All'interno di una nebulosa sala da bar, avvelenata
dal persistente aleggiare del forte aroma di sigarette avidamente consumate dai
numerosi invisibili avventori, su di uno sgabello sghimbescio all'estremità di
un sudicio bancone di mogano, è seduto un uomo vestito con un abito grigio
logorato dall'inesorabile scorrere indefinito del tempo. Dalla caustica espressione
del suo volto persa nell'insulso vuoto della sua esistenza, sembra portare con
sé un dolore spinto ai limiti della sopportazione a causa dell'infrangersi di
un sogno. Quell'uomo si chiama Sam Harris e da anni ormai ha perso la speranza
di poter sopravvivere nella giungla di cemento che per qualche astruso motivo
lo sta ancora avvolgendo. L'uomo che si
trova dall'altra parte del bancone invece è un certo Brad Coley, ottimo dispensatore
di alcoliche illusioni e di lungimiranti consigli, nonché l'unico essere umano
in grado di comunicare con il genere di persone che del proprio passato ne
hanno fatto una questione puramente personale.
"Direi che per
stasera è tutto. Va a casa ora, vecchio mio.""Che succede, Brad, ti stai affezionando a me per caso?"
"No, Sam, mi chiedo solamente come faccia un uomo senza peccato come te a non rendersi conto delle proprie condizioni."
"Brad, amico mio, come ti sentiresti se per due lunghi anni non riuscissi più a chiudere gli occhi pur cercando disperatamente di non pensare a Chris, a Susan e a Debbie... interamente carbonizzate?"
"Non è detto che l'alcol sia l'unica soluzione a questo problema, Sam."
"Ne abbiamo già parlato, Brad... "
"Voglio farti una domanda allora."
"Ti ascolto... "
"Come fai a non renderti conto dell'assillante silenzio che ogni giorno ti circonda senza mai darti tregua, possibile che tu non riesca a trovare la forza di capire che ormai sei un intruso?"
"Buonanotte, Brad, a domani."
Quella notte Sam uscì dal bar intorno alle tre di mattina caracollando a destra e a sinistra senza alcuna meta, alla ricerca di un microscopico pezzo di se stesso.
Camminando silenziosamente si ritrovò di fronte a un enorme palazzo nero alto circa duecento metri tutto illuminato, al cui interno era possibile intravedere centinaia di impiegati tutti assorti a svolgere compitamente il loro lavoro. Rimase stupito da quell'immagine soltanto per alcuni secondi incapace com'era di porsi domande che andassero ben oltre la sua comprensione, e senza tergiversare si lasciò sprofondare mestamente tra le braccia del proprio oblio, rivolgendo il suo sguardo oltre l'infinito grigiore dell'asfalto. Dai piani alti di quel palazzo, due persone, un uomo e una donna lo fissarono con impazienza fino a quando non scomparve dalla loro vista, poi lentamente incrociarono i loro sguardi senza mostrare la benché minima espressione.
"Per quanto tempo ancora saremo costretti ad accettare il perdurare di questa farsa, Adam?"
L'uomo dai capelli brizzolati vestito di bianco rispose soltanto dopo un attimo di esitazione.
"Fino a quando l'illusione della sua colpevolezza non troverà la risposta che merita, mia dolce Eve."
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