezza, aveva dato doppia dose di sonniferi a tutti,
anche ai catatonici. Il dottor Angeli non era la reincarnazione del dio Apollo,
ma era pur sempre il maschio più presentabile e più appetibile che ci fosse
nelle vicinanze, e Terry aveva una gran voglia di sentire la carne di un uomo
dentro la sua.
Alberto Angeli sedeva al
banco dell’accettazione/pronto soccorso con aria annoiata.
“È molto calma, questa
sera”, commentò.
“Ho preparato il caffè,
Alberto”, disse Terry dirigendosi ancheggiando verso di lui con in mano un
vassoio che reggeva una caffettiera e due tazze, aveva già sbottonato il
camice, e sotto di esso indossava una minigonna molto mini ed una camicetta
molto, mooolto scollata.
Il dottor Angeli la
guardò con ammirazione: c’era da chiedersi come facesse a mantenere in
equilibrio un vassoio muovendosi con un passo così elastico. Terry posò la
caffettiera sul banco stando bene attenta a mettere i suoi seni proprio contro
la faccia di lui. Il respiro del dottore si fece ansante e gli occhiali gli si
appannarono. Lei strofinò la guancia contro la sua, le piaceva sentire un’epidermide
maschile resa ruvida dall’ombra di barba.
“Dai, Angeli”, mormorò
con voce roca, “tira fuori il diavolo che c’è in te”.
Il bello di lavorare in
un ospedale, è che è un luogo dove i letti davvero non mancano. Terry ed Angeli
si ritrovarono su uno di quelli dell’astanteria quasi senza rendersi conto di
come ci erano arrivati. Lei gli sbottonò di prepotenza la camicia, mettendosi a
mordicchiare i piccoli capezzoli sperduti nella pelosità del torace, poi le sue
mani erano corse a sentir crescere e fiorire fra i palmi il membro di lui, e
mentre Angeli l’assecondava con un’aria di inebetita soddisfazione, con un
unico movimento rapido che pareva il gesto di un prestigiatore, si liberò di
zoccoli, collant e mutandine e si avvinghiò all’uomo stringendogli il bacino
con le gambe in modo che l’asta di lui penetrasse il suo pube, poi si mise a
dondolare ritmicamente con il corpo dell’uomo sotto di sé, con tutta la carne
attraversata da ondate pulsanti di piacere, fino a quando le sembrò che il suo
cervello esplodesse in una paradisiaca detonazione.
“Che curioso bambolotto!
Che cos’è?”, chiese Terry.
Sulla scrivania del
dottor Gilez era poggiato un pupazzo alto una sessantina di centimetri che
riproduceva le sembianze di un uomo dai capelli neri con una semicalvizie e la
faccia incorniciata da baffi e pizzetto neri, vestito con un abito nero
composto di pantaloni, giacca a doppio petto e panciotto; l’impressione
d’insieme era di uno straordinario realismo.
“Qvesto non è
bambolotto, qvesto è pogo”, rispose il dottor Gilez nel suo pessimo italiano.
“Lei, sig.norina sa cosa è pogo?”
“Non sono quei bastoni a
molla che usano i ragazzi per saltare?”, chiese Terry.
“Ia, ma pogo è anche
fumetto che era una volta, mi ha sembrato nome ideale per qvesti pupazzi molto
speziali da me inventati per curare sindrome di Zelig. Lei conosce sindrome di
Zelig? È sindrome che soggetto imita persone a lui vicine cambiando aspetto e
identità come camaleonte, ia, caso più famoso, da che nome, Leonard Zelig,
camaleonte umano studiato da grande psichiatra Woody Allen. Lei conosce? Pogo
dà possibilità a soggetto di scegliere e conservare un’identità permanente.
Oggi aspettiamo per visita di controllo due pazienti molto speziali e grandi
amici che seguo molti anni or sono. Luigi Ma Chi? e Silvio Sosia, sentito mai
parlare?”
“No”, rispose Terry,
“mai sentiti”.
“Strano, loro direttori Telos,
grande rivista fantascienza on line, se tu ha Internet, meglio che TV
sorrisi e canzoni. Fatti incontrati io. Se tu ha sindrome di Zelig, meglio
se è due, si aiuta a vicenda a rimanere stabili, si difende meglio da influenze
esterne, e poi un pogo in due si risparmia!”
Il dottor Gilez era così
eccitato da sembrare quasi umano.
Nel pomeriggio una
grossa automobile di colore grigio metallizzato si fermò davanti al cancello
della clinica. Il dottore corse di persona ad aprire il cancello in preda
all’entusiasmo. Dalla macchina uscirono due uomini dai capelli neri con una
semicalvizie e la faccia incorniciata da baffi e pizzetto neri, vestiti con
abiti neri composti da giacca, pantaloni e panciotto.
“Luigi, Silvio, fenite”,
disse il dottore, “Ah, tu non è Silvio e tu Luigi? Tu è Luigi e tu è Silvio? Io
distratto!”
“Fostro nuovo pogo qvasi
pronto”, proseguì ilare il dottor Gilez, “Intanto noi fa tutti soliti
controlli. Domani tutto fatto. Allora io ricorda. Importante leggere tutti i
giorni qvalche pagina Moby Dick. Se qvesto non possibile, gvardare
trasmissione Moby Dick di Michele Santoro, se neppure qvesto possibile,
fissare per un poco di tempo modellino di balena, meglio se bianco”.
Il dottore fece strada
ai due nuovi arrivati fino al suo studio, mentre Terry li guardava divertita,
constatando con sorpresa non solo la somiglianza reciproca nei lineamenti, nel
modo di fare, nell’abbigliamento, ma anche la somiglianza con il pogo che aveva
visto sulla scrivania del suo datore di lavoro.
“Pogo nuovo qvasi
pronto”, disse il dottor Gilez. “Io intanto dà pogo provvisori, se volete foi
divertire, io presta qvesti”.
Estrasse dall’armadietto
accanto alla scrivania due pogo, uno era una figura femminile che avrebbe
potuto passare per una bambola tranne per il fatto che era perfetta in tutti
i particolari anatomici, l’altro era una specie di Big Jim.
“Allora”, Terry sentì
Luigi dire a Silvio (o Silvio dire a Luigi), “chi prende il pogo maschile e chi
quello femminile?”
“Decidiamo nel solito
modo”.
“Ambarabaciccicocò”.
Terry pensò che fosse
giunto il momento di smettere di origliare con discrezione, e di tornare discretamente
alle proprie incombenze.
“Attenta, tu lustra
pafimento con tua faccia!”
Terry sollevò lo sguardo
imbronciato ad incontrare il volto ilare del dottor Gilez.
“Forse io sa tuo
problema e può aiutare”, disse lo psichiatra, “tu ha fatto zin-zin con
dottor Angeli, non è vero?”
“Come lo sa?”, chiese
Terry. “Gliel’ha detto?”
“Certo che no, ma
l’altra mattina tu ha faccia di una che ha fatto zin-zin sera prima. Con
me, io so che no, con altre infermiere non sembri tipo, resta Angeli, elementare,
Watson. Niente di male fare zin-zin con dottor Angeli, io so che lui
bravo ragazzo, ma ora tua faccia dice che foi provato di nuofo ieri sera e
nisba, buca, lui fatto cilecca, n’est pas?”
Terry annuì tristemente.
“Io sa perché e può
aiutare”, disse il dottore. “Tu troppo sensuale, aggressifa, tu piace a uomini,
ma anche li spafenta. Prima volta andato tutto pene perché preso Angeli alla
sprovvista, seconda volta uccellino troppo nervoso per volare. Madonna
complex, vecchia storia”.
“Allora, cosa devo
fare?”
“Cara ragazza, essere un
pochino più tranquilla, più rilassata, moderare i tuoi istinti, zin-zin
è difertimento, non maratona di New York, ed io può aiutare, tu segue me in mio
studio”.
Nello studio, il dottor
Gilez aprì l’armadietto dei pogo e ne tolse uno in abiti monacali.
Terry guardò il
manichino – suora dall’espressione arcigna con ribrezzo.
“Cosa?”, disse con un
moto di disgusto. “E dovrei trasformarmi in una monaca?”
“No, certo che no”,
disse il dottore, “Se tu non ha sindrome di Zelig, pogo non ha effetto fino a
qvesto punto, solo modera un poco tuoi istinti”.
Terry si recò nella sua stanza e cercò di
concentrarsi sul pogo come le aveva spiegato il dottor Gilez. Non era per nulla
facile entrare in sintonia con quell’arcigno pupazzo, si sforzò di rievocare i
ricordi dell’infanzia, di quando aveva fatto il catechismo e la prima
comunione, poi d’immaginarsi con l’abito monacale, di evocare sentimenti
mistici, e lentamente finì per provare una specie di senso di fusione...una
sensazione di contentezza le attraversò la mente: stava per arrivare
un’infornata di novizie, e già pregustava il contatto con le loro carni tenere
e bianche. Con sforzo, si strappò da quella visione.
“Che schifo”, pensò.
“Che schifo!”
Era incredibile la
quantità di porcherie che si facevano entro le mura dei conventi, e poi le ci
voleva proprio di diventare lesbica, pensò nauseata.
Con rabbia, scagliò il
pogo in un angolo, poi, per essere sicura che non potesse avere ulteriore
influenza su di lei, lo raccolse e l’andò a gettare nell’inceneritore di
rifiuti della clinica.
“Non c’è niente in me
che non vada”, pensò. “Il problema è di Alberto”.
Ma come lo si poteva
aiutare? Una dose di valium l’avrebbe lasciato calmo e rilassato, ma ugualmente
con l’asta pendula. Si ricordò dei due pogo che il dottor Gilez aveva dato a
Silvio Sosia e Luigi Ma Chi? Al momento, i due direttori di Telos non
erano nella clinica, essendo più ospiti che pazienti, erano andati a fare una
passeggiata o forse acquisti in centro città. Il pogo maschile, pensò, sarebbe
servito a rafforzare la momentaneamente inceppata virilità di Alberto Angeli.
Si recò nella camera che il dottor Gilez aveva fatto assegnare ai due: i pogo
erano poggiati sui comodini ai lati dei letti, prese senza esitare il Big Jim.
Terry non era ancora
riuscita a vedere il dottor Angeli per dargli il pogo. Alberto era stato
impegnato nel consueto giro di viste, poi era uscito dalla clinica per sbrigare
una faccenda urgente. In quel momento, Maria Teresa Brunetti sedeva al computer
per registrare le variazioni su alcune cartelle cliniche. Ad un tratto lo
schermo cambiò, emettendo una luce verdastra abbagliante, e ne emerse una
specie di ectoplasma verdastro che l’avvolse tutta, tenendola bloccata alla
poltrona, incapace di muoversi. La schermata sul monitor venne sostituita da una
scritta:
“RESTITUISCI IL POGO CHE
HAI RUBATO!”
Sosia e Ma Chi?, erano
certamente loro, si era dimenticata che erano degli esperti in diavolerie
elettroniche!
Terry sapeva di essersi
comportata male, e sarebbe stata più che disposta a chiedere scusa ed a
restituire il maltolto se soltanto glielo avessero chiesto nelle dovute forme,
ma non sopportava la maleducazione.
“Neanche per sogno!”,
rispose decisa.
La scritta lampeggiò.
“AVANTI!, DOVE È IL
POGO?”
“Cercatelo da soli, e
andate a farvi fottere, ma quello lo fate già!”
“È LA TUA ULTIMA
PAROLA?”
“Si”.
Dallo schermo uscì un
nuovo ectoplasma elettronico, più denso dell’altro, sembrava una specie di
grande lingua verdastra, che prese a passare su ogni parte del suo corpo, strappandole
brividi e gemiti, eppure non era una sensazione spiacevole, non era affatto spiacevole,
e questa era in un certo senso la cosa peggiore, poi l’ectoplasma, in tutto
simile ad un pene etereo ma stranamente consistente, si aprì la strada fra le
sue cosce e poi all’interno del suo corpo, con insistenza eppure con
delicatezza, su e giù, fino a farla urlare come non le era mai avvenuto con
nessun uomo, e poi ritrarsi lasciandola inebetita.
Quando si riebbe dallo
stordimento, Terry si accorse che l’intensità dell’orgasmo mitigava appena la
rabbia per essere stata vittima di uno stupro elettronico. Non aveva mai
permesso a nessun uomo di trattarla così, né l’avrebbe mai permesso. Quei due
la dovevano pagare!
In pochi istanti
architettò la sua vendetta, e decise di porla in essere senza perdere tempo.
Per prima cosa, telefonò
alla radio – taxi. Doveva esserci un taxi pronto ad aspettarla fuori dalla
clinica non appena avesse finito, quindi si procurò un sacco di quelli che si
usavano per la biancheria sporca e si recò nello studio del dottor Gilez che in
quel momento era deserto. Aveva fortuna, il pogo di Sosia e Ma Chi? era ancora
sulla scrivania, l’agguantò e lo scaraventò nel sacco, ma sapeva che non
bastava. L’armadietto dei pogo era chiuso, ma si trattava di una semplice
chiusura a combinazione, nulla che potesse resistere ad una buona limetta per
unghie e ad una donna infuriata, lo scassinò e ne vuotò il contenuto dentro il
sacco. Un pogo che le capitò fra le mani era la riproduzione perfetta in ogni minimo
dettaglio di Sigmund Freud: capì, il dottor Gilez era lui stesso uno dei suoi
pazienti. Per un istante fu tentata di rimetterlo a posto, ma questo avrebbe
significato rinunciare alla sua vendetta.
“Al diavolo!” pensò.
“Quel vecchio saccente e impotente merita anche lui una lezione”.
Corse fuori dalla
clinica, balzò sul taxi che l’aspettava, disse all’autista di portarla fuori di
città alla massima velocità possibile e si lasciò la clinica alle spalle.
L’ultima notizia che abbiamo di lei ci è stata riferita dall’autista del taxi
che la vide gettare oltre la spalletta di un canale d’irrigazione il grosso
sacco che aveva con sé.
Il dottor Gilez era
appena rientrato nella clinica quando si accorse che qualcosa non andava. Le
sue mani stavano assumendo il colore e il disegno della tappezzeria.
“Non ci sono
più...pogo”, riuscì a mormorare con un filo di voce rivolto a Sosia e Ma Chi?
che erano chini sul loro personal portatile e sembravano intenti a
qualche misteriosa alchimia, poi il suo corpo cominciò a fondersi come cera, a
liquefarsi, a confondersi con l’ambiente. Silvio e Luigi compresero che non
c’era un istante da perdere, dovevano trovare subito un surrogato di pogo: un
pupazzo, un bambolotto, una figurina Panini!
Su quello che accadde
subito dopo, c’è una grande incertezza: la polizia ha raccolto la testimonianza
di una ragazzina ricoverata nella clinica per anoressia, che ha dichiarato di
aver visto qualcosa di simile ad una figura umana che sembrava fatta di cera
che colava introdursi nella sua camera e rubare la sua bambola Barbie.
Questa testimonianza è in genere considerata un sogno od un’allucinazione
prodotta dalla febbre.
I dati certi di cui
disponiamo sono questi: Maria Teresa Brunetti è scomparsa senza dare notizie di
sé, attualmente è ricercata per furto con scasso. Neppure del dottor Gilez si
hanno notizie, la sua clinica è diventata la clinica Angeli per malattie
nervose. Anche Silvio Sosia e Luigi Ma Chi? sono scomparsi dalla circolazione.
La rivista elettronica Telos ha sospeso le pubblicazioni. Da qualche
tempo, due ballerine bionde con un’aria vagamente da Barbie stanno
furoreggiando sulle reti locali, e si prevede che approdino presto alla
televisione nazionale.
Dada Umpa, Dada Umpa!
Dada Umpa, Dada Umpa!
Umpa!
Divertente, molto simpatico questo racconto fantastico di Fabio. Stile avvincente come sempre.
RispondiEliminaMolto divertente, satirico e amaro. Notevole l'idea dei poghi, ma il racconto, oltre a questo, è davvero ricco di spunti di riflessione. Davvero originale, complimenti!
RispondiEliminaDavvero un bel racconto. Scritto molto bene.
RispondiEliminaG.S.
Intrigante per quanto riguarda l'argomento, scritto bene e avvincente nella sua struttura narrativa. L'ironia e la satira non mancano e danno pepe al racconto.
RispondiEliminaGiuseppe Novellino
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