Rimasi sprofondato nella mia poltrona tutta la
sera.
Quando avevo acceso il televisore, un sibilo
sottile, simile al soffio di un serpente infuriato, mi aveva provocato un
brivido inspiegabile. Quel rumore che sa di valvole e di malfide radiazioni,
non mi era mai piaciuto.
Per fortuna fu subito coperto dal berciare di
due comari. Stavano “dando” una commedia. Anche le commedie registrate, in
studio, per la televisione, hanno qualcosa di vacuo e di spettrale; manca
quella frizzante tensione che il pubblico sa dare agli attori. Meglio le
riprese dal vivo. Infatti gli attori seminavano il loro interloquire di pause
troppo lunghe, innaturali, che, chissà perché, quella
sera mi parevano foriere di oscuri presagi.
Meglio quello comunque che il ronzio iniziale.
Quindi mi gustai la commedia, per quel che era.
Fra un tempo e l’altro: o gioia, la pubblicità!
Così invadente e inopportuna, traboccante di luoghi comuni e lampanti
falsità. O sono i
luoghi comuni essi stessi delle falsità?
Il secondo tempo mi annoiò o non so proprio perché non cambiai canale. Forse perché, all’epoca, di canali ce n’erano due.
Per quanto quell’opera fosse
ritenuta un capolavoro, trovavo i momenti umoristici un po’ troppo voluti – che fosse un problema di regia?
La cosa finì in lieti fini e inchini e fu ancora pubblicità – ricordo che restai basito di fronte all’assurdità di uno spot che inneggiava alla rudezza maschia. Infine il
telegiornale.
Il cronista mi sembrava un anacronismo da
cinegiornale di un tempo che fu, mentre sciorinava con enfasi e stupore notizie
che avrebbero potuto essere prese, pari pari, dal giornale del giorno prima.
In quell’uomo mi disturbava qualcosa. La divergenza totale con la mia persona.
Lui, almeno apparentemente fresco come una rosa,
azzimato, orgoglioso della sua vita e della sua professione che si esplicava ai
massimi livelli proprio davanti ai miei occhi, mentre compiaciuto conversava
con tutto il paese.
Io, demotivato, scarmigliato e abbruttito dal
sonno e da una serata trascorsa davanti a quella finestra elettronica.
Durante la sua performance, mi alzai più volte a risistemare il cuscino della poltrona,
che rende le mie sere più
insopportabili e il mio abbruttimento più consapevole; verso la fine di una serata inizia a scivolare in
avanti, come se volesse buttarmi a terra. Come sempre il tentativo fu vano.
Quel cuscino, in quei momenti, vuole semplicemente dirmi che non ne può più del mio peso e del mio modo sconnesso di stare seduto. Non restava
quindi che arrendersi e andare a dormire.
Sistemai la poltrona in modo definitivo e mi
avvicinai al televisore, che nel frattempo aveva smesso di sfornare notizie.
Mi bruciò sul tempo la comparsa del bel volto dell’annunciatrice e io capii che non avrei
sopportato il resoconto dei programmi del giorno seguente: la tv dei ragazzi,
le rubriche culturali, il filmone del
lunedì e la chiosa finale.
Ma fu proprio allora che accadde una cosa
imprevista. Fulminea.
Quando premetti l’interruttore l’immagine, come di consueto, si restrinse fino a
scomparire. In pochi secondi. Attimi che non furono poi sufficienti a giudicare
davvero… però… giurerei di aver visto su quel viso un’espressione di terrore.
Proprio come se si stesse… accorgendo di ciò che io avevo appena fatto.
Speriamo di
non averla uccisa, pensai con
un filo di humor nero. E andai a dormire.
La mattina seguente rimasi a bocca aperta
leggendo questa notizia sul giornale appena acquistato:
Un’annunciatrice muore davanti a milioni di
telespettatori. Il medico: un collasso veramente inspiegabile!
Dalle fotografie vidi che si trattava proprio
della “mia” annunciatrice. Il che si potrebbe dire certo
una coincidenza, anzi una quasi certezza, dato che eravamo in milioni a
guardarla. Per qualche istante lo pensai anch’io.
Per sicurezza, però, chiamai un tizio che si occupava di
elettrotecnica e gli offrii di acquistare il mio televisore. Un oggetto che mi
faceva sentire in colpa.
La cifra che chiesi era un vero affare per lui
che accettò di buon
grado.
«I migliori affari sono quelli che soddisfano
entrambe le parti,» commentai
io mentre lo accompagnavo alla porta e lui se ne andò inarcato sotto il peso del suo affarone.
Dopo un istante, tuttavia, ebbi un ripensamento
e lo rincorsi per strada. Lui ritenne che io volessi riprendermi l’apparecchio e lo strinse a sé preoccupato. Io invece volevo regalargli anche
una radiolina che avevo in cucina.
Mi guardò senza capire e io, andandomene, dissi: «Beh, sa… Non vorrei che qualcuno restasse muto per causa mia.»
Oggi da me c’è molto silenzio. Leggo libri. Osservo i passanti dalla mia finestra.
Bellissimo racconto, quello di Giorgio: incisivo, avvincente, ben scritto.
RispondiEliminaMolto bravo.
RispondiEliminaAlla fine, in ogni caso, è sempre meglio un buon libro che bruciarsi il cervello davanti a troppa tv.
Meditate giovani, meditate.
Complimenti Giorgio.
Complimenti Giorgio, mi è piaciuto molto il tuo racconto.
RispondiEliminaUn racconto intimista e umoristico che mi è piaciuto davvero molto, nel finale in particolare mi ha ricordato Fante, scrittore che amo alla follia.
RispondiEliminaDel resto, però,forse non sono il più adatto a esprimere opinioni su questo racconto... infatti Giorgio ha espresso delle considerazioni sul teatro in versione televisiva che condivido al punto da rasentare il coinvolgimento emotivo. E come si sa chi è troppo coinvolto finisce per perdere in lucidità.
Quella del racconto è una televisione che rimanda agli anni '60, quando si limitava ad essere una maestra un po' ambigua, forse già cattiva, come disse poi Popper. Ma che dire della tv spazzatura dei nostri giorni, di quell'indigesto miscuglio di giochi demenziali, volgarità, storielle per teen agers, cartoni di pessimo gusto, talkshow al vetriolo... il tutto condito abbondantemente da pubblicità e vendite promozionali? Il protagonista del nostro racconto come reagirebbe, oggi, alla scoperta di essere un uccisore di immagini?
RispondiEliminaIn questa bella narrazione, piena di amaro umorismo, scopriamo che il telespettatore è un mandante, mentre l'apparecchio è un vero e proprio killer. Gustosa storia fantasy che diverte e induce a pensare, riconducendo il lettore all'amore per il libro e per la vera arte, anche quella di immagini, che si gusta, semmai, nel raccoglimento di una sala cinematoigrafica.
Giuseppe Novellino
Vi ringrazio tutti. In verità si tratta di un racconto del 1976 e, anche se opportunamente rivisto, forse è un po' datato. Vi è piaciuto solo perché in fondo le cose da allora non sono poi tanto cambiate...
RispondiEliminaGiorgio