Quando il Magro entrò, ero ormai giunto al
limite della mia capacità di sopportazione, e riflettevo sulla possibilità di
ricorrere a drastici rimedi. Avevo persino afferrato le tenaglie da meccanico
che mi aveva prestato Willogh, e stavo soppesando i pro e i contro. Non so che
cosa sarebbe potuto accadere di lì a poco; però, fortunatamente, fu in quel
preciso momento che il Magro sopraggiunse, recandomi notizie.
Mi avventai quasi addosso a lui.
—Allora?...
II suo sorriso mi rinfrancò.
—Tutto a posto, capo —mi disse—. Il G.P.N. è
già localizzato. Può star tranquillo.
Lo invitai a sedersi sopra una grande cassa
che era lì, e mi piazzai di fronte a lui.
—Sono in parecchi? —gli domandai.
—Be’... —rispose, dopo aver riflettuto per
qualche istante—. Sono abbastanza, però hanno tre paralitici e un cieco.
Secondo me dovremmo farcela, soprattutto se riusciamo a coglierli di sorpresa.
Si vede lontano un miglio che sono gente inesperta, e che non si aspettano
nulla del genere.
—Ce la faremo! —esclamai. “Dobbiamo farcela...”,
aggiunsi tra me—. Dimmi un po’, Magro, che si sa del G.P.N.? È un uomo o una
donna?
Lui si grattó un’ascella sotto la pelle di cane
che indossava, poi rispose:
—Qui proprio non so che dirle. L’informazione
me l’ha passata Sammy, e su questo punto non s’è pronunciato.
—Comunque spero che sia un uomo— replicai—.
Altrimenti la faccenda sarà molto più complicata... Va bene, Magro, vammi a
chiamare gli altri —ordinai infine.
Tempo un minuto, tutti i rappresentanti maschi
del gruppo s’erano riuniti lì, sistemandosi alla meno peggio in mezzo ai rottami,
e mi guardavano allo stesso modo di un cane che contempla il suo padrone.
Sapevano già di che si trattava, e poi tre o quattro di loro erano disperati
quanto me. “Tanto meglio!”, pensai. “Così non si fermeranno di fronte a nulla.”
—Allora, ragazzi —incominciai—. Il
G.P.N. è stato localizzato. Il Magro, qui, vi dirà tutto quello che sappiamo.
Dai, Magro.
Lui si fece avanti ostentando una cert’aria
d’importanza —suppongo che non riesca
a dimenticare i bei tempi quando faceva il sindacalista ed era abituato a
parlare in pubblico—, e appoggiatosi
al randello assunse un atteggiamento che dovette sembrargli sommamente
dignitoso... e che probabilmente almeno un po’ doveva esserlo; certo che se la
sarebbe cavata molto meglio, se la testa pelata e le cicatrici non avessero
nociuto all’effetto generale.
—A quanto mi ha comunicato Sammy, dovrebbero
essere una trentina —esordì—. Si trovano al Metropolitan Museum.
Ovviamente, sono ben protetti. Le strade intorno risultano tutte ostruite dalle
macerie. Però noi ci apriremo un passaggio —declamò,
levando l’indice in gesto audace—,
grazie al nostro sforzo comune e al nostro spirito di corpo, e tutt’insieme
sapremo giungere al culmine del...
—Basta cosí, Magro —lo interruppi—. Non
siamo a un’assemblea. Faremo meglio ad iniziare i preparativi per l'attacco.
E subito ci mettemmo all’opera. II nostro
gruppo è pratico di simili scontri, anche se come capo non dovrei dirlo, ed in
pochi minuti avevamo già abbozzato un piano d’azione.
—Non aspetteremo la notte —annunziai—.
È ciò che fanno tutti, e quindi è un sistema con cui non è più possibile
sorprendere nessuno. Noi, invece, gli piomberemo addosso proprio sul
mezzogiorno... —Ignorai il mormorio che si levò immediatamente dagli uomini, e
proseguii—: Nel pieno del caldo, la
maggior parte starà riposando, e le sentinelle non si aspetteranno niente di
più pericoloso della puntura di una zanzara. Quello sarà il momento giusto per
dargliele di santa ragione.
—Aspetta! —obiettò
Doc, fissandomi attraverso la montatura senza lenti che si ostinava a portare
davanti agli occhi, a dispetto di lutto e di tutti... sebbene non s'accordasse
granchè col mantello di visone che lui indossava sopra la biancheria a
brandelli—. Se procediamo così alio
scoperto ci vedranno subito, e per loro sarà facile tenderci un’imboscata.
Matt, devi essere impazzito! Come vuole la logica, dobbiamo andarci di notte.
—Sta’
zitto, Doc, non far vedere a tutti quanto ti s’è atrofizzato il cervello! Chi
ha parlarto di procedere allo scoperto? Ci muoveremo al riparo delle macerie,
idiota. Prima li circonderemo, poi uno o due di noi si faranno vedere, e quando
quelli cercheranno di catturarli, noialtri gli piomberemo addosso da ogni lato.
Ti dico che è il sistema migliore!
—Matt ha ragione! —gridó Bull.
Bull mi appoggia sempre. Anche lui, come me,
è stato peso medio, e le uniche credenziali che riconosce sono dei buoni pugni.
Quando avevo preso il comando, fra tutt’e due non avevamo avuto difficoltà a
liquidare i pochi oppositori... e adesso lo vedevo pronto ad impiegare metodi
analoghi contro chiunque non si mostrasse d’accordo. Ma non era il momento
adatto: avevamo bisogno che tutti gli uomini fossero in perfetta forma. Lo feci
capire a Bull, dopo di che andai avanti usando il ragionamento.
—Tutte le loro difese sono state approntate
in vista di attacchi notturni —spiegai pazientemente—. Quindi un attacco in
pieno giorno li coglierà di sorpresa.
—E come fai a sapere che troveremo dove nasconderci?
—tornó ad intromettersi quel rompiscatole di Doc.
—Non ti preoccupare. Qualche giorno fa, io e
il Magro abbiamo esplorato insieme a Durkey i dintorni di Central Park. Ci sono
da ogni parte montagne di detriti. Alberi caduti, fogliame...; un po’ di tutto.
Quanto al Metropolitan, nel muro di dietro ha un buco grosso come un elefante.
Se fosse necessario potremmo infilarci di là... Non è vero, Magro? Se li
becchiamo nel salone principale, sono fritti.
Ci furono ancora le obiezioni di qualche
testardo, ma alla fine riuscimmo a convincere tutti. Quindi passammo a preparare
con cura l’armamento. Lustrammo i nostri randelli e fissammo nuove strisce di
cuoio sulle punte. Ci calzammo nel miglior modo possibile (io avevo un paio di
stivaletti di vernice dissotterrati tra le rovine di un negozio, mi pare che
fosse Macy’s), e chi poteva si mise una protezione sulla testa. Anch’io avrei
voluto ripararmela, specialmente la metà calva, ma avevo perduto il mio elmetto
da pompiere giorni prima durante un tentativo di attraversare il Ponte di
Brooklyn, appeso a quel che restava dei cavi tranciati. Ordinammo inoltre alle
donne d’incominciare a preparare acqua calda e stracci per le medicazioni,
perchè bisognava esser pronti a curare quelli che potessero averne bisogno:
ovviamente, non c’illudevamo di uscirne indenni. Io, comunque, mi tenni a
disposizione due donne per un altro lavoro; m’era infatti venuto in mente
qualcosa che avrebbe dato il tocco finale, da maestro, al nostro piano di
battaglia. Rimaneva infine la questione più importante: bisognava perquisire
accuratamente ogni membro del gruppo, per verificare che nessuno nascondesse
indosso delle armi. Solo un mese prima, nel corso d’una zuffa era venuto fuori
un pugnale, e c’era scappato il morto. E queste son cose che bisogna evitare ad
ogni costo. Siamo rimasti troppo pochi, a Manhattan, perchè ci si possa
per-mettere il lusso di liquidarci a quel modo. Prendersi a bastonate va bene: è la legge dei gruppi, e
purtroppo è l’unico modo
d’intendersi. Ma niente colpi d’arma da fuoco, e neppure coltellate. Chiunque
infranga questa legge fondamentale è
condannato ad un ostracismo rigoroso, il peggiore dei castighi. Un
uomo solo non dura a lungo, di questi tempi: se non muore di fame ci pensano i
topi o i cani selvaggi, oppure finisce schiacciato sotto qualche crollo
ritardatario... È una legge molto dura, però non c’è dubbio che è l’unico modo
per evitare i colpi proibiti durante i combattimenti fra gruppi rivali.
Finalmente fummo pronti a partire. “Proprio
una bella truppa!”, mi dissi tristemente, pensando allo Golfo e guardando l’aspetto
dei miei uomini, coperti di lividi e cicatrici e mascherati come per un
carnevale. Pero sapevano picchiar forte, e questo era l’importante. Ci mettemmo
in marcia, avanzando carponi dietro i mucchi di mattoni, calcina, cemento e
putrelle contorte che un tempo..., quanti anni prima?... avevano avuto il nome
elegante di Rockefeller Center.
Impossibile procedere per la Quinta Strada:
neppure con una gru saremmo riusciti ad aprirci un passaggio. Madison, al
contrario, essendo anche troppo sgombra, non faceva al caso nostro: c’é sempre
qualche vedetta che gironzola da quelle parti. Imboccammo il Viale delle Americhe,
tagliando per le stradine laterali ogni qual volta gli ostacoli si facevano troppo
grandi perchè si potesse superarli. All’altezza della Cinquantasette-sima
Strada fummo arrestati dal buco più grande che avessi mai visto.
—Alt! —ordinai levando una mano—. C’è una
tana di mammut.
È così che chiamiamo i crateri scavati dalle
bombe, dato che il classico nome di “tana di volpe” risulterebbe inadeguato...
Chi ha mai sentito parlare di volpi di novantotto metri? La tana di mammut era
inondata. Si sarebbe potuto attraversarla sopra i tavoloni che galleggiavano
nell’acqua fangosa, ma avrebbe signifícato esporsi troppo. Quindi preferii
aggirare le macerie fino a Columbus: questa manovra ci allontanò, ma era meglio
esser prudenti.
Entrammo nel parco per la Sessantaseiesima, e
ci aprimmo poi la strada a colpi di randello attraverso quella che si poteva
definire una foresta vera e propria. Ormai era quasi mezzogiorno, e il caldo
incominciava a farsi sentire. Il sudore c’incollava al corpo le pellicce, ed un
profumo non molto floreale prese a
diffondersi attorno a noi.
—Porcaccia miseria! —brontolò Curls,
grattandosi la villosa protuberanza dell’addome—. Stai a vedere che quelli ci
scoprono all’odore... Dovremmo fare un bagno, almeno una volta all’anno!
Alcuni risero, ma a me non riuscì. In
compenso, mi carezzai la guancia.
—Dobbiamo portargli via il G.P.N. —ricordai, e le mie dita si strinsero attorno
al randello.
—State zitti, animali! —borbottó Bull incavolato—. Ci sentiranno!
Attraversammo quello che era stato il
giardino zoologico, trasformato ora in una foresta di sbarre ridolte in polliglia
e corpi di animali in decomposizione. Due gatti pelle e ossa, che banchettavano
sopra i resti di un quadrupede irriconoscibile, fuggirono precipitosamenle, col
pelo irto ed i gialli occhi impazziti. Non potei fare a meno di rabbrividire,
di fronte alla visione d’incubo dei due felini, e mi domandai quale aspetto
potessi avere io stesso, con una barba di sei settimane su un solo lato del
viso, una guancia gonfia e una metà della testa liscia come un uovo; per
completare il quadro, indossavo un paio di mutandoni da donna e brandivo un
randello...
Usciti dallo zoo corremmo a ripararci sotto
un tronco gigantesco. La fortuna sembrava esser dalla nostra: rami e foglie
formavano un fitto sipario davanti a noi, cosicché potevamo avvicinarci
abbastanza senza esser visti.
Finalmente scorgemmo la punta dell’obelisco
di Cleopatra. Per ironia della sorte era rimasto in piedi, mentre l’Empire, il
Chrisler e la Cattedrale di San Patrizio, più giovani di secoli, mordevano
l’asfalto. A fianco dell’obelisco, il vecchio Metropolitan Museum ostentava le
ferite sanguinose inferte alie sue strutture murarie.
—Bene —annunziai—. Ora tocca ai volontari.
Silenzio. Tutti parevano intenti a guardare altrove.
—Ci penso io a convincertene un paio, Matt
—propose Bull stringendo i suoi pugni enormi. Ma io scossi la testa.
—Basteremo noi due, Bull. Voialtri resterete
agli ordini del Magro. Dovete circondare la zona, e quando mi vedete indicare l’obelisco,
attaccate.
Qualcuno protestò ancora, ma alla fine si lasciò convincere.
Io e Bull ci caricammo addosso delle pelli di
vacca riempite di carta (era quello il compito che prima avevo assegnato alie
donne) e c’incamminammo senza esitare verso il museo in rovina.
Non passò molto che ci venne gridato di fermarci.
—Vogliamo unirci al vostro gruppo! —berciai—.
Portiamo cibo!
Abracadabra. Le pelli di vacca riempite sembravano, di
lontano, un animale morto, e quella gente era tanto affamata che non fiutò
l’inganno. Esitarono un poco, ma poi emersero uno dopo l’altro dal loro
nascondiglio e ci si fecero attorno, leccandosi già le labbra in previsione.
—Da dove venite? —ci chiese un gigante dalla
folla barba bionda che senza dubbio era il loro capo. Indossava un mantello dal collo alto ed un paio di
ridicoli bermuda.
—Dalla campagna —risposi.
—Come mai non vi abbiamo visto avvicinarvi?
—Perché siamo venuti attraverso il parco, da
quella parte... —dissi, e indicai l’obelisco.
La mia era una truppa disciplinata: in pochi
secondi ci furono addosso. La sorpresa fu totale. II rumore delle teste bastonate
era musica per le mie orecchie. In mezzo a quella gragnuola di randellate
cercai con gli occhi il G.P.N., e non mi fu difficile localizzarlo. Per fortuna
si trattava di un uomo. II suo atteggiamento era quello solito: assisteva alla
lotta con aria un poco assente, come se lo riguardasse solo indirettamente.
Aveva nel contegno qualcosa dell’appassionato, dello spettatore di un incontro
di rugby: l’interessato sapeva che, qualunque fosse il risultato, luí avrebbe
continuato a passarsela egregiamente, quindi non gl’importava un granchè quale
gruppo lo avrebbe adottato. E poi si vedeva bene che era abituato a passar
frequentemente di mano in mano. Appoggiato sui gomiti al davanzale di una
finestra, ci osservava condiscendente coi suoi piccoli occhi astuti.
Finalmente il biondo alzò una mano.
—Va... va bene... —ansimò, tamponandosi il
sangue che gli colava dal naso non più prominente, ora, ma schiacciato—.
Avete... vinto voi... Ma che... diavolo... volete?
—Ve la caverete a buon mercato —risposi—. Noi
prendiamo il G.P.N., e
voi potete tenervi tutto il resto.
Mi lanciò coi suoi occhi grigi uno sguardo
supplichevole, ma non mi lasciai intenerire. In primo luogo, nel gruppo eravamo
tutti d’accordo, e poi... Ripensai, con un brivido, alie tenaglie del
meccanico.
Se ne andarono. L’uomo alla finestra,
comprendendo, discese lentamente per venirci incontro. Era piuttosto basso,
calvo, e aveva nei suoi modi un’insultante aria di superiorità. Indossava un
vestito abbastanza decente, benchè proprio nel didietro spiccasse un rattoppo
di color vermiglio. Notai, con indicibile sollievo, che portava sotto il
braccio una borsetta nera.
—Mi piace il pesce —dichiaró a bruciapelo.
—Va bene —risposi.
—E dormire sopra un materasso morbido, se non
le dispiace.
—Va bene... lo avrà.
—E, naturalmente, un buon alloggio —azzardò.
—E anche fuoco, e donne, e tutto quello che
vorrá —assicurai.
Si passò la lingua sulle labbra sottili.
—Donne... con i capelli?
—Ce ne rimangono nove... due bionde —e mi
morsi la lingua pensando a Lydia.
—Molto bene. Vengo con voi.
In un attimo i miei uomini lo circondarono,
ma io mi feci strada a forza di spintoni ben piazzati.
—Indietro, maiali! —gridai.
Afferrai l’ometto per un braccio e lo
trascinai via, ignorando il coro di proteste gutturali che subito si levò.
Penetrai, insieme al Genere di Prima Necessità, all’interno del museo,
lasciandomi poi cadere sul primo sedile che mi capitò.
Impaziente, bramoso, lo guardai.
—Prima io, dottore! —gli dissi con voce
supplichevole—. Questo maledetto molare mi sta facendo impazzire!
E spalancai la bocca che più grande non potevo.